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BIPARTITISMO E COALIZIONE DOMINANTE

(Con Rifondazione Comunista asserragliata nel bunker)

               di Franco Astengo



Savona - E' tradizione che le elezioni europee siano affrontate dai partiti italiani con l'occhio rivolto agli equilibri interni piuttosto che alla proiezione europea: questo vale per i programmi ma soprattutto  per l'impostazione della campagna elettorale e per le aspettative che si cercano di creare al riguardo degli elettori (elementi che, comunque, non hanno impedito una bassa partecipazione al voto sempre registratasi nelle diverse occasioni: una bassa partecipazione in ogni caso superiore alla media degli altri Paesi dell'Unione chiamati al voto).

Non sarà diverso, così, per la prossima campagna elettorale in vista del 7 Giugno : anzi, la caratterizzazione di politica interna risulterà ancora più accentuata. 

Si tratta, infatti, dello stabilire il grado di consenso raccolto dal governo di centrodestra in questi mesi di crisi finanziaria ed economica ed il ristrutturarsi dei rapporti di forza tra i grandi schieramenti: rapporti di forza che, stando ai sondaggi, stanno mutando proprio  a favore della coalizione di centrodestra.

La vigilia elettorale sarà caratterizzata dall'impatto che potrà avere sull'elettorato la formazione del nuovo Partito del Popolo della Libertà che ha messo assieme Forza Italia e AN (più un po' di “cespugli” di destra e di centro) con il dichiarato intento di realizzare il soggetto portante di una semplificazione del quadro politico che assuma tratti pressochè definitivi, collocando il nuovo soggetto politico in un ruolo assolutamente “centrale” rispetto al sistema politico, più o meno nella dimensione che per un lungo periodo aveva avuto la DC (in questo senso il PDL  punta ad una quota vicina al 40% e, non a caso, nell'eventualità di un  esito delle elezioni europee di questa dimensione si farà forte il “pressing” sull'UDC che potrebbe, con il suo pacchetto di voti calcolato attorno al 6%, garantire l'esito agognato, limitando anche il potere di interdizione della Lega Nord ad una dimensione territoriale ristretta. Senza dimenticare, sotto questo aspetto, che il 2010 vedrà i partiti alla prova, delicata e difficile, delle elezioni regionali dove il potere di coalizione risulterà fattore sicuramente determinante).

E dall'altra parte? Il PD, messo in un angolo più dalle proprie divisioni interne dovuto alla assenza di capacità politica da parte del gruppo dirigente di riuscire a costruire una identità culturale condivisa dalla provenienza di sinistra e da quella cattolica inseguendo sogni impossibili quali quelli del “partito a vocazione maggioritaria”, del “popolo delle primarie”, del “partito liquido”, non è stato capace di ripartire dal 33% e dall'appoggio di importanti strumenti di comunicazione di massa e di alcune strutture economiche, si trova di fronte alla prova più difficile.

Collocata l'asticella al 27% i Democrats si trovano ad affrontare l'ennesimo “referendum” attorno alla figura dell'attuale Presidente del Consiglio, con buone possibilità di perderlo e comunque chiamando ancora una volta il proprio elettorato a dimostrarsi semplicemente “anti” e senza disporre di una possibilità di articolazione dello schieramento di centrosinistra in grado di sopperire alla evidente crisi della “vocazione maggioritaria”, cui si accennava poc'anzi.

Le risposte alla crisi economica e finanziaria rimangono sullo sfondo proprio perchè il PD appare più spiazzato su questo terreno di altre formazioni: la crisi, come è stato fatto notare nel corso della settimana, è esplosa proprio mentre il partito venuto fuori dalla “fusione fredda” tra DS e Margherita stava accentuando i propri tratti “liberisti”. Adesso serve una rapida marcia indietro, ma si tratta di un mutamento di pelle che crea grandi difficoltà specialmente quando si sono lasciati indietro i propri tradizionali riferimenti sociali e non si è realizzata una presenza davvero di “dimensione nazionale”. Il rischio è, sul serio, quello di apparire un po' improvvisatori e populisti, richiamandosi in maniera un po' artefatta ad una tradizione socialdemocratica che non ha mai appartenuto davvero alla realtà delle diverse sigle succedutesi dal momento della liquidazione del PCI, in avanti.

A sinistra questo tipo di situazione apre la possibilità di uno spazio politico concreto (ed anche elettorale) anche se non pare ci se ne renda conto fino in fondo e si accumulino ritardi in una impostazione politica che ancora risente della crisi di identità di Rifondazione Comunista (ormai asserragliata in un bunker dal quale sarà difficile possa uscire indenne) .

Gli esiti di questa fase possono essere due: il successo pieno dell'operazione PDL che, di conseguenza, trasformerebbe il successo strutturale conseguito dalla destra sul piano elettorale e dell'egemonia culturale ( che si verifica essenzialmente al livello della comunicazione di massa, ricostruendo quella che Gobetti definì “l'autobiografia degli italiani” a proposito del fascismo) nella formazione di una vera e propria “coalizione dominante” sui cui termini temporali davvero non ci sentiremmo di porre limiti; oppure una riarticolazione del quadro politico che costruisca un nuovo sistema di relazioni a partire dal ritorno sulla scena di una sinistra democratica e progettuale, capace di ripartire dall'opposizione per elaborare una nuova visione della società italiana e del suo sistema politico.

Arrendersi alla sfiducia alimentando l'astensionismo, oppure ritornare al voto “utile” nel referendum “pro” o “contro” per riaffermare una “bipartitismo” diseguale, mi paiono errori da non commettere.

Savona,  27 Marzo 2009                                                         Franco Astengo