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LA SINDROME DI NOÉ

 

  Marco Giacinto Pellifroni

 

Marco Giacinto Pellifroni

Quella che viene ormai unanimemente chiamata la “tempesta perfetta” è entrata nel suo diciottesimo mese di vita e non dà cenno di acquietarsi; anzi, il 2009 viene annunziato, anche da FMI, BCE e Bankitalia, come quello che vedrà le ondate più possenti abbattersi sull’economia.

Sfiancati da un anno e mezzo di marosi, da una valanga di debiti e in attesa del peggio, gli italiani (privati e aziende) invocano un intervento “superiore”, come ai tempi del diluvio universale. Oggi però nessun dio s’è fatto vivo in tempo utile per esortare alla costruzione di un’arca, e ci si aspetta così che sia lo Stato a costruirla a tappe forzate: una novella arca il cui nocchiero, nei panni di Noé, dovrebbe essere… Tremonti. 

In giro per il mondo ci sono altri nocchieri, all’apparenza più solleciti del nostro, prodighi di interventi statali per la costruzione delle rispettive arche, che tuttavia mostrano vistose falle e devono sfidare il mare aperto imbarcando acqua.

Fuor di metafora, i governi dei Paesi più industrializzati sembrano disporre di una medicina sola per curare il malanno: iniezioni di liquidità. Questo in quanto il malanno, sino a un anno fa diagnosticato come inflazione, è ora mutato nel suo contrario: deflazione. L’economia mondiale soffrirebbe di una crisi di liquidità.

Non tutti gli osservatori finanziari, però, la pensano così. Qualcuno*, seguace  della scuola economica Austriaca, afferma che la situazione odierna è viziata da un male ben peggiore, in quanto gli antidoti sono scarsi se non nulli. Si tratta di una crisi da insolvenza generalizzata. La crisi di liquidità, contro cui tutti cercano di combattere, non sarebbe quindi la causa, bensì l’effetto di questa insolvenza.

Insolvenza che a sua volta è l’effetto di troppi anni spesi accumulando debiti nei confronti del futuro. Il conto da pagare è arrivato. Ma nessuno ha i soldi per pagarlo: sono già stati spesi; e a scadenza ci sono solo le cambiali, insolute.**

Ho parlato tempo fa dello schema Ponzi^, tornato di attualità con lo scandalo Madoff. Oggi ci troviamo di fronte ad uno schema Ponzi invertito: negli anni passati è già stato speso quello che avremmo dovuto produrre oggi col nostro lavoro. Il triste è che il lavoro sta riducendosi a vista d’occhio: niente lavoro = niente reddito = niente pagamento dei debiti. Se il lavoro residuo diventa sempre più precario e discontinuo, le spese sono ridotte al minimo indispensabile, per fronteggiare le sicure emergenze che il futuro ci prospetta.

In questo clima, sempre più gente si trova in condizioni di insolvenza: non solo chi perde il lavoro, ma anche chi un lavoro o una pensione ce l’ha, come anche chi svolge una piccola attività che sino a poco fa gli permetteva almeno di campare, mentre ora finisce probabilmente in perdita, a causa della caduta della domanda e del rarefarsi della clientela. Si procede verso il “nessuno riesce più a pagare nessuno”. Crescono così i minacciosi solleciti di pagamento, tanto più cogenti quanto più a farli sono banche, grandi società o enti pubblici, ai quali i giudici concedono senza batter ciglio la provvisoria esecutorietà. Di qui, pignoramenti e sfratti; poi, una vita di espedienti, ai limiti o fuori della legalità. Con relativi attentati alla sicurezza generale; che i governi affrontano solo con misure protettive e repressive a valle.  

Minor lavoro e minori acquisti vogliono anche dire minori entrate fiscali. Per quanto orbo sia il PIL, che considera positivo ogni scambio commerciale, anche quando si tratta di scambi diseconomici, il fisco insegue il PIL; per cui, in un’economia asfittica, è asfittico anche il prelievo tributario. C’è da chiedersi allora se abbiano un senso gli appelli che vengono rivolti in forma sempre più pressante al nocchiero Tremonti affinché allenti i cordoni di una borsa che si prospetta sempre più leggera, per riversare su singoli e imprese soldi da spendere: spendiamo, orsù, spendiamo, per il bene della nazione!

  Soldi che tuttavia finirebbero una volta di più per gravare sul domani nostro e di chi verrà dopo di noi. Egli giustamente ritiene che non sia questa la cura adatta; anche se, d’altro canto, non sembra sapere quale altra lo sia.

E a questo punto torno a quanto scrissi qualche numero fa sulla natura prettamente psicologica dell’economia, dove tutto quanto accade è frutto di calcoli umani, che portano ad agire in base a quello che si presume altri come noi faranno; quindi in regime di continuo feedback. Di qui l’estrema difficoltà di trovare il rimedio più idoneo. Vediamo meglio il concetto.

Si è detto più sopra che la crisi attuale non è di liquidità, ma di insolvenza. Ciò significa che la liquidità esiste; ma allora, come mai non appare, e ci troviamo in deflazione? Se esiste ma non appare è perché la liquidità è bloccata. Si sente ripetere, e a ragione, che la liquidità viene bloccata dalle banche, dopo le batoste subite per cause interne al loro circuito e originate negli USA. Ma è bloccata anche da tutti coloro che, svanito il mattone, non si fidano più di altro che non siano banconote o monete auree che possono stringere tra le mani, sottraendole a un mercato impazzito e alle fauci del fisco, di sanzioni esorbitanti, di ingiunzioni giudiziarie. Siamo tornati, anche se pochi lo confessano, ai “soldi nel materasso”; o, oltre una certa soglia, ai titoli di Stato, considerato l’ultima sponda di solvibilità. E se deve esserlo, ha ragione Tremonti a fare di tutto, compresa la garanzia statale sui depositi bancari, perché non affondi anche quest’ultima zattera, evitando lo sconquasso totale e il “si salvi chi può”.

Se una formula per uscire senza sofferenze da questa situazione non la conosce nessuno, rimane tuttavia lo schiaffo morale di disuguaglianze di reddito che vanno recriminate con forza. Su questo versante l’inazione del governo è davvero condannabile. Se non è in grado, e abbiamo visto quanto poco lo sia e lo sarà, di alleviare tutti i disagi della crescente fascia più debole della popolazione, non si capisce per quale motivo, che non sia una deprecabile, egoistica  indifferenza, non riduca a livelli meno odiosi gli emolumenti dei suoi parlamentari e delle alte cariche dello Stato, a cominciare dal Quirinale: valga l’esempio di Barack Obama, che ha subito fissato un tetto di $ 100.000 a tutto lo staff della Casa Bianca. Per contro, il Quirinale ci costa il quintuplo di Buckingham Palace. Più che i redditi assoluti, sono i redditi relativi tra le varie fasce che determinano quello che con termine desueto non esito a definire a tutti gli effetti “odio di classe”. Odio da chi vive sotto la soglia di € 1000 al mese verso una pletora di parlamentari che ne prende 15-20 volte tanti, spesso per qualche sporadica scaldata di banchi.

Ci si riempie la bocca con i diritti civili, l’inaccettabilità delle discriminazioni di razza, di genere, di religione, di inclinazioni sessuali e quant’altro, ma si tollera il perdurare di differenze abissali di classe sociale dovute ad una sperequazione retributiva che ha superato senza scalfitture tutte le contestazioni dal ’68 in poi. So bene che non sarà coi tagli in alto che si potranno alleviare che in minima parte i disagi di chi sopravvive con poche centinaia di euro al mese; ma un governo degno del nome deve almeno tentare di ridurre un’ingiustizia così plateale e crudele, cominciando a dare l’esempio in prima persona: i nostri VIP politici hanno ampio margine di riduzioni prima di soffrire la fame!

Destra, centro, sinistra? Qualcuno pensa che dicano ancora qualcosa simili distinguo, quando ci dibattiamo in problemi di questa portata? Di che colore sono le considerazioni che ho svolto sinora? Un arcobaleno, direi. Il dilemma è che, dando gli aiuti ai poveri col contagocce, come sta facendo Tremonti, non se ne risolve il problema esistenziale, se ne garantisce la pura sopravvivenza. In compenso, forse si salva la credibilità e la solvibilità dello Stato, ossia dell’arca di tutti. Seguendo invece le esortazioni bipartisan di sinistra, CGIL e Confindustria, di elargire maggiori “stimoli” all’economia, ci si incammina sulla strada percorsa sinora, di crediti oggi e poi si vedrà: una strada che porterebbe diritti verso la Germania dei primi anni ’20 (Repubblica di Weimar) o all’odierna Zimbabwe, dove il tasso di inflazione sale di ora in ora. Altro che ripresa nel 2010. Come la scuola Austriaca non cessa di ammonire, totalmente inascoltata.^^ Da decenni va di moda la scuola contraria, keynesiana, che cerca la soluzione alle crisi mediante massicci interventi statali.

La prima strada comporta dolori per molti, oggi; la seconda tragedie per tutti, domani. Mi sembra che Tremonti, remando controcorrente, sceglierebbe la prima, se potesse. Il resto del mondo occidentale ha decisamente optato per la seconda, rompendo oggi il salvadanaio coi soldi virtuali di domani, anche per salvare imprese decotte e per non scalfire i privilegi della classe politica e bancaria.

E, come ammonisce lo stesso Trichet, sarà chi viene dopo a pagare i nostri conti in rosso. 

 

* Vedi: http://www.europe2020.org/spip.php?article586&lang=en.

** Vedi: ASCA, 21/01/2009: “Famiglie italiane indebitate per € 21.000 ciascuna. In dieci anni credito al consumo +911%, mutui +378%.

^ Vedi: “L’ABC per truffare miliardi”, su Trucioli del 21/12/2008 e  “La truffa di Madoff: metafora dei giorni nostri”, di Llewellyn H. Rockwell jr. (traduzione mia), su questo stesso numero.

^^ Vedi:  http://mises.org/story/3310 .

Marco Giacinto Pellifroni                                                          25 gennaio 2009