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IL LIBRO DEL MESE
 di Massimo Bianco

STRADA PROVINCIALE 3

 


Simona Vinci

Ha cominciato camminando, poi ha accelerato, passi sempre più lunghi, rapidi e contratti. Uno di seguito all’altro. Una maratona e poi di colpo, lo scatto: i fianchi che spingono verso l’alto, i muscoli delle gambe che si rattrappiscono e si slanciano in avanti. Le suole disfatte delle scarpe di tela che battono l’asfalto rugoso, i gomiti sollevati che oscillano avanti e indietro.

Non ha mai corso così. Non ricorda di averlo mai fatto. Non ricorda niente.

Questo è l’incipit di “Strada provinciale tre” di Simona Vinci (Einaudi).

Cosa può spingere una persona, una donna qualsiasi, forse sposata, comunque sicuramente con degli affetti, con dei doveri e una vita apparentemente felice, a scomparire nel nulla, all’improvviso, senza lasciare tracce?

Perché è esattamente ciò che accade alla protagonista di questo drammatico romanzo.

<<Chi non ha sognato, almeno una volta, di piantare tutto e tutti, e sparire?”>> Recita la quarta di copertina dell’edizione Einaudi, stile libero big. E ogni tanto qualcuno sceglie di sparire sul serio, sia nella vita, sia nella letteratura, che in proposito è ricca di precedenti, così come stavolta lo ha fatto Vera, la prima protagonista del racconto in questione.

A tratti si è sentita felice. Una specie di urto violento che si generava dentro di lei e si dilatava verso l’interno.

Sei libera. Libera.

Ma se alla lunga questa decisione ti abbrutisce, ti distrugge, ti riduce a una larva stanca e senza speranza, assetata e affamata? Ridotta a rubare i pasti a una sagra di paese, salvo poi gettarli via per la vergogna? Allora perché? Cosa ti spinge ancora? Sei libera, e ok, ma libera di cosa? E in tali condizioni, ha ancora senso parlare di libertà? Da quell’incipit e da questa serie di domande inizia una storia che si evolverà nell’arco di 228 pagine in maniera tutt’altro che scontata. 228 pagine per trovare, forse, delle risposte e per farsi una propria idea, perché anche questo è il bello, che ci si possono porre mille domande e darsi, forse, altrettante risposte. 228 pagine all’interno delle quali si susseguono eventi e personaggi in progressiva accelerazione, passando per l’incontro con Dimitri, il secondo protagonista, un ragazzo ucraino, immigrato clandestino, che affronta con sereno coraggio una vita difficile, per poi proseguire ancora, stavolta in due, verso nuove, inedite, situazioni.

È un romanzo straniante, Strada provinciale tre, anomalo e disturbante e forse proprio per questo affascinante. È un’accusa alla vita moderna, all’indifferenza e all’oppressione dell’ordinarietà, sviluppata con ottima tecnica di scrittura e condotta con maestria verso le sue tragiche conseguenze.

La strada provinciale in questione, per la cronaca, non è di fantasia. Trattasi, infatti, di arteria emiliano romagnola, La cosiddetta Traversale di Pianura, che taglia in due la Bassa e si snoda all’incirca tra Modena e Ravenna.

Chilometri e chilometri ininterrotti di asfalto, trafficati di auto e camion, lungo i quali si susseguono paesoni e campi coltivati, capannoni agricoli e industriali.

Se di Strada provinciale tre ne scrivo qui, ovviamente è perché il libro mi è piaciuto. Bisogna porvi attenzione, perché si tratta di un testo particolare, che potrebbe anche deludere, ma vale, credo, la pena di provare a leggere. Come andrà a finire la storia di Vera, dunque?

“<<Io spero solo che il telefono squilli da un momento all’altro e che qualcuno mi dica che Vera è stata ritrovata, così la vita – la nostra, e la sua – potrà ritornare com’era: normale, come quella di tutti>>, dice Gianna.

Normale. Come quella di tutti.”

Ma la sua vita sarebbe davvero come quella di tutti, poi? O non è forse vero, in fin dei conti, che la società moderna offre sia mille diverse opportunità di indirizzare per il meglio la propria esistenza, sia mille diverse possibilità di crearsi comunque degli interessi e degli sfoghi? Basta saperli e volerli cercare. E non avere pretese esagerate. Forse la felicità non esiste, ma chi s’accontenta gode, anzi, come dice Ligabue, “chi s’accontenta gode così, così”.

Chi è causa del proprio male, pianga se stesso.

 

Massimo Bianco