di
Antonia Briuglia |
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OCCASIONE PERDUTA
L’Amministrazione di Savona, dopo trentaquattro anni di “provvidenziale” vuoto
normativo, ha finalmente votato il suo
PUC, un Piano Regolatore molto apprezzato anche da forze politiche della
sinistra che si sono inspiegabilmente astenute sul voto.
“E’ la città in cui ci riconosciamo !!!”
ha, infatti, sostenuto Rifondazione Comunista, sostenendo l’assetto
progettuale e normativo, incalzati poi dal Consigliere La Rosa,(Comunisti
Italiani ) che in piena, quanto scontata e funzionale, polemica sulla mancata
compattezza del voto, ricordava il
valore di questo straordinario e sospirato Piano Urbanistico, contenente
edilizia popolare, cittadelle e zone verdi libere dal traffico. |
Non è facile comprendere se si parli per inconsapevolezza sulla personale
incompetenza sulla complessa quanto straordinaria materia o per sorda
opportunità elettoralistica.
E’ comunque vero che, il piano di Savona, mentre comprende
cementificazioni collinari chiamate
edilizia popolare, preveda
anche quelle ancor più impattanti del fronte mare, delle aree industriali
dismesse e quelle dell’area della
vecchia stazione ferroviaria, oggi parcheggio, che il Sindaco propina come
area completamente verde.
La scelta, poi, di destinare la stessa area a parcheggio sotterraneo, a
dispetto delle convinzioni del giovane Consigliere, non potrà portare via le
automobili dal centro cittadino, ma solo dalla quota stradale del
parcheggio.
Insomma un piano urbanistico che, dopo trentaquattro anni, nasce proprio
con un’idea di città già vecchia e superata, con un’idea di sviluppo di
un territorio dove l’impegno creativo è assente, dove manca la
reimmaginazione di una città pensata prima culturalmente che in modo
cementificatorio.
Un impegno creativo che a Savona, nelle vicine Albissole e in molti
altri Paesi della Provincia avrebbe dovuto essere una scelta obbligata,
proprio per risolvere i vuoti urbani lasciati da quei contenitori
industriali dismessi, che sono diventati invece solo preda di facili e
scontati appetiti immobiliari.
Gli assetti in una città democratica, così come ormai accade in molte
città del mondo, devono scaturire dal basso e senza distinzioni
conflittuali tra istanze collettive, che nelle nostre cittadine vengono
spesso ignorate o individuate negli Uffici Urbanistici del Palazzo, e
istanze private che sembrano invece parti fondanti del Piano come fosse
decise a monte. |
![]() Cantieri Solimano |
L’AUTOPROCLAMAZIONE DELL’INUTILE
A Savona, la progettualità territoriale, si appaga in un’autoproclamazione
costituita da superflui quanto impattanti volumi edificatori a
destinazione inutilmente residenziale, sorti proprio dove era possibile
una reinterpretazione in chiave paesaggistica e, nello stesso tempo,
metropolitana dell’area.
La crescita che la città ha subito nel periodo di espansione industriale
ha lasciato, proprio in quello che oggi possiamo definire il centro
cittadino, grossi spazi e volumi un tempo destinati alle attività
produttive. |
Oggi, tutto si poteva fare meno che permettere che tali aree
diventassero prodotti di mercato e macchine edificatorie a uso
immobiliare, indifferenti al loro legame con i cittadini e l’ambiente
formato dall’interazione geografica, dal clima, dall’attuale economia,
dalla demografia, dall’arte e dalla cultura.
BINARIO BLU, ORTI FOLCONI, CANTIERI SOLIMANO,
solo per fare alcuni esempi, sono già la rinuncia ad un modello di
città, sono l’artificializzazione di un territorio il cui esito sarà
incontrollato.
Quale potrà essere uno scenario futuribile in una città che non ha avuto
coraggio, che non ha saputo cogliere l’occasione di una svolta che non è
solo quella del RIUSO e della RIQUALIFICAZIONE
intesa in senso edificatorio.
Riqualificare, a Savona, ha voluto e vuol dire cambiare destinazione
d’uso da industriale a residenziale, moltiplicarne la cubatura, senza
tenere conto che ciò non ha nulla a che fare con la qualità abitativa,
con la qualità sociale, con la qualità ambientale del territorio che non
sopporta e non giustifica una richiesta insediativa tale.
La “ Riqualificazione” è, invece, spesso stata una buona opportunità per
costruttori e immobiliaristi che nella dismissione industriale hanno
potuto trarne personale
profitto.
Dove è finita l’Architettura a Savona?
Dove la sua essenza “visionaria”, il suo irrinunciabile lato
utopistico, che permette all’architettura stessa di non essere
semplicemente asservita a chiunque la commissioni, bensì intenta a
pensare al suo vero fine: la creazione di un altro mondo. |
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SOSTENIBILITA’ SAVONESE
La conversione della città, da
soggetto produttivo industriale e manifatturiero a oggetto di mercato
immobiliare, è stata il prodotto di desideri megalomani di politici e
imprenditori e ha già dato frutti
certamente non rassicuranti.
Quello
sviluppo, in nome del
quale è cominciato, ancor prima della redazione del PUC, il processo
edificatorio, non sembra si possa rilevare nella stagnante desolazione
della torre Bofill o
nell’ossessiva ingombrante visione del Crescent. |
Savona non aveva bisogno di Bofill come non avrà bisogno di Fuksas, non
quando sono mossi dall’ambizione di lasciare un segno indelebile sulle
nostre città.
Savona ha bisogno di architetti che abbiano una visione strategica e che
adottino criteri di sensibilità, che siano prima cittadini e poi
architetti.
Ci si attendeva un modo diverso di intervenire sulla città, molto più
moderno e contemporaneo che potesse guardare lontano.
Ci si attendeva un modo di prevedere lo spazio urbano riutilizzando e
riprogrammando le aree, attuando però una necessaria rigenerazione del
tessuto urbano.
Ci si attendeva che fosse previsto un nuovo progetto di tessuto urbano
veramente compatibile, capace di non ingurgitare grandi
spese e risorse, né di produrre tonnellate di scorie.
Ci si attendeva un’azione capace di ottenere risposte dai cittadini ,
che potessero avere finalmente un ruolo attivo nell’evoluzione dello
spazio pubblico della città. |
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LA DISMISSIONE DI ALBISOLA SUPERIORE
La competizione elettorale di questi ultimi giorni, ha spinto il
candidato del centro-destra, il Sen. Orsi, a comunicare pubblicamente le
linee del suo programma che, guarda caso, mettono al primo posto
l’utilizzo e la “riqualificazione”
delle aree industriali dismesse lungo il Sansobbia. Sulla vasta area, la Giunta attuale, da una decina d’anni ha mostrato tutta l’incapacità decisionale e la confusione programmatoria, combattuta sull’opportunità di offrire occasioni di profitto a immobiliaristi o di perseguire occasioni di utile ridefinizione urbanistica per la città.
Su quell’area oggi regna il nulla, che crea nel tessuto urbano una
“voragine” slegata dal resto dell’abitato e dalle relazioni che
sottintendono alla vita quotidiana della città, una “voragine” che urla
l’annullamento del suo confine che, mentre a ponente è quella Via
Casarino, mai inclusa nel tessuto urbano, a sud è l’Aurelia e il mare e
a levante è proprio il centro cittadino che per anni e anni ne ha
costituito la sponda. Nelle diatribe politiche, nelle indecisioni e nel far prevalere gli opportunismi dei grandi costruttori che, per anni hanno fatto il bello e il cattivo tempo ad Albisola, si è consumata un’idea di città, di cui l’area dismessa Casarino è l’emblema. |
Sulle consuete polemiche basate su quanto residenziale, quanto pubblico
e privato l’area dovesse prevedere, sono passati inoperosamente decine
di inutili anni.
Oggi, chi si propone alla guida della città, mette l’operazione al primo
posto, conscio della straordinaria opportunità.
Un’opportunità che
dovrebbe essere la
realizzazione di una realtà territoriale fluida, attraversabile,
reversibile che possa offrire un supporto per le relazioni tra i
cittadini e la loro città fatta di spazi chiusi e aperti e del loro
riuso intelligente.
Un’opportunità che non voglia dire, come è già accaduto nella vicina
Albissola Marina, scontato profitto per “altri pochi” a dispetto del futuro di una città e di chi la
abita.
Antonia Briuglia
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