Il “Comitato della Villetta” alle prese col mistero inedito della galleria antiarea

Savona, il “giallo del bunker”:

il Clero, il Demanio, gli imprenditori

A Genova rifiutano documenti e risposte. Lo schiaffo del sindaco Berruti che da mesi rifiuta di ricevere i cittadini. Cosa hanno scoperto e cosa vogliono sapere

       di Luciano Corrado


Cronistoria fotografica con la collaborazione di Antonio Gianetto che ringraziamo

Via Ottaviano vista dall'alto

Savona – Spunta un “giallo”, l’alone di mistero nella tormentata vicenda dei box di via Ottaviano, sotto l’ex parco alberato del Seminario Vescovile di Savona. E’ la sorte di un bunker-rifugio. Non se ne parla, ma sta diventando una mina vagante. L’Agenzia del Demanio (Regione Liguria) per tre volte ha rifiutato di rispondere ad istanze verbali e scritte del Comitato di cittadini della Villetta (600 adesioni).  Non solo, mentre gli uffici comunali hanno offerto la massima collaborazione, nell’ambito della trasparenza degli atti, il sindaco, Federico Berruti, si è sempre “negato” ad incontrare i rappresentati dello stesso Comitato.

Cosa c’è di tanto urgente da chiarire, dopo le polemiche, ma soprattutto le battaglie legali in corso, alla luce del sole?  Ci sono tre pagine, documenti inediti, che raccontano e descrivono su carta intestata dell’Agenzia del Demanio, Filiale di Liguria, lo storia del “bunker”. Una galleria (leggi in pdf... o vedi sotto le fotocopie riprodotte) sottostante le proprietà del Seminario, lunga 180 metri e larga metri 3,40.

Tre i varchi d’accesso, tutti ricavati sul muro di contenimento del giardino pertinenziale.

Cosa rappresenta questa realtà di cui si era fatto cenno solo di sfuggita in passato? Qualcuno ha cercato di ignorarla (l’esistenza)  e più avanti spieghiamo la motivazione. Dalla planimetria ufficiale risulta che il “Ricovero antiaereo pubblico in località Bassa Villetta, via Assereto e Salita Incisa, nel 1948, era stato affidato al Comune di Savona che, come da verbale, l’ha restituito (ripresa in possesso) all’Agenzia del Demanio il 12 giugno del 2006>. Le date sono interessanti.

L’interrogativo, o le domande senza risposte, che ha posto il Comitato, sono quantomeno imbarazzanti. Pongono macigni sull’iter della pratica, sul modo (legittimo?) in cui si è arrivati a distruggere letteralmente un parco secolare di 150 alberi di alto fusto, sui protagonisti della prima e della seconda ora. Il balletto.

La società Incisa (rimandiamo per brevità all’allegato che contiene un articolo apparso su Repubblica, nel novembre 2008, a firma di Marco Preve, vedi…), secondo quanto descrive, Federica Astigiano - tra le più attive componenti del Comitato della Villetta - nel fare l’elenco delle proprietà interessate all’operazione-box, scrive espressamente che <la galleria non è di sua proprietà, è gravata da vincolo, esiste una “servitù onerosa” (siamo al 14 ottobre 2008)>.

<Ci siamo attivati – fa osservare la signora Astigiano – partendo dal presupposto pacifico dell’esistenza del vincolo demaniale. Abbiamo assemblato tutto ciò che era stato raccolto, parlo di materiale probatorio, nell’ambito della vertenza in tribunale. Nella fase iniziale, stranamente, nessuno ci aveva detto della galleria, proprio sotto l’area dei box. Poi era emerso che Incisa era in attesa di acquisire il bene demaniale. Esiste un documento in cui si parla di “valorizzazione da parte di Incisa dello stesso bene demaniale”. Rimane sorprendente capire come si possa valorizzare un bene pubblico, distruggendolo in parte>. Il Comune e gli enti interessati, non sapevano nulla quando hanno concesso tutte le autorizzazione?


Entra rifugio

Si susseguono sorprese dietro sorprese. Seguiamo la testimonianza di Federica Astigiano: <Il primo ottobre 2008 ci siamo recati negli uffici del Demanio, a Genova, per chiedere chiarimenti in merito alla sorte della galleria, ai gravami, alle pertinenze…Per tutta risposta dopo un rimpallo tra una segretaria ed un capo dell’ufficio legale, ci viene  esplicitamente chiarito che non abbiamo alcun diritto ad accedere agli atti. Torniamo a Savona e dopo qualche giorno abbiamo maggiore trasparenza all’Ufficio Patrimonio del Comune di Savona e scopriamo nuovi documenti…>..

Ancora Astigiano: <Timorosi di sbagliare, parte, a quel punto, il primo fax per il Demanio, chiedendo di mettere per iscritto l’avvenuto rifiuto e la conferma, data oralmente, che il bene a loro dire non era più demaniale…Da Genova nessuna risposta, nessun collaborazione. Dopo ulteriori approfondimenti, il Comitato ha inoltrato, via fax, una terza interrogazione sempre al Demanio, all’ufficio competente. Non si sono degnati di rispondere. Silenzio>.

La giunta regionale di centro-sinistra, di Burlando-Ruggeri e soci, era al corrente del singolare trattamento riservato ad onesti cittadini savonesi, componenti di un Comitato che non “opera” a titolo personale?

Non sarà una sorpresa se Federica Astigiano, pensionata e senza galloni nel partito, sbotta: <Ho sempre militato a sinistra, sono sempre stata un’attivista convinta, non ho mai chiesto nulla e non sono l’unica tra i cittadini del Comitato, ma l’esperienza vissuta con i box del Seminario, mi ha delusa, amareggiato. Ho avuto conferma da che parte sta un certa sinistra quando si tratta di affari trasversali, dopo tutto quello che si era già letto. Insomma, ho toccato con mano,  assieme a tanti altri savonesi. Basti pensare che lo stesso sindaco innovatore Berruti, non ha  avuto il tempo di riceverci quali rappresentanti del Comitato, nonostante i solleciti>.

I lavori dei box sono fermi da un mese e mezzo. C’è una battaglia legale-giudiziaria, in ballo le perizie tecniche. Quella del Tribunale (il presidente Giuseppe La Mattina ha affidato l’incarico all’ingegner Bianchi), delle “parti lese” (ingegner Lagasio). Uno dei nodi da sciogliere è la prima “scoperta-sorpresa”, dovuto alla presenza di un enorme costone roccioso particolarmente duro. La conseguente necessità di interventi che potrebbero arrecare pregiudizio alle abitazioni circostanti.  


L’interrogativo: era fattibile una tipologia di intervento che avrebbe risparmiato il patrimonio ambientale (alberi) con loro inestimabile valore. In altre parole sarebbe stato possibile realizzare i box senza distruggere (esiste a questo proposito un “brevetto” norvegese)?
Comunque andrà a finire il “tiro alla fune”, restano scolpiti nelle pietre alcuni documenti che sono emersi in questa vicenda e dove parlare di interessi in gioco è dir poco. Il fine potrebbe anche essere condiviso, i mezzi magari un po’ meno.
Basterebbe, ad esempio, conoscere la risposta e la sorte ad una precisa richiesta a firma di Carlo Vasconi (Gruppo Consiliare Verdi) del 12 settembre 2006 ed indirizzata  alla Direzione per i Beni Ambientali, Culturali e Paesaggistici della Liguria, più esattamente a Liliana Pittarello, Giuseppe Rossini, Scunza, al dirigente del ministero, a Roma, Renato Costa e al Dipartimento di Roma dei Beni Archeologici. Oggetto: Istanza per la tutela dell’area posta in fregio a Via Beato Ottaviano
 
La successiva vendita, con la firma di don Pietro Tartarotti, presidente dell’Istituto Diocesano,  del pacchetto di quote.

 Incisa ha tra i soci l’imprenditore savonese (ramo petrolifero) Cesare Beccaria, attraverso la sua società Ace Investimenti, con il 36 per cento di quote. Altri quattro soggetti, ha scritto Marco Preve su Repubblica (non smentito a quanto pare), sono Pietro Gilardino, ex assessore regionale col presidente Sandro Biasotti ed uomo di punta del Pdl ligure; il commerciante savonese Mario Taricco; la società Acquaviva di Savona che fa capo a Pietro e Francesco Fotia, al centro di un piccolo impero (Scavo-Ter, possiede 60 camion), specializzata nel mondo di scavi e costruzioni. Fotia, per la cronaca savonese, non è un nome nuovo. Dalla Calabria alla Città della Torretta, facendo fortuna.

Preve ha scritto di “sbarco” degli imperiesi a Savona, ma c’è da aggiungere che esiste anche un fronte di “sbarco” di savonesi in quel di Imperia, con importanti operazioni immobiliari. Imprenditori di diverse appartenenze a “lobby” ed associazioni elitarie.

Marco Preve ha citato altre mire “immobiliari-religiose”, come la sorte del convento dei Cappuccini. Poteva aggiungere che il rigoroso cardinale  Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, potrebbe chiedere “chiarimenti” (soltanto a titolo informativo perché tutto è concluso) su miliardarie operazioni andate in porto, con successo, ad opera di imprenditori di successo: a Loano, 170 alloggi, dove c’era il “Divin Prigioniero”, ospitava sacerdoti e dove lavoravano una ventina di persone, rimaste a spasso. Ad Alassio l’ex convento dei Padri Oblati, trasformato in “seconde case” di lusso. Ad Albenga (Trucioli Savonesi ha dato conto di una lettera, molto dettagliata, inviata da un ex seminarista di Imperia) gli immobili del Vecchio Seminario e delle suore (città antica).

Insomma il “diavolo” e l’acqua santa insieme? Anche la chiesa ha diritto di vivere e sopravvivere, vendere e comprare, incentivare donazioni e lasciti, ma il “caso” vuole che spesso sono operazioni non proprio cristalline nei contorni. Almeno la “chiesa” mandi un messaggio di speranza, di etica.

Forse perché lo impone la “legge non scritta”, ma praticata, del business immobiliare? Perché primeggia il “costume italiano”? Oppure, come ha scritto Il Secolo XIX del primo aprile (non si tratta di un “pesce”): <Oggi in Italia c’è molta più corruzione che nei primi anni ‘90>. Frase attribuita nel titolo e nel testo all’ormai ex magistrato, diventato “famoso”, Luigi De Magistris.

Trucioli Savonesi, già due anni fa, aveva pubblicato un “lettera-provocazione” al giornalista Massimo Numa, già in servizio a La Stampa di Savona ed ora cronista di punta e di successo a Torino dove spesso descrive storie di ordinaria corruttela. <A Savona – era il senso del discorso – la corruzione non abita più, ha cambiato indirizzo e chi la cerca resta disoccupato…>. Si veda, per gli appassionati di questa tematica, l’intervista che concesse a Trucioli, qualche mese prima di morire, l’anziano penalista Umberto Ramella, grado 33 della massoneria di Piazza del Gesù, difensore negli anni di “imputati” illustri, di rango.

I cittadini della Villetta si mettano il cuore in pace. Tutto quanto accade, hanno vissuto e stanno vivendo sulla loro pelle, è solo frutto di coincidenze. Non c’è colpa e non c’è dolo. Un gruppo di persone benemerite voleva contribuire allo sviluppo, sano, della città. Ha trovato un gruppo di cittadini testardi, forse estremisti o perlomeno egoisti, che anziché collaborare per il superiore bene comune si è cocciutamente ribellato. Perdendo già la battaglia del verde e degli alberi, il bene supremo che è la “qualità della vita” e dell’ambiente che ci circonda. I box, a ben vederli, consideriamoli cioccolatini. Dolcissimi per chi può usarli come “giocattolo finanziario-imprenditoriale”; amari, e addirittura purganti, per chi li deve subire. Ma bisogna essere, ci ripetono, fiduciosi! Ottimisti! Propositivi!

Luciano Corrado