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Piccolo viaggio dentro la storia d’Italia partendo da Salò, da Mussolini
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Dal “fascismo in doppiopetto”
al “Popolo della Libertà” presidenzialista
Da Michelini, a Tambroni, Almirante, al “boia chi molla”, a Gianfranco
Fini
di Franco Astengo |
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Savona- Ancora pochi giorni: poi l'estrema destra italiana concluderà la sua parabola, almeno dal punto di vista della sua più importante soggettività politica rappresentata da Alleanza Nazionale, per confluire nel nuovo partito, questo sì a “vocazione maggioritaria” ed a conduzione “presidenziale” del Popolo della Libertà. All'importante fatto politico ha dedicato, queste mese, il proprio numero monografico “L'Europeo”, fornendo una retrospettiva davvero interessante, mentre resta sempre carente la bibliografia in materia, rimanendo fondamentale il testo di Piero Ignazi “Il Polo escluso” scritto ormai una quindicina di anni fa, proprio in occasione della prima svolta, quella di Fiuggi, con la trasformazione del MSI in AN. |
Per dirla in tutta banalità, molta strada è passata sotto i ponti: dalla quasi clandestinità nell'immediato dopoguerra, ai sei deputati strappati alle elezioni del 1948, al “fascismo in doppiopetto” di Arturo Michelini con il tentativo di inserimento nell'area di governo naufragato con i fatti del Luglio'60 e la caduta in piazza del Governo Tambroni, al ritorno di Almirante, alla contiguità con i gruppi terroristici, alla tumultuosa fase dei primi anni'70 con il “boia chi molla!” di Reggio Calabria, la confluenza dei monarchici,l'altro tentativo di abbraccio alla DC con il referendum sul divorzio, la scissione di Democrazia Nazionale, la lenta marcia verso quella trasformazione poi attuata a Fiuggi nel 1994 da Gianfranco Fini, l'approdo al governo con l' alleanza “asimmetrica” con Forza Italia e Lega ed il grande, costante, successo elettorale accompagnato da un forte insediamento sociale, specie nel mondo del lavoro (pensiamo al ruolo assunto dall'UGL, erede della vecchia CISNAL), un percorso complesso che ha contrassegnato, nel bene e nel male, questi sessant'anni di democrazia italiana in una dimensione sicuramente significativa. L' esito è sicuramente sorprendente per chi, in decenni, aveva vissuto colpito da due strumenti di precisa emarginazione all'interno del sistema politico italiano: la “conventio ad excludendum” (che è bene ricordarlo non colpiva soltanto il PCI) e l'esclusione, ovvia, dal cosiddetto “arco costituzionale” (di cui il PCI, invece, rappresentava uno dei capisaldi). Un bilancio sicuramente diverso e ben più positivo di quello vantato, sull'altra estremità dello schieramento politico, dagli eredi del PCI: un aspetto, quest'ultimo, sul quale comunque ritorneremo. Qual'è, allora, il bilancio di questo lungo viaggio dentro alla storia d'Italia, partendo da quelli che direttamente si richiamavano a Salò, al “fascismo sociale” dell'ultimo (e del primo!) Mussolini e ritenevano di poter innalzare ancora la bandiera della patria e dell'onore? Non ci è certo possibile, in questa sede, descrivere con la cura necessaria tutti i passaggi e gli elementi d'analisi necessari per delineare un quadro completo, come sarebbe utile per realizzare un adeguato livello di riflessione. Purtuttavia ci sia permesso affermare che, pur nella distorsione di alcuni elementi fondativi della vecchia strategia del MSI e attraverso il passaggio di una lunga fase di transizione che ha visto la vera e propria implosione dei principali soggetti dello “storico” sistema dei partiti in Italia, l'obiettivo di un oggettivo spostamento a destra del quadro politico italiano è stato realizzato. Uno spostamento a destra verificatosi in modo anomalo: il presidenzialismo ha assunto la forma della “appartenenza proprietaria” della soggettività politica, il corporativismo ha assunto la forma – pericolosa -del “populismo” ( il ruolo dei corpi intermedi, in questo fase storica, dal punto di vista dell'impianto teorico del centro -destra italiano riflette di più la logica del dialogo diretto tra il Capo e la folla che non, mi si perdoni il paradosso, quello instaurato all'epoca del ventennio. In questo senso il ruolo dei sindacati fascisti ed il passaggio della Camera dei Deputati, “eletta” attraverso i plebisciti del 1929 e del 1934 alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni nel 1939, andrebbe ancor meglio esaminato), il rapporto Stato – Chiesa, rigorosamente circoscritto all'interno del Concordato, appare – oggi – ormai del tutto saltato, a favore di una naturale interferenza delle gerarchie ecclesiastiche nelle vicende politiche del Paese (anche in quelle più minute, non soltanto nei casi clamorosi riguardanti i temi definiti, non del tutto correttamente, come “eticamente sensibili”). Insomma: la trasformazione del MSI in AN ha rappresentato un punto di attrazione non secondaria in questo spostamento e gran parte del vecchio “centro” orfano del pentapartito e già avviato, negli anni'80, verso la strada della concezione “schimmtiana” del ruolo del Governo nello Stato, ha ridefinito il proprio profilo in quello di una destra, sicuramente anomala dal punto di vista della tradizione conservatrice (come dimostrano, però, anche le vicende della sinistra, l'impatto della tradizione politica italiana con i modelli anglosassoni è davvero di difficile attuazione), venata di populismo, egoismo proprietario e razzismo (manca in questa nostra analisi, sempre per ragioni di economia del discorso, la parte relativa al presentarsi sulla scena della Lega Nord che, comunque, può benissimo essere assegnata a questa categoria, un po' impropria, ma che continuiamo ad usare per ragioni di praticità dello “spostamento a destra”). Verrebbe da dire “ben scavato vecchia talpa!”, anche se posti, prebende, incentivi selettivi, connaturati con la realtà della nuova struttura interna del partito che, ovviamente farà i conti con le trasformazioni strutturali avvenute nel corso di questi anni, richiederanno omaggi non formali allo Zar di turno e, allora, si cerca di resistere addirittura tirando in ballo la democrazia rappresentativa e la centralità del parlamento. La sinistra, o meglio gli eredi del PCI-PDS-DS e quant'altro, ha contribuito fortemente a questo spostamento di quadro: nel corso della settimana passata, sulle colonne di Repubblica, Nadia Urbinati ha dato conto con esemplare lucidità e capacità di sintesi degli errori piramidali commessi dalla dirigenza della sinistra italiana, tutti volti (adottando anche strumenti politici del tutto alieni dalla tradizione della sinistra italiana e mettendo assieme davvero ciò che era impossibile tenere assieme con uno stupefacente esito autolesionistico: impossibile “vocazione maggioritaria”, “primarie”, sbarramenti, e quant'altro. Tutte diavolerie volte a colpire al cuore il patrimonio politico più importante della sinistra, quello della capacità della più ampia possibile rappresentatività politica) a legittimare questo trasferimento d'asse dell'intero sistema . Il risultato complessivo è quello di un “bipolarismo” ( all'interno di un tentativo di trasformazione, addirittura, in “bipartitismo”) decentrato e strabico, con confini difficilmente spostabili ( l'interscambio tra i due schieramenti è calcolato, nella media delle più recenti elezioni legislative generali, circa in 3-400.000 voti, quindi una quota risibile, con il PD ,pretenzioso “bipartitista”, partito “regionale” confinato nelle vecchie “regioni rosse”, come dimostra il bel libro di Corbetta e Piretti, recentemente uscito per Zanichelli. Un' analisi rozza, questa che abbiamo appena presentato, ma che pensiamo sia provvista di un qualche elemento di verità: lo “spostamento a destra” fra l'altro avviene in totale assenza di una soggettività politica della sinistra italiana (salvo alcuni riferimenti ormai marginali). Non entriamo nel merito, come ci è già capitato più volte. Rivolgiamo soltanto una domanda: quando cominceremo a pensarci, senza l'assillo del costruire l'ennesimo, probabilmente inutile, cartello elettorale?
Savona, li 7 Marzo 2009
Franco Astengo
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