TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni
L’antifascismo è superato? In
arrivo anche l’”Ordine di Vittorio Veneto”
Patriotismo della Resistenza:
45 mila morti, 20 mila feriti
Chi vuole equiparare Partigiani,
Repubblichini, la tirannia nazista …
Savona -
“Come nei rapporti fra i singoli esseri umani agli uni non è lecito
perseguire i propri interessi a danno di altri, così nei rapporti fra le
comunità politiche alle une non è lecito sviluppare sé stesse, comprimendo
ed opprimendo le altre”
Così scriveva
Giovanni XXIII
nell'enciclica “Pacem in Terris” l'11 Aprile 1963.
In una frase sola può essere così condensato il significato profondo del
25 Aprile, il giorno della
Liberazione, il giorno del nostro riscatto, il giorno in cui
donne e uomini del popolo italiano posero la parola fine a quella che,
proprio il Papa Buono, poi definì, come abbiamo visto “oppressione”. Svolgiamo oggi un compito di particolare importanza: quello di ricordare
a tutti, e di far capire alle giovani generazioni che dall'8 Settembre 1943
al 25 Aprile del 1945 i partigiani non vissero in un mito, come oggi vuol
farci credere una certa storiografia revisionista.
Non sarà demandato agli storici, come intende
affermare qualcuno, il compito di dire se esiste o meno una
Repubblica
fondata sulla Resistenza.
Quella Repubblica, Questa Repubblica esiste ed è fondata su 45 mila
partigiani uccisi, 20 mila feriti, il più forte movimento di
Resistenza in Europa dopo quello jugoslavo, gli operai ed i
contadini per la prima volta partecipi di una guerra popolare senza
cartolina precetto. Una formazione partigiana in ogni valle alpina o
appenninica, la cruenta e sofferta gestazione di una Italia diversa. Non si tratta di un discutibile mito da affidare agli storici. Chi rifiuta il mito resistenziale, si duole di aver subito una storia di
parte e ne affida la revisione agli storici, separati dalla politica. Cioè ad un altro mito, quello della storia scientifica.
Quel mito, quella della
Resistenza,
non è nato dalla fantasia e neppure dalla propaganda politica, ma dai fatti
di cui narrano le lapidi ed i monumenti sorti a memoria, in ogni città o
paese.
Anche a noi piacerebbe che in quel mito ci fossero invenzioni,
propaganda, faziosità politica e i torturati e impiccati e carbonizzati di
Boves, di
Meina del Grappa,
della
Benedicta, di
Piazzale
Loreto, dei grandi combattimenti in
Valle Stura,
in
Val Chisone, a Piancastagna, non ci
fossero mai stati ed il loro racconto il frutto di lontane leggende. Ma qualcosa di vero deve pur esserci stato.
Ne testimoniano i bollettini della
Wehrmacht
quando scrivevano che “le divisioni tedesche si
sono aperte la strada, verso i valichi con la Francia, occupati da ribelli”.
Era l'agosto del 1944 e nella realtà, non nel
mito, le bande garibaldine, di
Giustizia e Libertà e degli
autonomi partecipavano alla grande operazione dello sbarco alleato in
Francia.
Che mito concreto, quello della
Resistenza! Quasi quasi sembra vero.
La
Resistenza come
il
Vello d'Oro,
come il viaggio di
Enea da Troia
ai
Colli Latini? Perché no? Anche i miti possono fondare degli Stati, delle koinè sociali, delle
coesioni nazionali. Ma anche qui, oltre il mito, c'è stato molto di concreto.
Senza la
Resistenza, per dire,l'
Italia sarebbe ancora un regno, sarebbe ancora allo
Statuto Albertino.
Fu la
Resistenza, anche se mitica, a
costringere il luogotenente
Umberto di Savoia
a firmare l'impegno per il referendum: spirava il “vento del nord” portato
dai combattenti delle montagne e delle città, da quelli che stavano tornando
dalla prigionia, dalle donne e dagli uomini che avevano lottato per fare
nuova e diversa l'Italia.
Qualcuno sostiene che l'antifascismo è superato, che la
Resistenza non è più il fondamento dello
Stato Repubblicano, che la frase “la
Repubblica nata dalla Resistenza” risulterebbe, ormai, vuota
da relegare definitivamente nell'album dei ricordi più sbiaditi.
Eppure è dalla
Resistenza,
non dal suo mito che nascono le regole democratiche.
Furono le forze politiche, comunisti, democristiani, socialisti,
repubblicani, azionisti e liberali, che avevano sostenuto la
Resistenza a scrivere la nostra
Costituzione
: a loro dobbiamo tutti i principi che regolano la nostra vita
civile a partire da quello contenuto nell'articolo 11, che ripudia la guerra
e che va ricordato ogni volta che parliamo della nostra realtà repubblicana.
Oggi,
25 Aprile 2009, ricordiamo quel
giorno di 64 anni fa in un momento particolarmente difficile: è in atto, a
livello globale, una fortissima crisi economica e finanziaria causata
dall'adozione di un modello economico sbagliato, di arricchimento facile, di
sfruttamento indiscriminato; un modello che dobbiamo rifiutare come fu
rifiutato, in altri tempi, dalla nascente Repubblica Italiana. Nello stesso tempo l'Italia è stata ferita da eventi naturali che
trovano, anche in questo caso, l'egoismo, la cupidigia, l'insensibilità
verso gli altri espressa anche da chi dovrebbe tutelare gli interessi
generali, che finiscono con l'amplificare i lutti, il dolore, creando
trascuratezza, incuria,distruzione del territorio. L'attualità ci indica la necessità di compiere scelte precise, di
riflettere sulla qualità della nostra democrazia. Permettete allora di sviluppare, in questo senso, almeno un principio di
ragionamento.
Il fenomeno più rilevante, che abbiamo avuto occasione di osservare nel
corso degli ultimi anni, riguarda la trasformazione dei partiti, sotto
l'aspetto dell'espressione di soggettività e della capacità di trasmettere
cultura politica: al di là delle dinamiche di schieramento il sistema dei
partiti , in
Italia (ma il fenomeno ha
sicuramente dimensioni più ampie) ha abdicato al ruolo di interazione tra la
società ed il sistema politico che costituisce la sua effettiva missione. L'idea della governabilità quale fine esaustivo dell'agire politico
rappresenta la base teorica per una serie di opzioni di fondo riguardanti la
personalizzazione della politica, l'utilizzo dei mezzi di comunicazione di
massa, l'idea maggioritaria come strumento di esclusione degli “altri”. Si è
, così, risposto non solo debolmente ma, addirittura, muovendosi su di un
terreno di sostanziale subalternità al messaggio di riduzione degli spazi di
democrazia che, oggettivamente, si stava lanciando consentendo che, alla
fine, si affermassero con forza nuovi rapporti politici nel Paese. Si agisce per “sondaggi”, con una idea meramente “sociologica”
dell'iniziativa politica che tende ad escluderne la valenza etica e la
capacità di rapportarsi all'”interesse generale” di precisi settori sociali:
questo avviene, fra l'altro, mentre la crisi finanziaria ed economica
rimodella l'insieme delle relazioni, delle gerarchie, delle scansioni
sull'intero arco della società. I partiti hanno trovato, quindi, forti difficoltà sul piano della
legittimazione. E' proprio questo il punto di fondo , nell'attualità, della situazione
italiana il cui effetto concreto, nel momento in cui il sistema non riesce a
rispondere alla complessità della domanda sociale, è quello del “taglio” nel
rapporto tra politica e società, dell'arretramento culturale,
dell'imbarbarimento delle scelte.
Imbarbarimento delle scelte: come definire diversamente il razzismo
emergente dai provvedimenti riguardanti la “sicurezza”
( sicurezza tra virgolette, molto tra virgolette), oppure il ritorno all'uso
sistematico della polizia nelle situazioni di conflitto, rispetto agli
operai e agli studenti. L'imbarbarimento nelle scelte è il punto che desta, almeno dal nostro
punto di vista, la maggiore preoccupazione: perché l'opposizione a questo
stato di cose deve principiare proprio dal punto sul quale lamentiamo le
maggiori carenze, quello della diffusione di cultura.
Ci rivolgiamo direttamente al mondo della politica: senza una risposta
collocata, prima di tutto, sul terreno culturale, della ricostruzione di un
insieme di valori, di una riproposizione di quell'equilibrio tra diritti e
doveri che rappresenta l'asse fondamentale della
Costituzione
Repubblicana, senza l'individuazione della priorità prima di
tutto al livello dell'etica, senza che l'intervento collettivo torni a
riferirsi al principio fondamentale della rappresentanza politica
difficilmente potremo superare questo momento particolare. E' bene ricordare come siano molteplici gli attori da impegnare,
all'interno di una democrazia articolata come la nostra: pensiamo agli Enti
Locali, ai soggetti associativi “classici” dell'intermediazione, alla nuova
qualità dei “movimenti sociali”.
Tutti debbono essere coinvolti in una grande operazione di carattere
culturale, di cui l'ANPI
può essere portatrice e protagonista: dal
“pensiero debole”
che ha dominato in questi anni, dobbiamo recuperare un “pensiero
forte”, fatto di scelte precise, di riferimenti sociali
determinati, di concezione della politica come momento decisivo di un agire
collettivo, dove “l'essere” conta in luogo dell'effimero “apparire”. Principalmente, però, c'è bisogno di una forte riqualificazione dei
consessi elettivi: dal Parlamento, ai Consigli elettivi dei diversi livelli
istituzionali. E' necessaria ed urgente una riqualificazione, una presa di coscienza
del ruolo complessivo come istituzioni e da parte dei singoli rappresentanti
eletti, una alzata di ingegno collettivo perché la nostra democrazia ritorni
a funzionare come corpo vivo.
Ritorniamo, allora, per un momento al discorso della memoria, perché è
in atto una manovra che è necessario sventare subito: mi riferisco alla
proposta di legge n.1360/2008,
la cui approvazione porterebbe all'istituzione del cosiddetto
”Ordine di Vittorio Veneto”, che porterebbe ad equiparare sul
piano storico e sul piano giuridico, sia i partigiani, sia i repubblichini:
accomunando ciò chi difese il nostro
Paese
dall'assalto straniero e chi invece operò, all'interno di una enorme
tragedia fatta di lutti e di sangue innocente, per asservire l'Italia
alla tirannide nazista. Siamo di fronte al tentativo di sovvertire la verità e la storia.
Un voto del Parlamento che approvasse questa legge assumerebbe il
significato di smentire tutto ciò che la
Repubblica
Italiana è stata da 60 anni a questa parte.
Si tenta, anche, un paragone con
l'Ordine dei
Cavalieri di Vittorio Veneto, istituito nel 1968 per i
combattenti della prima guerra mondiale, dimenticando che quelli
combatterono tutti per l'esercito italiano. Bisogna reagire con forza perché siamo di fronte ad una duplice falsità:
la pacificazione nazionale non si realizza certo con atti di questo
genere adesso: c'è già stata l'amnistia
Togliatti
e la
Repubblica è stata molto generosa, tanto è vero che già nel
1948 i rappresentanti del
MSI
sedevano in Parlamento. Così, invece, si offende gravemente e colpevolmente la dignità di chi si
è battuto per la libertà del proprio Paese. Attenzione a scherzare con la storia.
Nessun Paese d'Europa ha concesso onorificenze e
pensioni a coloro che si collocarono dalla parte del nazista invasore: né ai
francesi di
Vichy, né agli “ustascia”
croati, né alle “croci frecciate” romene: una
iniziativa del genere, oggi, allontanerebbe dunque ancor di più
l'Italia dall'Europa.
Il fascismo ha permeato il nostro paese (l'autobiografia di una nazione,
lo definì
Gobetti)
e stiamo scivolando verso un allontanamento profondo dagli ideali della
Costituzione.
Oggi si pensa di modificare la
Costituzione:
ebbene, al di là del merito delle singole proposte, è bene precisare un
punto di carattere generale.
In
Italia non è possibile distinguere
antifascismo e democrazia (un nesso che, del resto, vale in tutta Europa).
Chi tenta l'operazione teorica di dividere l'antifascismo dalla
democrazia si getta in braccio
al revisionismo reazionario,, che sta sommergendo non solo il nostro Paese
ma l'intero Occidente: si tratta di quei cicli storici, inspiegabili, ma
irresistibili per cui ciò che si credeva morto e sepolto rinasce, imperativo
ed irrazionale, come prima.
La libertà ha le sue stagioni, ciò che sembrava un dono per cui valeva
la pena di rischiare la vita diventa un peso, un
rischio intollerabile perché ritorna prepotentemente il bisogno di
avere un padrone. Noi intendiamo opporci con tutte le nostre forze, a questa deriva
culturale. La distinzione fra storia e politica è inesistente. Ciò che esiste, purtroppo, è la grande marea autoritaria e il secolare
trasformismo, per cui si tende sempre a saltare sul carro del vincitore. Non facciamola troppo difficile, troppo nobile, troppo furba. Il rifiuto dell'antifascismo, l'idea di dividere la storia
dell'antifascismo da quella della democrazia, non è altro che accettazione
di una idea “autoritaria” delle istituzioni, è accettazione della
prepotenza, è accettazione di un potere opprimente nell''informazione, nella
burocrazia, nel sistema economico e sociale.
E' accettazione dell'idea della guerra, come inevitabile mezzo per
risolvere le contese tra i popoli; è accettazione dell'idea che si possa
fare a meno di organismi
internazionali capaci di risolvere pacificamente le controversie. La democrazia italiana, per mezzo secolo, è stata una coesistenza dei
diversi, che però accettavano le regole comuni costituzionali: così ci
auguriamo sarà la democrazia europea, che stiamo cercando di costruire.
Difendendo la
Costituzione,
difendendo l'Italia nata dalla
Resistenza , rifiutiamo di scivolare verso il pensiero unico
dell'affarismo e del disimpegno consumistico.
La
Resistenza è stata una pagina
anomala della
Storia d'Italia, nel corso della
quale troppo spesso la norma è
stata quella di un unanimismo rassegnato ed umiliante, di una maggioranza
silenziosa che aveva bisogno di un padrone o di un giocoliere delle parole.
La
Resistenza ha sconfitto nazisti e
fascisti per voltare la pagina della storia, non per fare della propaganda,
o perché qualcuno continuasse a chiamare pace la guerra.
La
Resistenza fu, soprattutto, la
vittoria della verità: quella verità che oggi, nel giorno della nostra
memoria e del nostro ricordo, vogliamo dedicare ai suoi martiri, ai martiri
della
Resistenza Italiana appartenenti a tutte le classi sociali;
all'impegno costante delle forze politiche antifasciste, a coloro che
sacrificarono tutto per salire in montagna, o vennero deportati nei lager
nazisti per aver testimoniato la loro fede in un
diverso avvenire, con quegli scioperi operai che costituirono
l'elemento decisivo per il risveglio delle coscienze.
Senza giudicare quanto è stato fatto dalle istituzioni per ricordare
questa data, e ricordando, invece, a tutti, il valore unitario della memoria
storica, riflettiamo allora sul senso profondo di questo
25 Aprile,
non concedendo nulla al revisionismo e considerandolo,proprio il
25 Aprile giustamente, la pagina più bella, scritta grazie al
sacrificio dei migliori di quella generazione, la generazione dei nostri
padri, che ha saputo ricostruire l'Italia.
Occorre una unità reale ed operante perché il
destino d'Italia torni nelle mani del popolo, quel popolo che scelse la
Repubblica e costruì, eleggendo i suoi rappresentanti, la
Costituzione. Dalla falsità storica non può derivare alcuna riconciliazione.
Siamo fieri di essere patrioti: il nostro è il
patriottismo della
Resistenza, il patriottismo della
Costituzione.
Savona,
9 Aprile 2009
Franco Astengo
|