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LA MONETA COPERNICANA

 

  Marco Giacinto Pellifroni

 

Marco Giacinto Pellifroni

Il denaro è il sangue dell’organismo economico.

Dobbiamo lasciare che a regolarne la creazione

e il flusso sia una lobby di banchieri privati?

“Se il popolo americano permetterà mai alle banche di

gestire l’emissione della sua moneta, allora, alternando

inflazione e deflazione, le banche e le società finanziarie

che cresceranno intorno ad esse spoglieranno il popolo

di ogni proprietà, finché i suoi figli si sveglieranno senza

un tetto nel continente che i loro padri conquistarono.”

Thomas Jefferson, 3° Presidente degli Stati Uniti, 1816.

 Le parole di Jefferson suonano come una profezia; e l’averla ignorata dal 1913, anno di fondazione della Federal Reserve, sino ai giorni nostri, ha consegnato al 44° Presidente USA, Barack Obama, una nazione con un’economia devastata dalla finanza bancaria. Né la creazione della Banca Centrale Europea, su questa sponda dell’Atlantico, ci ha preservato da una sorte simile, anzi.

Di questi temi si occupa con la consueta lucidità e indipendenza di giudizio l’ultimo libro di Marco Della Luna, “La moneta copernicana”, da poco uscito per le Edizioni Nexus. Il libro sarà presentato dallo stesso autore domenica 22 febbraio alle ore 17 nella sala comunale Gallesio di Finalmarina con il patrocinio del Comune di Finale Ligure e la collaborazione del sodalizio culturale Domenica Est, di www.truciolisavonesi.it e della Libreria Centofiori di Finale. Come introduzione all’incontro, riporto alcuni brani significativi, colti qua e là nelle pagine del libro.  

Pag. 96. “Il modello di riferimento della teoria democratica dello Stato non corrisponde affatto alla realtà, nella quale vi sono pochi, grandi soggetti mono/oligopolisti delle risorse e delle conoscenze (banche, multinazionali), strapotenti, soprannazionali, in grado di condizionare e ricattare dall’esterno ogni organo elettivo, di dettare le varie policies, e di prendersi il controllo anche diretto di funzioni pubbliche, a cominciare dalla sovranità monetaria. […] Praticamente la democrazia consiste nel far sì che la grande maggioranza, che in sostanza non sa e non capisce nulla del sistema e di esso si dà (quando lo fa) spiegazioni illusorie, accetti senza capirle e/o fraintendendole le decisioni di chi governa il sistema. Quindi la democrazia è un’oligarchia mascherata in cui l’elite mantiene l’esercizio e i vantaggi del potere, deresponsabilizzandosi però rispetto ad esso, ossia scaricandone le responsabilità sul popolo inconsapevole, in quanto gli fa credere di esserne esso stesso il responsabile, attraverso il suo voto e la scelta dei suoi rappresentanti [scelta recentemente scippata agli elettori. NdR].” 

Pag. 98. “Dio è morto, e di lì a poco è morta anche la Democrazia. Oggi il potere giustificante lo ha il mercato. […] In Italia, i post-comunisti, orbati del loro referente teorico, del loro modello socio-economico marxista, hanno curiosamente (e confusamente) adottato, in sua vece, il mercato, anzi una sorta di neomonetarismo, comprensivo di liberalismo, globalismo, privatizzazione dei servizi pubblici.”

Pag. 101. “Il principio del mercato dice che le leggi di mercato sono leggi naturali, oggettive, che portano all’impiego ottimale delle risorse, al massimo dell’efficienza. Esse sono la mano invisibile che automaticamente, se lasciata fare, realizza gli equilibri più vantaggiosi per la società. […] La politica detti solo le regole; meglio se della deregulation e della privatizzazione. Quindi è nel nostro interesse demolire lo Stato sociale, precarizzare tutto e tutti, privatizzare i pubblici servizi in mano a un azionariato cosmopolita e speculatore. Il che è la politica degli ultimi sedici anni almeno.”

Pag. 104 “…il mercato che c’è ha caratteri opposti a quelli del libero mercato, tendendo non all’ottimizzazione dell’uso delle risorse attraverso la concorrenza, ma alla stabilizzazione del potere politico e delle posizioni di rendita monopolistiche e cartellistiche, attraverso l’eliminazione della concorrenza, onde consentire l’imposizione di sovrapprezzi monopolistici o di cartello.”

Pagg. 107-8. “La popolazione generale e persino la quasi totalità degli imprenditori, dei politici, dei sindacati, vivono e operano in un mondo di cui ignorano o fraintendono le caratteristiche e il funzionamento di base, in cui subiscono o combattono o beneficiano di fatti economici importantissimi che però non sanno spiegarsi o si spiegano in modo illusorio, come gli antichi si spiegavano illusoriamente il sorgere e il calare del sole, o la pioggia e i fulmini. […] Ignorano soprattutto di vivere in un sistema in cui i mezzi monetari vengono prodotti senza vincoli di copertura in metalli o valute legali. […] Vivono e operano in questa realtà, ma non la conoscono, credono che la realtà sia quella della moneta quantitativamente vincolata da limiti esterni (copertura o depositi remunerati dei risparmiatori), e che quindi abbia un costo di produzione.” 

Pagg. 110-1. “Il totale della liquidità consiste per l’8% circa in denaro legale (banconote e monete di conio) e per il 92% in denaro contabile, ossia in promesse di pagamento (assegni circolari, accrediti di conto corrente, giriconto, fidejussioni, ecc.) create dalle banche e denominate in valuta legale. […]

Perché queste promesse di pagamento, costituenti il 92%, vengono correntemente accettate come se fossero valuta legale, anche se sono scoperte? La risposta è molto semplice, anche se lontana dal pensiero dell’uomo della strada: vengono accettate perché le banche se le accettano e riconoscono reciprocamente. Ossia le banche si convalidano reciprocamente gli assegni circolari, i bonifici, ecc. con un gioco di sponda che consente loro di emettere tutta la liquidità che vogliono e di prestarla lucrando l’interesse e pure il capitale, senza bisogno di avere una copertura in oro o in valuta legale contante. […] La banca quindi non presta il denaro della raccolta, quindi non è vincolata a una copertura di depositi dei clienti, tolta la minima quota di (dubbie) riserve ‘statistiche’ presso la banca centrale.”

Pag. 114-5 “Le banche, in sostanza, si sono messe nella condizione di creare denaro in proprio senza coprirlo con valore o garanzie patrimoniali proprie, ma coprendolo con beni dei loro stessi mutuatari, a cui però addebitano il denaro che esse stesse hanno così creato, ed esigono da loro un interesse su di esso. […] La raccolta serve soprattutto a mantenere le apparenze che la banca sia –come falsamente la definisce il legislatore- un intermediario del credito, anziché il suo creatore. […]Le banche si sono messe nella condizione di creare denaro a costo zero, ossia realizzando un incremento patrimoniale del 100% del valore del denaro creato. E per giunta, facendo figurare in bilancio che tale creazione comporta un’uscita di valore pari al capitale, contabilmente annullano tale incremento, così che su di esso le banche non pagano le tasse. [che ammonterebbero a centinaia di miliardi di euro annui. NdR]

A questo punto sorge un quesito: da dove viene il potere d’acquisto del denaro creato dalle banche? Non può venire dalle banche, ovviamente, dato appunto che esse non generano ricchezza reale. Quindi esso viene dai clienti-mutuatari, ossia da chi produce beni, servizi, lavoro. Potere d’acquisto che le banche, creando denaro scritturale, estraggono dal mercato e fanno proprio.

Pag. 116. “Il quadro è così completo: il sistema bancario privato, attraverso un gioco di sponda tra banche, crea il 92% della liquidità esistente a costo e rischio nulli per sé, e con aumento capitale netto del proprio patrimonio, che però non contabilizza e su cui quindi non paga le tasse e che deriva, in termini di aumento di potere d’acquisto delle banche stesse, da una pari sottrazione di potere d’acquisto dal resto della società. Aggiungiamo che il mercato, la società, che subisce questa sottrazione di potere d’acquisto e che paga anche le tasse cui le banche si sottraggono, non è consapevole di questa sottrazione né di questa elusione fiscale. La sua accettazione delle regole giuridiche e fiscali dipende dalla sua ignoranza della realtà monetaria.”

Pag. 117. “Il tipo di business che rende di più ai banchieri sono le frodi e il signoraggio. Per evitare le une e recuperare l’altro nell’interesse nazionale, è indispensabile nazionalizzare tutta l’attività di produzione di liquidità, lasciando ai banchieri privati solo l’attività creditizia vera e propria, ossia prestare soldi che realmente hanno guadagnato sulla forbice dei tassi e non sulla creazione di credito.”

Pag. 190. “Continuando l’attuale sistema bancario “l’Italia in breve sarà un Paese deindustrializzato, ancillare e colonizzato, un Paese di camerieri dipendenti precari di catene alberghiere possedute da capitale estero. Per evitare questo ormai incombente avvenire, avrebbe una sola e unica possibilità: nazionalizzare la moneta.”

Pag. 129. “La moneta di Stato appare come mera fantasia?” Nossignore: “Tutte le monete metalliche sono tali! Esse sono coniate dallo Stato. Il loro valore nasce come aggiunta al patrimonio dello Stato, ma non come credito verso qualcuno [a differenza della moneta cartacea e scritturale. NdR], bensì come proprietà.”

Ritengo che questa raccolta antologica sia già sufficiente a stimolare alla lettura degli altri capitoli del libro, che trattano della creazione artificiale di scarsità del credito, del passaggio ad un sistema monetario sostenibile, di PIL, globalizzazione e dominazione, nonché di una contraria lettura delle economie della Germania e del Giappone negli anni ’30 e ’40, grazie all’adozione della moneta pubblica e alla contestuale sparizione di ogni residuo di debito pubblico, in un’esplosione di benessere generale, mentre le economie degli altri Paesi occidentali languivano negli strascichi della Grande Depressione.

 

 

Marco Giacinto Pellifroni                                                     15 febbraio 2009