L’opinione/ Esiste un nuovo modo di far politica? Da Prodi a Veltroni, a …

Il “partito del cartello”

       e la malconcia democrazia

Intanto i dirigenti del PD savonese alle prese tra primarie e difficoltà politiche

 

      di Franco Astengo


Savona - Tra i dirigenti del PD savonese si è aperto un interessante confronto al proposito del metodo delle primarie, utilizzato recentemente per la scelta di alcuni candidati in diverse situazioni alle prossime elezioni amministrative: un dibattito che riguarda, essenzialmente, l'impatto politico delle primarie all'interno della vita interna del partito e sui suoi, successivi, risvolti esterni, in particolare nell'occasione dei confronti elettorali.

Nel complesso, però, questo confronto assomiglia molto, nelle diverse interpretazioni fin qui riportate dai quotidiani o lette in altre sedi, al dibattito di tipo “correntizio” che si sviluppava nei partiti di scena all'interno del sistema politico italiano in precedenza all'apertura della fase di transizione degli anni'90 del secolo scorso: 

in particolare pare di vivere momenti che animavano la vita di DC e PSI, i due partiti più importanti che all'epoca si reggevano appunto su di un regime interno di correnti organizzate, mentre nell'altro grande partito di massa il PCI, almeno fino al XVII congresso del 1986 (quello degli “emendamenti”, tanto per intenderci) vigeva formalmente un regime definito di “centralismo democratico”.

Queste similitudini, che si possono facilmente raccogliere guardando con attenzione a ciò che accade, fanno pensare ad un difetto di fondo, ad un “deficit teorico” nell'assunzione del modello delle primarie: “deficit teorico”, del resto già evidenziatosi alle prime prove italiane di questo strumento, allorquando (sia nel caso dell'investitura di Prodi a candidato – premier; sia in quella di Veltroni a segretario del partito) si registrò una competizione fondata su di un “candidato dominante” designato in una sede separata e proposta poi a quello che, con un termine davvero infelice dal punto di vista dell'uso dei termini in politica, è stato definito “popolo della primarie”.

E' bene , quindi, ricapitolare alcuni punti fondamentali.

Prima di tutto le “primarie” non rappresentano, come è stato incautamente affermato, un “nuovo modo di far politica”, anzi: si tratta, molto semplicemente, di un meccanismo formale di scelta dei candidati alle elezioni, in uso già da molti decenni in alcuni sistemi democratici, in particolare – come è noto – in quello statunitense, che si differenzia fortemente da quello italiano per due punti, quello della struttura dello Stato che negli USA nasce federale e quello relativo al sistema dei partiti che oltreoceano si presenta fondato – essenzialmente – su due soggetti in effettiva competizione formati sul modello della “coalizione dominante”, con altri soggetti che di volta, in volta si presentano sulla scena in forma episodica (pensiamo alle candidature di Ross Perot e, successivamente di Ralph Nader).

Dunque, nessun modo nuovo di far politica, ma semplice tentativo di importazione di un meccanismo formale di selezione dei candidati alle elezioni (non alle cariche di partito, beninteso: questo è un altro punto di equivoco da sciogliere subito) che non può essere adoperato – come vorrebbero i neofiti nostrani – come momento di rilegittimazione per un sistema dei partiti che si trova, strutturalmente, in assenza di una capacità di svolgere la propria funzione di corpo intermedio che svolge compiti di interazione tra sistema politico e società.

E' questo il punto da affrontare, e che dovrebbe essere oggetto di dibattito tra tutti i dirigenti politici e non solo tra quelli del PD: quello di sciogliere il “partito di cartello” che regge la malconcia democrazia italiana, tanto più in tempi di gravissima crisi, uscendo dal “tunnel” dell'offerta di una risoluzione individualistica dei conflitti, per tornare alla battaglia politica tra soggetti diversi, provvisti di identità e progetti politici “forti” ed alternativi.

In queste condizioni anche il meccanismo delle “primarie”, pur messo in moto con le migliori intenzioni, resta a galla tra pluralismo ed elitismo, senza evitare assolutamente – come dimostra proprio il caso savonese che si sviluppa, ovviamente, in una situazione di tipo assolutamente provinciale – la logica dei gruppi  che, oggettivamente, finiscono con il muoversi in controtendenza fra di loro, al punto di veder sorgere gli “autoconvocati” all'interno dello stesso partito o della stessa coalizione, in nome di un più di partecipazione democratica che, evidentemente, le “primarie” non sono state in grado di assicurare, almeno a giudizio di chi promuove questo tipo di iniziative.

La politica non può essere esercitata semplicemente attraverso investiture nominalistiche; la politica deve essere riconoscimento degli interessi; deve svilupparsi come processo dinamico, realizzando di volta in volta, con realismo equilibri che risultano comunque precari e mediati nelle istituzioni ( Bentley: Il processo di governo, 1908).

Se le “primarie” non hanno alle spalle un itinerario di questo tipo ed un ruolo importante nell'organizzazione di soggetti politici che debbono articolarsi in forme diverse, proprio per contenere il ruolo della molteplicità dei gruppi che li compongono, allora diventano  il luogo della compensazione irrealizzabile, ed il cristallizzarsi delle posizioni (ricordiamole: nominalistiche, attorno ad un certo numero di candidati) darà vita ad una analogo cristallizzarsi di quel processo correntizio, cui si faceva cenno all'inizio.

Il risultato: un partito strutturato per gruppi contrapposti, sempre e comunque.

Si evidenzia così la fallacia di un modello di troppo frettolosa importazione, non valutato nella sua realtà essenziale, il cui uso, in questo momento, appare davvero ad alto rischio nel quadro complesso del sistema politico italiano.

Savona, li 2 Marzo 2009                                                     Franco Astengo