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Da Tangentopoli ai vertici della Confindustria di La Spezia,
attraverso Savona Il piatto servito di Enzo Papi Un blog piemontese riapre una ferita sui rifiuti, molto attuale nel savonese dove si muovono società ed interessi trasversali. Chi tifa l”emergenza “made Napoli”?
di
Luciano Corrado |
Il business dei rifiuti in Piemonte
|
Savona –
Il “viaggio”di Trucioli Savonesi, iniziato la settimana scorsa,
sulla storia di “rumenta, affari e politica” (METTIAMO UN CARTELLO AL
COLLO AI SINDACI INCAPACI) della provincia di Savona, si propone tre
obiettivi: 1) spiegare, documentare ai cittadini-lettori cosa è accaduto
fino ad oggi, attraverso la
cronaca-archivio dei giornali; 2) capire perché è fallita la “raccolta
differenziata” (con rare eccezioni) e chi sono i maggiori responsabili
pubblici pagati per il posto
che occupano; 3) individuare le soluzioni più realistiche, ma tenendo
presente il pericolo di una regia (occulta?) trasversale a partiti,
lobby, finanza, con interessi poco cristallini, inconfessabili. La prova del nove dei timori quasi certezze? Il clamoroso fallimento, nella stragrande maggioranza dei 69 comuni della provincia, proprio della raccolta differenziata, sempre sbandierata, rimasta pressoché al palo. Difficile da addebitare alla sola mancanza di volontà o capacità politica, alle divisioni, agli “ambientalisti” pasticcioni, assai deboli e divisi in questa provincia. |
Discarica di Vado Ligure |
C’è chi intravede, semmai, una “manina” con più soggetti interessati. Pronti a sfruttare un nuovo redditizio business (la storia passata ci aveva raccontato di affari e corruzione nell’ambito rifiuti tossici e speciali), legato in qualche modo ad impianti che “nascono” con un obiettivo dichiarato, ufficiale e finiscono col diventare “grandi forni crematori” con la scusa di dover far fronte ad un emergenza alla napoletana. Ormai è risaputo.
Nessuno vuole sul proprio territorio discariche, mentre in passato
ogni centro, sulla costa o nell’entroterra, aveva il proprio “rumentaio”.
Il “fai da te”. Gli inceneritori o impianti vari (termovalorizzatore,
gassificatore, biomasse…) scatenano ricorsi, timori, interrogativi
spesso senza risposte convincenti o autorevoli in campo scientifico. |
I pochi comuni
(Borghetto, Balestrino ed alcuni piccoli centri della Valbormida) che si
sono detti disponibili ad ospitare gli impianti pongono precise
condizioni, anche comprensibili, di conseguenza diventano incognite sui
tempi di soluzione. Oppure ci sono i veti dei confinanti, fece clamore
la disputa tra il sindaco di Alassio, Marco Melgrati (<si
all’impianto di smaltimento, purchè i contribuenti alassini abbiano un
beneficio economico>) ed i colleghi di Villanova e Garlenda. Di chiacchiere, promesse non mantenute ed immancabili annunci sono zeppe le cronache; ci sarebbe bisogno assoluto di certezze e tempi brevi. Tappe precise, scadenze rispettate. Preme una popolazione residente che triplica in alcuni mesi dell’anno e produce 200 mila tonnellate di rifiuti. C’è un’immagine turistica, per quel che rimane, da salvaguardare se non si vuole davvero la catastrofe. Sono rimasti in
attività due sole discariche (a Vado e a Varazze) ed erano
prevedibili le conseguenze. Per molti comuni sono dietro l’angolo
(peraltro già annunciati in qualche caso) aumenti dei costi di
smaltimento e aumento di tasse. Altri sacrifici, altri tagli sui bilanci
delle famiglie, delle attività commerciali e turistiche, in anni
difficili, per alcuni drammatici. |
Enzo Papi |
I “paesi civili”,
dal Nord Europa, agli Stati Uniti, all’Australia,
al Giappone, hanno puntato da decenni alla raccolta “porta a
porta”, alla differenziata spinta al massimo della potenzialità. Hanno
iniziato la dismissione dei vecchi impianti di incenerimento, cercando
di limitare al massimo la combustione attraverso l’innovazione
tecnologica, facendo della “differenziata” una risorsa (riciclo). |
Ed ora sta
provando, per la raccolta differenziata, un robot “Wall-e”. Ora in
tournè in Italia, per poi trasferirsi in Spagna (Bilbao), in Svezia (Orebro),
in Corea e a Tokyo. I scenari savonesi
vedono una provincia che ha un “piano rifiuti”, ma bloccato da liti,
veti, reciproche accuse. Senza conoscere la parola autocritica da parte
dei contendenti. La parola “cari cittadini vi chiediamo scusa per il
vergognoso ed inammissibile ritardo…”. Con vigliacchi che fingono di
essere arrivati ieri nelle stanze del potere e della politica.
Nonostante da 20-30 anni scaldino le poltrone, seppure con ruoli
e maglie diverse. Siamo alle solite.
Lo spettacolo, indecente, del “ping-pong” tra esponenti del “Popolo
della Liberta” e centro-sinistra, a sua volta diviso, rissoso, con
gruppi e gruppuscoli. La pessima pagina scolpita dall’Amministrazione
provinciale, ultima edizione, con le lacerazioni che hanno coinvolto, in
prima persona e tra veleni, annunci (resteranno tali) di querele, il
presidente dimissionario, Marco Bertolotto, superprimario del
Santa Corona. Il “piatto” è
servito a chi sa benissimo che la “monnezza”, dicono a Napoli,
capitale della vergogna-rifiuti, può tramutarsi in “boccone d’oro”.
Come lo dimostrano le inchieste (spesso finite in farsa e dimenticate)
che fino alla soglia degli anni duemila si erano susseguite dalla
Riviera (vedi…
vicenda dei fusti di veleno a Borghetto), alla Valbormida, alla scoperta della sorte
dei rifiuti tossici dell’Acna interrati illegalmente in
Campania. Intanto per la
cronaca segnaliamo, come riflessione, la mail che è stata inviata
anche al circuito savonese dei blog, con un articolo-documento (in
parte) scritto da Davide Pelanda, dal titolo “Il
business dei rifiuti in Piemonte”. Il nostro contributo si limita a colmare un vuoto di cronaca e di memoria storica. L’articolo cita più volte Enzo Papi, attuale presidente di Confindustria La Spezia (l’ultima sua foto è stata pubblicata nell’ambito di un’intera pagina sulle conseguenze della crisi nazionale in Liguria, dedicata dal Sole 24 Ore-Nord Ovest vedi…). Papi non è stato solo alla ribalta nella stagione di Mani Pulite di Antonio Di Pietro, a Milano. A Savona il nome di Papi era tra i 16 imputati di cui il procuratore della Repubblica, allora in carica, Renato Acquarone (poi diventerà presidente di sezione della Corte di Cassazione, dopo essere stato messo in croce a Savona per le sue inchieste scomode nel mondo delle cooperative rosse e dei finanziamenti all’allora Pci) chiese il rinvio a giudizio nel marzo del ’94. Diciamo subito che il primo troncone (il principale) andò a sentenza e l’epilogo finale fu l’assoluzione. Risparmiamo cosa accade durante la costituzione di parte civile ad opera del Consorzio per la depurazione delle acque (in origine rifiuti solidi urbani), che era parte lesa. |
Antonio Mirgovi |
Con queste tappe più significative: il 10 gennaio 1994
richiesta di arresti domiciliari per Antonio Mirgovi ed Ulrico
Bianco, ritiro del passaporto con divieto di espatrio per
Giovanni Milano. Il 15 gennaio, cinque giorni
dopo, ordinanza del giudice per le indagini preliminari, Fiorenza
Giorgi, che accoglie la richiesta di arresto. Il 7 marzo,
sempre 2004, segue la richiesta di rinvio a giudizio. L’8
novembre il rinvio a giudizio. Seguono diversi “non luogo a procedere”, “archiviazioni”, revoca di ordinanze e il decreto di giudizio per alcuni imputati ed alcune imputazioni. L’avvio del processo nel 1995-’96 il fortino accusatorio venne espugnato dai periti e soprattutto da un impressionante corazzata di avvocati, non solo tra i più quotati a Savona, ma del foro italiano, compreso il compianto Vittorio Chiusano di Torino, legale e dirigente della Juventus, un ottimo “maestro del diritto”, delle aule di giustizia e “maestro venerabile” di Piazza del Gesù. |
Tra gli imputati, oltre a Mirgovi e Bianco (col maggiore numero di imputazioni), figuravano Giusto Gaddi, Guido Andrea Ceresa, Claudio Chiocchetti, Enzo Papi, Elvio Varaldo, Alessandro De Stefanis, Pietro Morea, Raffaele De Vincenti, Alberto Teardo, Giovanni Milano, Adorno Sacchetti, Silvano Parodi, Lucio Levratto. Per la storia ci limitiamo – visto che riferiamo
quanto pubblicato sul blog da Davide Pelando – a richiamare
quello che era il capo d’accusa per Papi e Chiocchetti,
firmato dal procuratore Acquarone, per frode nelle pubbliche
forniture: <… rispettivamente quale amministratore delegato dell’Impresit
e direttore dei lavori
per conto dell’appaltatrice
dal 1-11- 1987 in poi, non ponevano al riparo alle
difformità qualitative e quantitative già verificatesi …ed
omettevano inoltre di adempiere le obbligazioni contrattuali
dell’appaltatrice per quanto riguarda la sistemazione degli scarichi
a mare preesistenti e l’impianto di telecontrollo>. Il lettore che ha interesse, può senz’altro prendere atto che l’imputato Enzo Papì fu il primo ad uscire dall’inchiesta per “non aver commesso il fatto”. Insomma “vittima” della giustizia, almeno a Savona. Poco importa il suo curriculum-identikit giudiziario raccontato nei dettagli, nell’ambito di tangentopoli. “Promosso” ai vertici della sede di Confindustria a La Spezia, di cui oggi è presidente. Non è esatto, come scrive Pelanda, che di Enzo Papi non sia mai uscita una foto sui giornali, all’epoca dell’inchiesta, abbinandola all’ampia collaborazione con i magistrati inquirenti. IL Secolo XIX dell’epoca (vedi la pagina dell’8 gennaio 1994) ha ripetutamente pubblicato la foto di Papi, ha titolato servizi, l’ha ripreso in tutte le circostanze di cronaca possibili. (vedi….). Se la Confindustria, se il suo giornale (che si sta distinguendo non da oggi con esemplari inchieste giornalistiche sul malaffare, malgoverno, malcostume, mal di meritocrazia in Italia), non hanno ritenuto di “mettere da parte” Enzo Papi ci sarà una ragione. Magari per i suoi “servizi” resi allo Stato, ad un certo mondo imprenditoriale con qualche conto in sospeso e impossibile cancellare. Luciano Corrado Pubblichiamo, inoltre, come notizia storica una lettera pubblicata dal Secolo XIX, in quel periodo in risposta ad un dirigente dell’allora Pds che esaltava le assoluzioni e lamentava il “linciaggio”: <…Caso Depuratore, L’accusa sostiene che l’impianto è costato il triplo rispetto al previsto e che dai conti sono spariti circa 30 miliardi. Inoltre, da quanto è emerso, l’impianto non possiede la licenza edilizia (e sono passati ormai otto anni dalla sua inaugurazione); è fuori norma rispetto alle disposizione dell’Usl e alle leggi nazionali e regionali. Risulta inoltre che dalle indagini di polizia giudiziaria collegate al depuratore che: finanziamenti per circa due miliardi sarebbero finiti nelle casse del Pci; un noto dirigente della Lega delle Cooperative di Savona ed esponente di rilievo del partito – che ha gestito tutta la questione degli appalti – risulta titolare di un miliardo sul conto corrente, di appartamenti e di una villa senza che egli abbia potuto provare la provenienza di tanta ricchezza; un alto dirigente del Pci sia cointestatario, con un altro noto personaggio dello stesso partito legato alla gestione del depuratore, di una villa all’isola d’Elba>. Nota bene: nessuno querelò il giornale per quella lettera, né propose un’azione giudiziaria in sede civile.
Il business dei rifiuti in Piemonte
Cominciamo a dire che c’è un supermanager
di una ditta italiana che ha sulle spalle ben otto condanne tutte
patteggiate e che andrà a gestire la costruzione del
termovalorizzatore torinese. Si tratta di
Enzo Papi a fare il suo rientro con un curriculum
davvero eccellente. Da Tangentopoli infatti,
Papi è passato al vertice da una decade di
Termomeccanica Ecologia Spa, società consociata
(Intesa Sanpaolo è la principale
azionista ndr) che ha vinto l’appalto per la costruzione
dell’inceneritore sabaudo.
Un ritorno in Piemonte per Papi, nato sessant’anni fa in provincia
di Livorno, padre muratore e madre cuoca, laurea in Economia e
Commercio, si formò alla scuola Fiat dove fece un’ottima carriera:
dal 1977 al 1992 divenendo manager alla Fiat
Allis Usa, poi alla Tecdis fino
ad arrivare alla Cogefar
Impresit. Carriera che fu stoppata da
Per questo e per altre rivelazioni fu poi scarcerato divenendo, per
i giudici torinesi, un prezioso aiuto e li aiutò a svelare la
Tangentopoli piemontese. In primis egli coinvolse anche Primo
Greganti che in parte ammise il sistema
tangentizio per ottenere le grandi opere.
Soprannominato “Cow Boy” per la faccia contadina e i modi spicci,
famoso per non essere mai apparso in
fotografia, Papi dovette poi presentarsi in svariate Procure e
Tribunali d’Italia per vari reati: dalla violazione delle norme sui
finanziamenti ai partiti alla corruzione giungendo anche alla “turbata
libertà degli incanti”.
Ora dal 1995, dopo l’interruzione di Tangentopoli,
Papi ha ricominciato la sua fulgida carriera scalando anche i
vertici della sede di La Spezia di Confindustria di cui oggi è
presidente. Nell’accettare detto incarico a cui è
stato eletto, ha promesso di portare la filosofia “del fare”
nell’associazione pur dichiarando di voler assemblare una squadra di
collaboratori che “non rompa con le esperienze passate”.
Va detto anche che Termomeccanica
colonia Spa nella gara d’appalto ha battuto la società francese
Construsction
Industrielle de la Mediterranée. Una politica dei “furbetti” dell’incenerimento
Un’altra buona mossa politica “di sinistra” è stata quella di un
parlamentare del Pd torinese di voler strappare dal Governo romano i
fondi ex-CIP6
(ora Certificati Verdi, vera truffa ai danni dei cittadini) per
costruire sempre dell’impianto per bruciare i rifiuti nel capoluogo
torinese.
È ciò che è successo ai primi di dicembre quando un esponente del Pd
torinese, l’onorevole
Stefano Esposito assieme ad altri colleghi di
partito e una compagine più larga di An (l’on. Ghiglia) e della Lega
ha portato a casa una fiumana di soldi: una ventina di milioni di
euro all’anno per quindici anni in forma di Certificati Verdi
(verdi!) per la costruzione dell’inceneritore
Gerbido di Torino.
Esposito non siede solo a Montecitorio. Ha un’anima aziendale
pronunciata. Infatti è anche presidente
della
SETA S.p.A., un’azienda che si occupa di rifiuti ed
è «unicamente
partecipata da soggetti pubblici, siano essi Enti locali o AMIAT
S.p.A. – si legge nel loro sito -
i quali esercitano le funzioni di controllo e di governo della
Società attraverso la nomina del Consiglio di Amministrazione e la
partecipazione diretta alle assemblee ordinarie e straordinarie,
dove vengono assunte le decisioni operative strategiche».
Sempre nel sito possiamo ancora leggere che
Le cronache di questi giorni ovunque in Italia segnalano che il
gioco bipartisan su questi temi è scabroso,
ma viene ancora rivendicato con incredibile orgoglio. Nel caso
piemontese, questo modo di fare politica ha visto l’esultanza dei
promotori come una “buona politica bipartisan”
e l’onorevole Esposito è stato visto come un ottimo tessitore di una
raffinata mediazione politica. Probabilmente però l’operazione sarà
bocciata da buona parte del gruppo parlamentare dello stesso Pd, che
ha già presentato molti emendamenti che si mettono di traverso
rispetto all’intesa cordiale fra Esposito, Ghiglia e Una politica per nulla ambientalista
Sono in molti a non mandare giù questa politica dei “furbetti” come
ad esempio
Gianna De Masi, consigliera provinciale dei Verdi,
oppure Legambiente Piemonte e Legambiente Valle d’Aosta, o anche
ProNatura i quali citano anche un
approfondito studio del Politecnico commissionato dalla Provincia di
Torino. Si preferisce invece tirare diritto: non si discute, malgrado sul territorio le proteste continuino forti e da ProNatura, Legambiente e altre associazioni ambientaliste osi scrivano valutazioni fortemente contrarie al secondo inceneritore, sostenute da una critica più di fondo sulla scelta in sé dell’incenerimento nel suo complesso.
A settembre i consiglieri provinciali avevano incontrato la
direzione dell’impianto di
Vedelago,
in provincia di Treviso, dove si adottano soluzioni di trattamento
“a freddo”. Non è seguito nessun approfondimento in commissione,
nessun impegno almeno a sperimentare una soluzione. Un viaggio
inutile. La giunta va avanti come un carro armato, nessun
ripensamento».
Gianna De Masi attacca anche Esposito: «un
esponente del Pd, che dovrebbe rappresentare il nostro territorio,
si è fortemente attivato per far ritornare i famigerati CIP6, vera
truffa ai danni dei cittadini». La tardiva marcia
indietro del Partito democratico contro tale iniziativa non sarà
certo sufficiente a bloccare i danni prodotti in pieno accordo con
il nostro “beneamato” governo.
Come dicevamo anche Legambiente Piemonte-Valle
d’Aosta e ProNatura hanno preso carta e
penna scrivendo una Lettera aperta indirizzata al sindaco di Torino
Sergio Chiamparino, al Presidente della Provincia
«Abbiamo
osservato, seppur da lontano - essi scrivono -
il vostro iper
attivismo, quasi l’esultanza verso quella deroga strappata dai
parlamentari piemontesi S. Esposito (Pd) ed A. Ghiglia (AN), anzi il
vostro plauso si ingigantiva come esempio di nuovo modo di fare
buona politica».
I firmatari di questa lettera aperta riferiscono che viene usata la
tecnica della paura «una
triste costante di un certo modo di fare politica, di qui la litania
consueta e collaudata “ci dovete dare gli incentivi…”
, “i
lavori debbono partire…” , “ci troveremo come a Napoli…“».
Paure alimentate da chi vuole l’inceneritore soprattutto dopo che il
Consiglio di Stato ha sospeso l’avvio dei lavori dell’inceneritore
torinese del Gerbido.
Inoltre, ci ricordano sempre gli ambientalisti, l’Italia è sotto
infrazione dall’Unione Europea proprio per
i Certificati Verdi
«unico
paese che incentiva gli inceneritori per la parte non biodegradabile
dei rifiuti, falsando in questo modo le condizioni di concorrenza
con gli altri paesi comunitari.
Infatti
in tutti i paesi europei gli inceneritori non solo non sono
incentivati ma gli impianti pagano le tasse come qualsiasi altra
attività imprenditoriale».
Basti solo pensare che l’immondizia all’impianto torinese costerebbe
147 euro a tonnellata.
Ma la domanda degli ambientalisti sorge spontanea:
«Chi
pagherà le sanzioni che riceveremo dall’Europa per questa nuova
proroga?
Gli inceneritori ricevono gli incentivi e scaricano sulla
collettività i costi delle sanzioni, oltre a quelli sanitari».
Ed è dal 1992 che l’incentivo per gli inceneritori viene sottratto
come imposta agli italiani per “energie rinnovabili o assimilate”
, parolina quest’ultima aggiunta da qualche politico
“furbetto”.
«Da
quella data ad oggi - scrivono ancora Legambiente e
ProNatura -
si calcola che circa l’80% dei 53 miliardi di euro ricavati per
incentivare le fonti energetiche rinnovabili siano finite nelle
tasche dei vari Moratti, Marcegaglia, Garrone ecc. insomma tutti
coloro che smaltivano i residui delle loro attività industriali
facendo profitti a spese della collettività».
Eppure i famosi CIP6 erano stati aboliti e poi rimessi sembrava solo
ed esclusivamente per l’emergenza Campania.
Ma l’illegalità invece continua ad essere. Ed
è richiesta con spirito campanilistico, come abbiamo detto, dai
parlamentari piemontesi del Pd.
«Solo
l’esasperato egoismo può indurre a sostenere che con gli incentivi i
cittadini risparmieranno sulla tariffa rifiuti. Forse la verità è
che i costi saranno molto alti, a causa di scelte fatte dai politici
in poltrona oggi, ma che ci lasciano eredità pesantissime domani»
scrivono ancora nella missiva gli ambientalisti.
Basti pensare che i costi dell’inceneritore sabaudo
del
Gerbido
ammontano, come da preventivo, a circa 500 milioni di euro
di cui i finanziamenti bancari ammontano a 412 milioni di euro
arrivati con mutui che alla fine dovranno essere restituiti
«sperando che non vi siano nascoste spericolate operazioni di
finanza creativa che si rivelino nel tempo, come recentemente sta
spesso accadendo, veri e propri boomerang».
Tali costi vogliono dire che per almeno 20 anni graveranno sulle
tasche dei contribuenti piemontesi.
Alla missiva è anche allegata una tabella molto chiara ed esplicita
dove vengono riportati i calcoli della composizione media dei
rifiuti residui dopo il 65% della raccolta differenziata così come
definisce la legge e che «dimostra
come – scrivono ancora gli ambientalisti –
nel caso che in Italia si volesse finanziare l’incenerimento della
parte biodegradabile dei rifiuti (la sola parte dei rifiuti
consentita dalla comunità europea, ma praticato da una minoranza di
stati membri), la quota del 51% di finanziamento, da Voi
sponsorizzata, trova riscontro nel peso delle frazioni
biodegradabili ma non nel loro apporto energetico che è un misero
34,8% ».
Ma è facilmente dimostrabile, dicono sempre gli ambientalisti che «un
futuro senza inceneritori non solo è possibile ma anche vantaggioso
economicamente».
In questo dibattito si è inserito anche
Paul Connett,
professore emerito di Chimica presso
E si sente in dovere di dare un’informazione e sottoporle due
raccomandazioni alla Presidente.
«Sono
del tutto convinto
– scrive Connett -
che gli inceneritori siano pericolosi per la salute umana e
assolutamente antieconomici. Molti inceneritori, che sono stati
costruiti in passato in varie nazioni, oggi sono stati abbandonati e
sostituiti con impianti di riciclo dei rifiuti. Io ho
una
enorme documentazione internazionale su questo argomento e sarei
felice di metterla a sua disposizione. La mia raccomandazione è quella di evitare di costruire nuovi inceneritori o di rammodernare i vecchi impianti in Piemonte.
Inoltre gradirei raccomandarle di incentivare la riduzione dei
rifiuti, la raccolta “porta a porta” ed il riciclo dei rifiuti
stessi».
Anche dall’America un segnale forte di abbandonare la costruzione
degli inceneritori. Della risposta della Bresso al professore però
non v’è traccia. Sempre che gli abbia scritto.
(Davide
Pelanda,
criticamente.
http://www.9online.
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