IL LIBRO DEL MESE di Massimo Bianco

LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI



Aprile ‘09. Questo mese entriamo nel secondo anno di vita della mia rubrica mensile e quale modo migliore per festeggiare la ricorrenza che occuparsi del best seller più venduto in Italia nel 2008 con ben un milione di copie e per giunta ultimo vincitore dello “Strega”, il più prestigioso premio letterario italiano? Stiamo parlando de “La solitudine dei numeri primi” (Mondadori) opera prima di Paolo Giordano, giovane torinese, è un classe 1982, laureato in fisica teorica.

Il citato riconoscimento spinge sempre le vendite e poi lui non lo ha di certo conquistato per caso, La solitudine dei numeri primi è, infatti, un testo valido che lascia ben sperare per il futuro dell’autore (a questo proposito attenderemo di verificare se Giordano saprà dimostrare la dote essenziale per una duratura carriera letteraria e cioè la creatività).

Non stiamo invero parlando di un capolavoro, ché il romanzo non mi pare pienamente riuscito, soprattutto per l’impalpabile sensazione d’incompletezza che si annusa tra le pagine, tuttavia lo scrittore dimostra una notevole maturità, considerata la giovane età. Ciononostante l’entità del successo riportato sorprende, perché non si tratta affatto di una vicenda facile e furba, come ci si attenderebbe da un best seller di tali proporzioni. Inoltre non appartiene a nessuno dei canonici generi di successo, non è, infatti, né storia d’azione, né thriller, né racconto romantico e ha uno sviluppo fondamentalmente cupo e introspettivo, privo di autentici momenti di serenità. In pratica è “soltanto” una storia di alienazione, molto minimalista, con due protagonisti però difficilmente dimenticabili, descritti a tutto tondo con encomiabile profondità.

Il libro segue alcuni momenti topici della vita dei due personaggi e ciò che in effetti racconta attraverso costoro è il male di crescere, la difficoltà di affrontare l’esistenza e di rapportarsi con gli altri. I due protagonisti sono ragazzi segnati da un evento verificatosi durante la loro infanzia. Per l’una, Alice, un incidente sugli sci che le lascerà una menomazione permanente come crudele memento e per l’altro, Mattia, il coinvolgimento nella tragica morte della sorella Michela. Successivamente a queste iniziali disavventure ritroviamo i due ragazzi nell’adolescenza, quando l’incipit infantile ha già portato tutte le sue drammatiche conseguenze nella loro psiche. Poi, nella seconda parte del romanzo, li seguiremo anche nell’età adulta. E attraverso di loro scopriremo come la necessità di trovare un rifugio ai problemi e alle paure più profonde possa portare conseguenze drammatiche per la vita degli esseri umani. Così lei si troverà costantemente a camminare sull’orlo dell’anoressia, mentre lui soffrirà tendenze autolesioniste e parrà prossimo all’autismo. Stop. È vero che non si tratta di un suspense e dunque rivelare gli ulteriori sviluppi non avrebbe conseguenze deleterie sulla lettura, ma i suddetti sviluppi è sempre preferibile scoprirseli da soli.

Quanto al titolo, benché di primo acchito esso possa apparire un tantino strano, ha in realtà una sua ardita logica. Si parla di numeri, intanto, perché Mattia è un genio matematico. Come si sa, i numeri primi sono quelli divisibili solo per uno e per se stessi e in quanto tali sono di per sé già abbastanza poco frequenti. Per l’esattezza, però, qui si fa riferimento a dei particolari termini matematici e cioè ai cosiddetti primi gemelli, quei via, via assai più rari numeri primi separati uno dall’altro da un unico altro numero, come accade ad esempio con il 17 e il 19 oppure con il 29 e il 31. Coppie insomma di cifre vicine e simili tra loro, ma impossibilitate a toccarsi. E i due protagonisti, Alice e Matteo, si dimostrano esattamente come questi numeri: vicini e simili tra loro eppure incapaci di trovarsi veramente:

Mattia pensava che lui e Alice erano così, due primi gemelli, soli e perduti, vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero. A lei non l’aveva mai detto.


Paolo Giordano

A proposito, non so bene cosa ciò possa significare, ma vale forse la pena di rimarcarlo: su venticinque specialisti, tra cui venti uomini e sole cinque donne, chiamati a indicare su una rivista le cinque migliori pubblicazioni narrative dell’anno appena trascorso, La solitudine dei numeri primi è stato piuttosto trascurato dal comparto maschile ma è stato prescelto da ben tre delle cinque donne.

Tra parentesi, come si può bene immaginare, il successo, specie se precoce, porta invidia e l’invidia a sua volta scatena le malelingue, che nella fattispecie hanno insinuato non essere Giordano l’autentico autore dell’opera.

L’idea in sé non sarebbe peregrina, è risaputo che almeno un paio di “scrittori” italiani oggi famosi non hanno davvero scritto i romanzi da loro firmati o quanto meno non tutti (gli addetti ai lavori meglio informati sono anche in grado di indicare l’autentica firma, il cosiddetto “negro”estensore dell’opera e in proposito ci riesce difficile capire come il prestanome, anche ammesso che il soggetto originale sia suo, possa partecipare a presentazioni, fiere del libro o addirittura incontri televisivi, sentendosi ricevere complimenti o addirittura dare del genio, senza sprofondare dalla vergogna). In questo caso tuttavia, a parte il fatto che addetti ai lavori seri hanno definito l’illazione falsa, chi scrive non vede quale interesse avrebbe potuto spingere qualcuno a nascondersi dietro il nome di un debuttante, perfetto sconosciuto e dunque all’epoca privo di garanzie di successo, da mandare allo sbaraglio al posto suo. Né par logico voler costruire una carriera inesistente intorno a un giovane che ha appena vinto una borsa di dottorato e dovrebbe quindi potersi aspettare un futuro all’università. Non si capisce invero neppure come Giordano sia riuscito a farsi prendere in considerazione, ma lasciamo perdere. Semplicemente qualcuno a suo tempo deve aver deciso contro ogni, ahimè, logica editoriale in stagione di crisi, di scommettere su di lui e ci pare inutile indagarne retroscena e dietrologie varie, ci basta sapere che la scelta si è comunque rivelata azzeccata.

Detto ciò, devo confessare di avere stavolta contravvenuto alle mie regole, perché ho recensito un libro che mi è sì piaciuto, ma non mi ha entusiasmato quanto le opere da me trattate in precedenza. Sarà per questo che non sono del tutto soddisfatto del risultato? Comunque sia, saluti a tutti da

Massimo Bianco