TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni

L’antifascismo è superato?  In arrivo anche l’”Ordine di Vittorio Veneto”

Patriotismo della Resistenza:

45 mila morti, 20 mila feriti

Chi vuole equiparare  Partigiani, Repubblichini, la tirannia nazista …

    di Franco Astengo 

Savona - “Come nei rapporti fra i singoli esseri umani agli uni non è lecito perseguire i propri interessi a danno di altri, così nei rapporti fra le comunità politiche alle une non è lecito sviluppare sé stesse, comprimendo ed opprimendo le altre”

Così scriveva Giovanni XXIII nell'enciclica “Pacem in Terris” l'11 Aprile 1963.

In una frase sola può essere così condensato il significato profondo del 25 Aprile, il giorno della Liberazione, il giorno del nostro riscatto, il giorno in cui donne e uomini del popolo italiano posero la parola fine a quella che, proprio il Papa Buono, poi definì, come abbiamo visto “oppressione”.

Svolgiamo oggi un compito di particolare importanza: quello di ricordare a tutti, e di far capire alle giovani generazioni che dall'8 Settembre 1943 al 25 Aprile del 1945 i partigiani non vissero in un mito, come oggi vuol farci credere una certa storiografia revisionista.

Non sarà demandato agli storici, come intende affermare qualcuno, il compito di dire se esiste o meno una Repubblica fondata sulla Resistenza.

Quella Repubblica, Questa Repubblica esiste ed è fondata su 45 mila partigiani uccisi, 20 mila feriti, il più forte movimento di Resistenza in Europa dopo quello jugoslavo, gli operai ed i contadini per la prima volta partecipi di una guerra popolare senza cartolina precetto. Una formazione partigiana in ogni valle alpina o appenninica, la cruenta e sofferta gestazione di una Italia diversa.

Non si tratta di un discutibile mito da affidare agli storici.

Chi rifiuta il mito resistenziale, si duole di aver subito una storia di parte e ne affida la revisione agli storici, separati dalla politica.

Cioè ad un altro mito, quello della storia scientifica.

Quel mito, quella della Resistenza, non è nato dalla fantasia e neppure dalla propaganda politica, ma dai fatti di cui narrano le lapidi ed i monumenti sorti a memoria, in ogni città o paese.

Anche a noi piacerebbe che in quel mito ci fossero invenzioni, propaganda, faziosità politica e i torturati e impiccati e carbonizzati di Boves, di Meina del Grappa, della Benedicta, di Piazzale Loreto, dei grandi combattimenti in Valle Stura, in Val Chisone, a Piancastagna, non ci fossero mai stati ed il loro racconto il frutto di lontane leggende.

Ma qualcosa di vero deve pur esserci stato.

Ne testimoniano i bollettini della Wehrmacht quando scrivevano che “le divisioni tedesche si sono aperte la strada, verso i valichi con la Francia, occupati da ribelli”.

Era l'agosto del 1944 e nella realtà, non nel mito, le bande garibaldine, di Giustizia e Libertà e degli autonomi partecipavano alla grande operazione dello sbarco alleato in Francia.

Che mito concreto, quello della Resistenza!

Quasi quasi sembra vero.

La Resistenza come  il Vello d'Oro, come  il viaggio di Enea da Troia ai Colli Latini?

Perché no?

Anche i miti possono fondare degli Stati, delle koinè sociali, delle coesioni nazionali.

Ma anche qui, oltre il mito, c'è stato molto di concreto.

Senza la Resistenza, per dire,l' Italia sarebbe ancora un regno, sarebbe ancora allo Statuto Albertino.

Fu la Resistenza, anche se mitica, a costringere il luogotenente Umberto di Savoia a firmare l'impegno per il referendum: spirava il “vento del nord” portato dai combattenti delle montagne e delle città, da quelli che stavano tornando dalla prigionia, dalle donne e dagli uomini che avevano lottato per fare nuova e diversa l'Italia.

Qualcuno sostiene che l'antifascismo è superato, che la Resistenza non è più il fondamento dello Stato Repubblicano, che la frase “la Repubblica nata dalla Resistenza” risulterebbe, ormai, vuota da relegare definitivamente nell'album dei ricordi più sbiaditi.

Eppure è dalla Resistenza, non dal suo mito che nascono le regole democratiche.

Furono le forze politiche, comunisti, democristiani, socialisti, repubblicani, azionisti e liberali, che avevano sostenuto la Resistenza a scrivere la nostra Costituzione : a loro dobbiamo tutti i principi che regolano la nostra vita civile a partire da quello contenuto nell'articolo 11, che ripudia la guerra e che va ricordato ogni volta che parliamo della nostra realtà repubblicana.

Oggi, 25 Aprile 2009, ricordiamo quel giorno di 64 anni fa in un momento particolarmente difficile: è in atto, a livello globale, una fortissima crisi economica e finanziaria causata dall'adozione di un modello economico sbagliato, di arricchimento facile, di sfruttamento indiscriminato; un modello che dobbiamo rifiutare come fu rifiutato, in altri tempi, dalla nascente Repubblica Italiana.

Nello stesso tempo l'Italia è stata ferita da eventi naturali che trovano, anche in questo caso, l'egoismo, la cupidigia, l'insensibilità verso gli altri espressa anche da chi dovrebbe tutelare gli interessi generali, che finiscono con l'amplificare i lutti, il dolore, creando trascuratezza, incuria,distruzione del territorio.

L'attualità ci indica la necessità di compiere scelte precise, di riflettere sulla qualità della nostra democrazia.

Permettete allora di sviluppare, in questo senso, almeno un principio di ragionamento.

Il fenomeno più rilevante, che abbiamo avuto occasione di osservare nel corso degli ultimi anni, riguarda la trasformazione dei partiti, sotto l'aspetto dell'espressione di soggettività e della capacità di trasmettere cultura politica: al di là delle dinamiche di schieramento il sistema dei partiti , in Italia (ma il fenomeno ha sicuramente dimensioni più ampie) ha abdicato al ruolo di interazione tra la società ed il sistema politico che costituisce la sua effettiva missione.

L'idea della governabilità quale fine esaustivo dell'agire politico rappresenta la base teorica per una serie di opzioni di fondo riguardanti la personalizzazione della politica, l'utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa, l'idea maggioritaria come strumento di esclusione degli “altri”. Si è , così, risposto non solo debolmente ma, addirittura, muovendosi su di un terreno di sostanziale subalternità al messaggio di riduzione degli spazi di democrazia che, oggettivamente, si stava lanciando consentendo che, alla fine, si affermassero con forza nuovi rapporti politici nel Paese.

Si agisce per “sondaggi”, con una idea meramente “sociologica” dell'iniziativa politica che tende ad escluderne la valenza etica e la capacità di rapportarsi all'”interesse generale” di precisi settori sociali: questo avviene, fra l'altro, mentre la crisi finanziaria ed economica rimodella l'insieme delle relazioni, delle gerarchie, delle scansioni sull'intero arco della società.

I partiti hanno trovato, quindi, forti difficoltà sul piano della legittimazione.

E' proprio questo il punto di fondo , nell'attualità, della situazione italiana il cui effetto concreto, nel momento in cui il sistema non riesce a rispondere alla complessità della domanda sociale, è quello del “taglio” nel rapporto tra politica e società, dell'arretramento culturale, dell'imbarbarimento delle scelte.

Imbarbarimento delle scelte: come definire diversamente il razzismo emergente dai provvedimenti riguardanti la “sicurezza” ( sicurezza tra virgolette, molto tra virgolette), oppure il ritorno all'uso sistematico della polizia nelle situazioni di conflitto, rispetto agli operai e agli studenti.

L'imbarbarimento nelle scelte è il punto che desta, almeno dal nostro punto di vista, la maggiore preoccupazione: perché l'opposizione a questo stato di cose deve principiare proprio dal punto sul quale lamentiamo le maggiori carenze, quello della diffusione di cultura.

Ci rivolgiamo direttamente al mondo della politica: senza una risposta collocata, prima di tutto, sul terreno culturale, della ricostruzione di un insieme di valori, di una riproposizione di quell'equilibrio tra diritti e doveri che rappresenta l'asse fondamentale della Costituzione Repubblicana, senza l'individuazione della priorità prima di tutto al livello dell'etica, senza che l'intervento collettivo torni a riferirsi al principio fondamentale della rappresentanza politica difficilmente potremo superare questo momento particolare.

E' bene ricordare come siano molteplici gli attori da impegnare, all'interno di una democrazia articolata come la nostra: pensiamo agli Enti Locali, ai soggetti associativi “classici” dell'intermediazione, alla nuova qualità dei “movimenti sociali”.

Tutti debbono essere coinvolti in una grande operazione di carattere culturale, di cui l'ANPI può essere portatrice e protagonista: dal “pensiero debole” che ha dominato in questi anni, dobbiamo recuperare un “pensiero forte”, fatto di scelte precise, di riferimenti sociali determinati, di concezione della politica come momento decisivo di un agire collettivo, dove “l'essere” conta in luogo dell'effimero “apparire”.

Principalmente, però, c'è bisogno di una forte riqualificazione dei consessi elettivi: dal Parlamento, ai Consigli elettivi dei diversi livelli istituzionali.

E' necessaria ed urgente una riqualificazione, una presa di coscienza del ruolo complessivo come istituzioni e da parte dei singoli rappresentanti eletti, una alzata di ingegno collettivo perché la nostra democrazia ritorni a funzionare come corpo vivo.

Ritorniamo, allora, per un momento al discorso della memoria, perché è in atto una manovra che è necessario sventare subito: mi riferisco alla proposta di legge n.1360/2008, la cui approvazione porterebbe all'istituzione del cosiddetto ”Ordine di Vittorio Veneto”, che porterebbe ad equiparare sul piano storico e sul piano giuridico, sia i partigiani, sia i repubblichini: accomunando ciò chi difese il nostro Paese dall'assalto straniero e chi invece operò, all'interno di una enorme tragedia fatta di lutti e di sangue innocente, per asservire l'Italia alla tirannide nazista.

Siamo di fronte al tentativo di sovvertire la verità e la storia.

Un voto del Parlamento che approvasse questa legge assumerebbe il significato di smentire tutto ciò che la Repubblica Italiana è stata da 60 anni a questa parte.

Si tenta, anche, un paragone con l'Ordine dei Cavalieri di Vittorio Veneto, istituito nel 1968 per i combattenti della prima guerra mondiale, dimenticando che quelli combatterono tutti per l'esercito italiano.

Bisogna reagire con forza perché siamo di fronte ad una duplice falsità:

la pacificazione nazionale non si realizza certo con atti di questo genere adesso: c'è già stata l'amnistia Togliatti e la Repubblica è stata molto generosa, tanto è vero che già nel 1948 i rappresentanti del MSI sedevano in Parlamento.

Così, invece, si offende gravemente e colpevolmente la dignità di chi si è battuto per la libertà del proprio Paese.

Attenzione a scherzare con la storia.

Nessun Paese d'Europa ha concesso onorificenze e pensioni a coloro che si collocarono dalla parte del nazista invasore: né ai francesi di Vichy, né agli “ustascia” croati, né alle “croci frecciate” romene: una iniziativa del genere, oggi, allontanerebbe dunque ancor di più l'Italia dall'Europa.

Il fascismo ha permeato il nostro paese (l'autobiografia di una nazione, lo definì Gobetti) e stiamo scivolando verso un allontanamento profondo dagli ideali della Costituzione.

Oggi si pensa di modificare la Costituzione: ebbene, al di là del merito delle singole proposte, è bene precisare un punto di carattere generale.

In Italia non è possibile distinguere antifascismo e democrazia (un nesso che, del resto, vale in tutta Europa).

Chi tenta l'operazione teorica di dividere l'antifascismo dalla democrazia si getta in braccio  al revisionismo reazionario,, che sta sommergendo non solo il nostro Paese ma l'intero Occidente: si tratta di quei cicli storici, inspiegabili, ma irresistibili per cui ciò che si credeva morto e sepolto rinasce, imperativo ed irrazionale, come prima.

La libertà ha le sue stagioni, ciò che sembrava un dono per cui valeva la pena di rischiare la vita diventa un peso, un  rischio intollerabile perché ritorna prepotentemente il bisogno di avere un  padrone.

Noi intendiamo opporci con tutte le nostre forze, a questa deriva culturale.

La distinzione fra storia e politica è inesistente.

Ciò che esiste, purtroppo, è la grande marea autoritaria e il secolare trasformismo, per cui si tende sempre a saltare sul carro del vincitore.

Non facciamola troppo difficile, troppo nobile, troppo furba.

Il rifiuto dell'antifascismo, l'idea di dividere la storia dell'antifascismo da quella della democrazia, non è altro che accettazione di una idea “autoritaria” delle istituzioni, è accettazione della prepotenza, è accettazione di un potere opprimente nell''informazione, nella burocrazia, nel sistema economico e sociale.

E' accettazione dell'idea della guerra, come inevitabile mezzo per risolvere le contese tra i popoli; è accettazione dell'idea che si possa fare  a meno di organismi internazionali capaci di risolvere pacificamente le controversie.

La democrazia italiana, per mezzo secolo, è stata una coesistenza dei diversi, che però accettavano le regole comuni costituzionali: così ci auguriamo sarà la democrazia europea, che stiamo cercando di costruire.

Difendendo la Costituzione, difendendo l'Italia nata dalla Resistenza , rifiutiamo di scivolare verso il pensiero unico dell'affarismo e del disimpegno consumistico.

La Resistenza è stata una pagina anomala della Storia d'Italia, nel corso della quale troppo  spesso la norma è stata quella di un unanimismo rassegnato ed umiliante, di una maggioranza silenziosa che aveva bisogno di un padrone o di un giocoliere delle parole.

La Resistenza ha sconfitto nazisti e fascisti per voltare la pagina della storia, non per fare della propaganda, o perché qualcuno continuasse a chiamare pace la guerra.

La Resistenza fu, soprattutto, la vittoria della verità: quella verità che oggi, nel giorno della nostra memoria e del nostro ricordo, vogliamo dedicare ai suoi martiri, ai martiri della Resistenza Italiana appartenenti a tutte le classi sociali; all'impegno costante delle forze politiche antifasciste, a coloro che sacrificarono tutto per salire in montagna, o vennero deportati nei lager nazisti per aver testimoniato la loro fede in un  diverso avvenire, con quegli scioperi operai che costituirono l'elemento decisivo per il risveglio delle coscienze.

Senza giudicare quanto è stato fatto dalle istituzioni per ricordare questa data, e ricordando, invece, a tutti, il valore unitario della memoria storica, riflettiamo allora sul senso profondo di questo 25 Aprile, non concedendo nulla al revisionismo e considerandolo,proprio il 25 Aprile giustamente, la pagina più bella, scritta grazie al sacrificio dei migliori di quella generazione, la generazione dei nostri padri, che ha saputo ricostruire l'Italia. 

Occorre una unità reale ed operante perché il destino d'Italia torni nelle mani del popolo, quel popolo che scelse la Repubblica e costruì, eleggendo i suoi rappresentanti, la Costituzione.

Dalla falsità storica non può derivare alcuna riconciliazione.

Siamo fieri di essere patrioti: il nostro è il patriottismo della Resistenza, il patriottismo della Costituzione.

Savona,  9 Aprile 2009                                                    Franco Astengo