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GIURO DI NON DIRE LA VERITÀ

 

  Marco Giacinto Pellifroni

 

Marco Giacinto Pellifroni
Chi sceglie di, e riesce a, mettersi al servizio delle istituzioni sa in partenza o impara cammin facendo che la prima prerogativa cui deve uniformarsi è quella di astenersi dall’esprimere suoi personali giudizi, ma di attenersi a quelli che le istituzioni vogliono che ciascuno esprima, a seconda del ruolo che occupa. Ciò che conta, ai fini del mantenimento del potere da parte dell’ordine costituito, non è la verità, bensì l’immagine che se ne trasmette al popolo, ossia a quella massa di individui che si vuole ragionino secondo gli schemi opportunamente predisposti dal potere e dai suoi organi d’informazione.

Ci sono quindi due “verità” parallele: quella delle aule e quella dei corridoi, quella dell’informazione embedded e quella che circola tra la gente, sempre più attraverso Internet.

Io ho faticato non poco nei ripetuti tentativi di comunicare coram populo una verità che avevo scoperto proprio attraverso Internet e canali editoriali minori; una verità oltre ogni immaginazione e di cui quasi tutti sono completamente ignari: il fatto che il sistema bancario è un castello di carte, che vanta crediti che non ha, e che su questa pretesa ingrassa se stesso e chi lo sostiene (la famigerata casta).

Qualcuno, come il prof. Giacinto Auriti, lo ha fatto prima di me rivolgendosi alla magistratura, col risultato di vedersi infliggere una condanna pecuniaria e spese di causa. Le banche infatti hanno saputo erigersi intorno il miglior vallo difensivo: l’incompetenza degli organi giudiziari a indagare le sue attività, dato il carattere meta-giuridico dell’ordinamento che ne regola i conteggi e i bilanci;  nonché la generale ignoranza sul funzionamento dei meccanismi bancari, per carenza di informazione, da parte del grande pubblico, ma anche degli stessi magistrati.

Visti i precedenti, ho evitato di seguire la stessa strada, e mi sono rivolto ai partiti. A quasi tutti i partiti. Non dovrebbero svolgere essi la funzione di recepire le giuste istanze o denunce dei cittadini, veicolandole in Parlamento affinché leggi adeguate assicurino i rimedi alle disfunzioni portate alla loro attenzione?

Solo in un paio di casi, e solo in campagna elettorale, contenitore temporale di promesse & promesse, il discorso sulle banche fu blandamente inserito nei programmi, per poi metterlo da parte e dare spazio ad “altri temi più urgenti”. La graduatoria delle urgenze è dettata dai vertici; e comunque questi non permetteranno mai che il discorso bancario venga “spontaneamente” alla luce: è anche dalle banche che ricevono i fondi per vincere le elezioni e mantenere i loro privilegi a scapito di tutti coloro che devono ingegnarsi 365 giorni all’anno perché lorsignori si occupino dei nostri problemi, mentre in realtà è il mantenimento a vita degli agi di cui godono senza vergogna la loro preoccupazione primaria: prova ne sia che, mentre milioni di italiani stanno per perdere o ridurre all’osso ogni forma di sostentamento, loro non sentono il dovere morale di tagliare neppure un euro dai loro grassi e immeritati stipendi.

 

La deriva verso l’oligarchia plutocratica

Immeritati? Sì, immeritati in quanto è viziata la loro elezione. Non può chiamarsi democratica l’elezione di persone che dovrebbero rappresentare le varie istanze popolari, quando:

a)    le campagne elettorali richiedono impegni finanziari al di fuori della portata di chiunque non sia un miliardario, in proprio o come testa di legno dei produttori di capitale (peraltro fittizio);

b)   il Parlamento, anziché essere eletto dalla base, è designato dai vertici;

c)   i partiti, previsti dalla Costituzione come veicoli di raccolta e trasmissione al Parlamento delle istanze popolari, sono ormai come le chiese: vuoti di gente, ma coi vertici che vorrebbero far credere di continuare a rappresentarla;

d)   la libertà di critica politica è vieppiù soggetta a minacce e ricatti di querele, rovinose per chiunque non disponga dell’immunità parlamentare o delle ingenti somme di denaro necessario a difendersi nelle aule di giustizia;

e)   i vertici si impegnano affinché non chi tra loro commette reati, ma chi indaga e li scopre, venga perseguito;

f)    le autorità monetarie sono schermate da ogni indagine giudiziaria; non sono elette dal popolo e godono del segreto su ogni loro atto;

g)   il punto f) è tanto più grave in quando la politica monetaria non è prerogativa dello Stato ma di una lobby di banchieri privati.

Queste sono le basi per la costituzione di una plutocrazia totalitaria, il cui unico scopo, come in una qualunque azienda privata, è il ricupero, con abbondanti premi di rischio, degli investimenti fatti. Ricupero che si materializza nella “riconoscenza” che gli eletti devono tributare ai grandi elettori (i finanziatori), divenendo di fatto ostaggi di questi ultimi. Ergo, rappresentanza popolare e libertà di manovra politica = zero.

Questo discorso vale per i partiti maggiori, quelli cioè sui quali valga la pena puntare dei soldi; quelli, per intendersi, del “voto utile”. Quelli piccoli vengono messi nel limbo grazie alle barriere di accesso al potere. In essi, infatti, il cinismo non ha ancora sopraffatto del tutto la spinta identitaria, al servizio di un distintivo ideale. Stranamente, tuttavia, neppure in questi riesce ad allignare il rigetto anti-bancario: i militanti sono così “saturi” dei loro ideali che sembra non rimanere spazio per altro. Non riescono a vedere che la matrice di tutte le carenze di cui soffre il Paese risiede proprio nella manovra monetaria, la cui leva è in mani ben lontane dai luoghi dove essi tuttora credono vengano prese le decisioni cruciali per la nazione. Discorso valido non solo per l’Italia, ma per tutte le nazioni “democratiche”, sotto la cappa di paure indotte dallo stesso sistema che si offre di fugarle; al prezzo della libertà, della rappresentanza e del nostro tenore di vita.

Infatti, non corrisponde alla descrizione appena data il comportamento dei governi nei confronti dei grandi complessi bancari? È forse nell’interesse dei cittadini europei o americani la valanga di migliaia di miliardi di dollari ed euro prelevati dalle loro tasche e riversati negli agonizzanti bilanci dei vari colossi del credito? Dopo i fatti degli ultimi mesi penso sia ormai chiaro a tutti che quanto vado scrivendo, se poteva apparire paradossale e incredibile sino ad uno o due anni fa, oggi si è dimostrato veritiero al di là di ogni ragionevole dubbio.

Naturalmente, si è detto che tutti questi maxi-salvataggi non sono stati fatti tanto per le banche quanto per proteggere gli impoveriti risparmiatori. Il solito nobile intento a giustificazione di manovre assai meno nobili. Strano che il buon cuore delle istituzioni si riveli solo in casi come questo, mai quando si tratta di salvare quegli stessi risparmiatori da rapine assodate e continuate, signoraggio in testa.

E con questo arriviamo al vero nodo di Gordio. Non si risolvono i guai economici delle nazioni se prima non si estirpa questo cancro, che premia i banchieri invisibili con il frutto del lavoro di interi popoli. Primi fra tutti i Paesi del Terzo Mondo, messi alla fame da decenni di “prestiti” occidentali a strozzo.

L’Italia si dissangua ogni anno di circa € 80 miliardi per darli ai banchieri come interesse sull’inesistente debito pubblico. Aggiungeteci il debito privato, che corrisponde a tutti i soldi che sono entrati in circolazione attraverso i “prestiti” delle banche commerciali. Tutti soldi da guadagnare poi col nostro lavoro per “restituirli” ai prestasoldi, che nulla hanno prodotto per “prestarceli”, avendo il privilegio di crearli pigiando sui tasti di un PC, sottraendoli ipso facto al potere d’acquisto di tutti.

Sfilano a Ballarò, Anno Zero et sim. politici di vario colore, ma unanimi nel ripetere sconsolate considerazioni sul nostro debito pubblico. Mai che trapeli su questo punto il minimo dubbio: lo danno per scontato. Ovvio, il presunto indebitamento giustifica lo Stato anti-sociale che sta prendendo forma dall’inizio della tempesta finanziaria; giustifica le politiche di rigore e di austerity (non per loro, però). Agitano lo spettro del debito pubblico, senza mai spiegarci che cosa lo Stato abbia mai ricevuto, altro che carta e bit su un PC, dai presunti prestatori.

Si ripete, a livello nazionale, il meccanismo perverso con cui BM e FMI strangolano i Paesi in difficoltà: in cambio di soldi fasulli impongono le loro ricette di “lacrime e sangue”, per trascinarli nel mix di miseria e debito infinito da cui non riusciranno mai più a liberarsi. Ultima vittima, la Lettonia; dopo solo 4 anni di accesso alle “gioie” della globalizzazione, dietro front. La festa è finita. Sorry.

Un dietro front cui stanno andando incontro, uno per volta, gli anelli più deboli della catena, Italia compresa. De-globalizzandosi. I nostri politici vedono ciò come una iattura, mentre potrebbe essere un’opportunità, se la frantumazione si limitasse ad aree di influenza politica e commerciale più omogenee, e corrispondenti ai grandi blocchi continentali: americano, euro-russo, cino-asiatico e africano; con tanti saluti ai grandi trasporti transoceanici.

Ma il passo decisivo verso un mondo siffatto, con grande respiro ecologico per una Terra sofferente, è la riduzione delle banche a semplici intermediari del credito, con l’emissione di moneta di esclusiva pertinenza dello Stato, sia pure europeo. Con una messa di requiem per debito pubblico e interessi composti ai banchieri privati che parassitano il mondo con la creazione di moneta a debito, secondo lo stesso meccanismo che ha permesso agli USA di inondare di fiat money, denaro dall’aria, il resto del pianeta, e finanziare così  l’American way of life e costosissime guerre di rapina. La festa sembra finita anche per loro. Ma cercheranno di vender cara la pelle, stiamone certi, con o contro Obama, se non si adeguerà ai desideri dei suoi grandi elettori, che l’hanno opportunamente circondato dei loro cani da guardia, come il Ministro della “Difesa”, Gates, e quello dell’Economia, Geithner: il primo per le sue ottime performances in Iraq e Afghanistan: deve finire il lavoro; il secondo per aver fornito dal settembre 2007, nella sua qualità di governatore della Fed di New York, una capiente discarica per i titoli spazzatura in pancia alle banche contro denaro contante, frutto del lavoro dei contribuenti americani. Entrambi sono una garanzia di continuità.

 

 

  

Marco Giacinto Pellifroni                                                 8 febbraio 2009