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 Da Tangentopoli ai vertici della Confindustria di La Spezia, attraverso Savona

Il piatto servito

di Enzo Papi

Un blog piemontese riapre una ferita sui rifiuti, molto attuale nel savonese dove si muovono società ed interessi trasversali. Chi tifa l”emergenza “made Napoli”?

 

                       di Luciano Corrado


Il business dei rifiuti in Piemonte
Cominciamo a dire che c’è un supermanager di una ditta italiana che ha sulle spalle ben otto condanne tutte patteggiate e che andrà a gestire la costruzione del termovalorizzatore torinese. Si tratta di Enzo Papi a fare il suo rientro con un curriculum davvero eccellente. Da Tangentopoli infatti, Papi è passato al vertice da una decade di Termomeccanica Ecologia Spa, società consociata (Intesa Sanpaolo è la principale azionista ndr) che ha vinto l’appalto per la costruzione dell’inceneritore sabaudo.

 

Savona – Il “viaggio”di Trucioli Savonesi, iniziato la settimana scorsa, sulla storia di “rumenta, affari e politica” (METTIAMO UN CARTELLO AL COLLO AI SINDACI INCAPACI) della provincia di Savona, si propone tre obiettivi: 1) spiegare, documentare ai cittadini-lettori cosa è accaduto fino ad oggi, attraverso la  cronaca-archivio dei giornali; 2) capire perché è fallita la “raccolta differenziata” (con rare eccezioni) e chi sono i maggiori responsabili pubblici  pagati per il posto che occupano; 3) individuare le soluzioni più realistiche, ma tenendo presente il pericolo di una regia (occulta?) trasversale a partiti, lobby, finanza, con interessi poco cristallini, inconfessabili.

La prova del nove dei timori quasi certezze? Il clamoroso fallimento, nella stragrande maggioranza dei 69 comuni della provincia, proprio della raccolta differenziata, sempre sbandierata, rimasta pressoché al palo. Difficile da addebitare alla sola mancanza di volontà o capacità politica, alle divisioni, agli “ambientalisti”  pasticcioni, assai deboli e divisi in questa provincia.


Discarica di Vado Ligure

C’è chi intravede, semmai, una “manina” con più soggetti interessati. Pronti a sfruttare un nuovo redditizio business (la storia passata ci aveva raccontato di affari e corruzione nell’ambito rifiuti tossici e speciali), legato in qualche modo ad impianti che “nascono” con un obiettivo dichiarato, ufficiale e finiscono col diventare “grandi forni crematori” con la scusa di dover far fronte ad un emergenza alla napoletana.

Ormai è risaputo. Nessuno vuole sul proprio territorio discariche, mentre in passato  ogni centro, sulla costa o nell’entroterra, aveva il proprio “rumentaio”. Il “fai da te”. Gli inceneritori o impianti vari (termovalorizzatore, gassificatore, biomasse…) scatenano ricorsi, timori, interrogativi spesso senza risposte convincenti o autorevoli in campo scientifico.

I pochi comuni (Borghetto, Balestrino ed alcuni piccoli centri della Valbormida) che si sono detti disponibili ad ospitare gli impianti pongono precise condizioni, anche comprensibili, di conseguenza diventano incognite sui tempi di soluzione. Oppure ci sono i veti dei confinanti, fece clamore la disputa tra il sindaco di Alassio, Marco Melgrati (<si all’impianto di smaltimento, purchè i contribuenti alassini abbiano un beneficio economico>) ed i colleghi di Villanova e Garlenda.

Di chiacchiere, promesse non mantenute ed immancabili annunci sono zeppe le cronache; ci sarebbe bisogno assoluto di certezze e tempi brevi. Tappe precise, scadenze rispettate. Preme una popolazione residente che triplica in alcuni mesi dell’anno e produce 200 mila tonnellate di rifiuti. C’è un’immagine turistica, per quel che rimane, da salvaguardare se non si vuole davvero la catastrofe.

Sono rimasti in attività due sole discariche (a Vado e a Varazze) ed erano prevedibili le conseguenze. Per molti comuni sono dietro l’angolo (peraltro già annunciati in qualche caso) aumenti dei costi di smaltimento e aumento di tasse. Altri sacrifici, altri tagli sui bilanci delle famiglie, delle attività commerciali e turistiche, in anni  difficili, per alcuni drammatici.


Enzo Papi

I “paesi civili”, dal Nord Europa, agli Stati Uniti, all’Australia, al Giappone, hanno puntato da decenni alla raccolta “porta a porta”, alla differenziata spinta al massimo della potenzialità. Hanno iniziato la dismissione dei vecchi impianti di incenerimento, cercando di limitare al massimo la combustione attraverso l’innovazione tecnologica, facendo della “differenziata” una risorsa (riciclo).

Senza andare lontano Il Sole-24 Ore di giovedì, 15 gennaio, con l’inserto Nova, ha descritto l’esemplare storia del Comune di Piccioli che già dagli anni ’90 con l’inizio della crisi della spazzatura è diventata una città ricca e all’avanguardia nel mondo.

Ed ora sta provando, per la raccolta differenziata, un robot “Wall-e”. Ora in tournè in Italia, per poi trasferirsi in Spagna (Bilbao), in Svezia (Orebro), in Corea e a Tokyo.

I scenari savonesi vedono una provincia che ha un “piano rifiuti”, ma bloccato da liti, veti, reciproche accuse. Senza conoscere la parola autocritica da parte dei contendenti. La parola “cari cittadini vi chiediamo scusa per il vergognoso ed inammissibile ritardo…”. Con vigliacchi che fingono di essere arrivati ieri nelle stanze del potere e della politica. Nonostante da 20-30 anni scaldino le poltrone, seppure con ruoli e maglie diverse.

Siamo alle solite. Lo spettacolo, indecente, del “ping-pong” tra esponenti del “Popolo della Liberta” e centro-sinistra, a sua volta diviso, rissoso, con gruppi e gruppuscoli. La pessima pagina scolpita dall’Amministrazione provinciale, ultima edizione, con le lacerazioni che hanno coinvolto, in prima persona e tra veleni, annunci (resteranno tali) di querele, il presidente dimissionario, Marco Bertolotto, superprimario del Santa Corona.

Il “piatto” è servito a chi sa benissimo che la “monnezza”, dicono a Napoli, capitale della vergogna-rifiuti, può tramutarsi in “boccone d’oro”. Come lo dimostrano le inchieste (spesso finite in farsa e dimenticate) che fino alla soglia degli anni duemila si erano susseguite dalla Riviera (vedi… vicenda dei fusti di veleno a Borghetto), alla Valbormida, alla scoperta della sorte dei rifiuti tossici dell’Acna interrati illegalmente in Campania.

Intanto per la cronaca segnaliamo, come riflessione, la mail che è stata inviata anche al circuito savonese dei blog, con un articolo-documento (in parte) scritto da Davide Pelanda, dal titolo “Il business dei rifiuti in Piemonte”.

Il nostro contributo si limita a colmare un vuoto di cronaca e di memoria storica. L’articolo cita più volte Enzo Papi, attuale presidente di Confindustria La Spezia (l’ultima sua foto è stata pubblicata nell’ambito di un’intera pagina sulle conseguenze della crisi nazionale in Liguria, dedicata dal Sole 24 Ore-Nord Ovest vedi…).

Papi non è stato solo alla ribalta nella stagione di Mani Pulite di Antonio Di Pietro, a Milano.

A Savona il nome di Papi era tra i 16 imputati di cui il procuratore della Repubblica, allora in carica, Renato Acquarone (poi diventerà presidente di sezione della Corte di Cassazione, dopo essere stato messo in croce a Savona per le sue inchieste scomode nel mondo delle cooperative rosse e dei finanziamenti all’allora Pci) chiese il rinvio a giudizio nel marzo del ’94.

Diciamo subito che il primo troncone (il principale) andò a sentenza e l’epilogo finale fu l’assoluzione. Risparmiamo cosa accade durante la costituzione di parte civile ad opera del Consorzio per la depurazione delle acque (in origine rifiuti solidi urbani), che era parte lesa.


Antonio Mirgovi
Con queste tappe più significative: il 10 gennaio 1994 richiesta di arresti domiciliari per Antonio Mirgovi ed Ulrico Bianco, ritiro del passaporto con divieto di espatrio per  Giovanni Milano. Il 15 gennaio, cinque giorni dopo, ordinanza del giudice per le indagini preliminari, Fiorenza Giorgi, che accoglie la richiesta di arresto. Il 7 marzo, sempre 2004, segue la richiesta di rinvio a giudizio. L’8 novembre il rinvio a giudizio. 
Seguono diversi “non luogo a procedere”, “archiviazioni”, revoca di ordinanze e il decreto di giudizio per alcuni imputati ed alcune imputazioni. L’avvio del processo nel 1995-’96  il fortino accusatorio venne espugnato dai periti e soprattutto da un impressionante corazzata di avvocati, non solo tra i più quotati a Savona, ma del foro italiano, compreso il compianto Vittorio Chiusano di Torino, legale e dirigente della Juventus, un ottimo “maestro del diritto”, delle aule di giustizia e “maestro venerabile” di Piazza del Gesù.

Tra gli imputati, oltre a Mirgovi e Bianco (col maggiore numero di imputazioni), figuravano Giusto Gaddi, Guido Andrea Ceresa,  Claudio Chiocchetti, Enzo Papi, Elvio Varaldo, Alessandro De Stefanis, Pietro Morea, Raffaele De Vincenti, Alberto Teardo, Giovanni Milano, Adorno Sacchetti, Silvano Parodi, Lucio Levratto.

Per la storia ci limitiamo – visto che riferiamo quanto pubblicato sul blog da Davide Pelando – a richiamare quello che era il capo d’accusa per Papi e Chiocchetti, firmato dal procuratore Acquarone, per frode nelle pubbliche forniture: <… rispettivamente quale amministratore delegato dell’Impresit  e direttore dei lavori per conto dell’appaltatrice  dal 1-11- 1987 in poi, non ponevano al riparo alle difformità qualitative e quantitative già verificatesi …ed omettevano inoltre di adempiere le obbligazioni contrattuali dell’appaltatrice per quanto riguarda la sistemazione degli scarichi a mare preesistenti e l’impianto di telecontrollo>.

Il lettore che ha interesse, può senz’altro prendere atto che l’imputato Enzo Papì fu il primo ad uscire dall’inchiesta per “non aver commesso il fatto”. Insomma  “vittima” della giustizia, almeno a Savona.

Poco importa il suo curriculum-identikit giudiziario raccontato nei dettagli, nell’ambito di tangentopoli. “Promosso” ai vertici della sede di Confindustria a La Spezia, di cui oggi è presidente. 

Non è esatto, come scrive Pelanda, che di Enzo Papi non sia mai uscita una foto sui giornali, all’epoca dell’inchiesta, abbinandola all’ampia collaborazione con i magistrati inquirenti. IL Secolo XIX dell’epoca (vedi la pagina dell’8 gennaio 1994) ha ripetutamente pubblicato la foto di Papi, ha titolato servizi, l’ha ripreso in tutte le circostanze di cronaca possibili. (vedi….).

Se la Confindustria, se  il suo giornale (che si sta distinguendo non da oggi con esemplari inchieste giornalistiche sul malaffare, malgoverno, malcostume, mal di meritocrazia in Italia), non hanno ritenuto di “mettere da parte” Enzo Papi ci sarà una ragione. Magari per i suoi “servizi” resi allo Stato, ad un certo mondo imprenditoriale con qualche conto in sospeso e impossibile cancellare.

Luciano Corrado

 

Pubblichiamo, inoltre, come notizia storica una lettera pubblicata dal Secolo XIX, in quel periodo in risposta ad un dirigente dell’allora Pds che esaltava le assoluzioni e lamentava il “linciaggio”: <…Caso Depuratore, L’accusa sostiene che l’impianto è costato il triplo rispetto al previsto e che dai conti sono spariti circa 30 miliardi. Inoltre, da quanto è emerso, l’impianto non possiede la licenza edilizia (e sono passati ormai otto anni dalla sua inaugurazione); è fuori norma rispetto alle disposizione dell’Usl e alle leggi nazionali e regionali. Risulta inoltre che dalle indagini di polizia giudiziaria collegate al depuratore  che: finanziamenti per circa due miliardi sarebbero finiti nelle casse del Pci; un noto dirigente  della Lega delle Cooperative di Savona ed esponente di rilievo del partito – che ha gestito tutta la questione degli appalti – risulta titolare di un miliardo sul conto corrente, di appartamenti e di una villa senza che egli abbia potuto provare la provenienza di tanta ricchezza; un alto dirigente del Pci sia cointestatario, con un altro noto personaggio dello stesso partito legato alla gestione  del depuratore, di una villa all’isola d’Elba>.

Nota bene: nessuno querelò il giornale per quella lettera, né propose un’azione giudiziaria in sede civile.

 

Il business dei rifiuti in Piemonte

Cominciamo a dire che c’è un supermanager di una ditta italiana che ha sulle spalle ben otto condanne tutte patteggiate e che andrà a gestire la costruzione del termovalorizzatore torinese. Si tratta di Enzo Papi a fare il suo rientro con un curriculum davvero eccellente. Da Tangentopoli infatti, Papi è passato al vertice da una decade di Termomeccanica Ecologia Spa, società consociata (Intesa Sanpaolo è la principale azionista ndr) che ha vinto l’appalto per la costruzione dell’inceneritore sabaudo.

Un ritorno in Piemonte per Papi, nato sessant’anni fa in provincia di Livorno, padre muratore e madre cuoca, laurea in Economia e Commercio, si formò alla scuola Fiat dove fece un’ottima carriera: dal 1977 al 1992 divenendo manager alla Fiat Allis Usa, poi alla Tecdis fino ad arrivare alla Cogefar Impresit. Carriera che fu stoppata da Antonio Di Pietro quando era magistrato che ne ordinò l’arresto. Di Pietro però trovò in Papi un ottimo collaboratore. Fu don Luigi Melesi, vice cappellano del carcere, al magistrato che il suo confidente avrebbe intenzione di collaborare, ma che “ciò gli è impedito dalle sollecitazioni del suo difensore avvocato Chiusano, il quale continua a ribadirgli di attendere ancora”. Il religioso confida a Di Pietro che Papi è disperato a tal punto da meditare il suicidio “se non fosse per la Bibbia che gli ho consegnato e che lui legge, se non fosse per la mia presenza e per il pensiero di sua moglie e dei figli”. Il magistrato autorizzò allora gli arresti domiciliari sperando in una sua collaborazione. Cosa che fece: Papi descrisse infatti il vasto sistema di pagamenti ai partiti quali Dc, Psi, Pci da parte delle principali imprese italiane, ammettendo anche di aver consegnato a Maurizio Prada, presidente dell’Atm e segretario reggente della Dc milanese, “intorno al miliardo e ottocento milioni per questioni relative alla costruzione del passante ferroviario … pagati estero su estero, prelevati da una società del Camerun … transitando per la Svizzera attraverso Panama”.

Per questo e per altre rivelazioni fu poi scarcerato divenendo, per i giudici torinesi, un prezioso aiuto e li aiutò a svelare la Tangentopoli piemontese. In primis egli coinvolse anche Primo Greganti che in parte ammise il sistema tangentizio per ottenere le grandi opere.

Soprannominato “Cow Boy” per la faccia contadina e i modi spicci, famoso per non essere mai apparso in fotografia, Papi dovette poi presentarsi in svariate Procure e Tribunali d’Italia per vari reati: dalla violazione delle norme sui finanziamenti ai partiti alla corruzione giungendo anche alla “turbata libertà degli incanti”.

Ora dal 1995, dopo l’interruzione di Tangentopoli, Papi ha ricominciato la sua fulgida carriera scalando anche i vertici della sede di La Spezia di Confindustria di cui oggi è presidente. Nell’accettare detto incarico a cui è stato eletto, ha promesso di portare la filosofia “del fare” nell’associazione pur dichiarando di voler assemblare una squadra di collaboratori che “non rompa con le esperienze passate”.

Va detto anche che Termomeccanica colonia Spa nella gara d’appalto ha battuto la società francese Construsction Industrielle de la Mediterranée.

Una politica dei “furbetti” dell’incenerimento

Un’altra buona mossa politica “di sinistra” è stata quella di un parlamentare del Pd torinese di voler strappare dal Governo romano i fondi ex-CIP6 (ora Certificati Verdi, vera truffa ai danni dei cittadini) per costruire sempre dell’impianto per bruciare i rifiuti nel capoluogo torinese.

È ciò che è successo ai primi di dicembre quando un esponente del Pd torinese, l’onorevole Stefano Esposito assieme ad altri colleghi di partito e una compagine più larga di An (l’on. Ghiglia) e della Lega ha portato a casa una fiumana di soldi: una ventina di milioni di euro all’anno per quindici anni in forma di Certificati Verdi (verdi!) per la costruzione dell’inceneritore Gerbido di Torino.

Esposito non siede solo a Montecitorio. Ha un’anima aziendale pronunciata. Infatti è anche presidente della SETA S.p.A., un’azienda che si occupa di rifiuti ed è «unicamente partecipata da soggetti pubblici, siano essi Enti locali o AMIAT S.p.A. – si legge nel loro sito - i quali esercitano le funzioni di controllo e di governo della Società attraverso la nomina del Consiglio di Amministrazione e la partecipazione diretta alle assemblee ordinarie e straordinarie, dove vengono assunte le decisioni operative strategiche».

Sempre nel sito possiamo ancora leggere che la SETA S.p.A. è nata per obbedire ai «principi di separazione tra i compiti di indirizzo e governo del sistema di gestione integrata dei rifiuti». Belle parole, per dire che il servizio non è più in mano ai consorzi di un tempo, ma alle società di capitali, strumenti con l’agilità dei privati, ma dietro le quali ci sono i comuni interessati.

Le cronache di questi giorni ovunque in Italia segnalano che il gioco bipartisan su questi temi è scabroso, ma viene ancora rivendicato con incredibile orgoglio. Nel caso piemontese, questo modo di fare politica ha visto l’esultanza dei promotori come una “buona politica bipartisan” e l’onorevole Esposito è stato visto come un ottimo tessitore di una raffinata mediazione politica. Probabilmente però l’operazione sarà bocciata da buona parte del gruppo parlamentare dello stesso Pd, che ha già presentato molti emendamenti che si mettono di traverso rispetto all’intesa cordiale fra Esposito, Ghiglia e la Lega. I parlamentari piemontesi citati, assieme ad Antonio Boccuzzi, Giacomo Portas, Marco Calgaro (ex-vicesindaco di Torino) e Giorgio Merlo, hanno annunciato invece che voteranno contro l’emendamento presentato dal loro gruppo nazionale, in pieno accordo con il governo Berlusconi.

Una politica per nulla ambientalista

Sono in molti a non mandare giù questa politica dei “furbetti” come ad esempio Gianna De Masi, consigliera provinciale dei Verdi, oppure Legambiente Piemonte e Legambiente Valle d’Aosta, o anche ProNatura i quali citano anche un approfondito studio del Politecnico commissionato dalla Provincia di Torino.

La consigliera De Masi a causa di questa situazione è uscita dalla maggioranza di centrosinistra che regge la Provincia scrivendo una lunga e sofferta lettera. «Essere posti di fronte a due interpretazioni di uno studio così confliggenti fra loro – ha scritto De Masi - avrebbe dovuto immediatamente porre la questione di una revisione del piano provinciale dei rifiuti.

Si preferisce invece tirare diritto: non si discute, malgrado sul territorio le proteste continuino forti e da ProNatura, Legambiente e altre associazioni ambientaliste osi scrivano valutazioni fortemente contrarie al secondo inceneritore, sostenute da una critica più di fondo sulla scelta in sé dell’incenerimento nel suo complesso.

A settembre i consiglieri provinciali avevano incontrato la direzione dell’impianto di Vedelago, in provincia di Treviso, dove si adottano soluzioni di trattamento “a freddo”. Non è seguito nessun approfondimento in commissione, nessun impegno almeno a sperimentare una soluzione. Un viaggio inutile. La giunta va avanti come un carro armato, nessun ripensamento».

Gianna De Masi attacca anche Esposito: «un esponente del Pd, che dovrebbe rappresentare il nostro territorio, si è fortemente attivato per far ritornare i famigerati CIP6, vera truffa ai danni dei cittadini». La tardiva marcia indietro del Partito democratico contro tale iniziativa non sarà certo sufficiente a bloccare i danni prodotti in pieno accordo con il nostro “beneamato” governo.

Come dicevamo anche Legambiente Piemonte-Valle d’Aosta e ProNatura hanno preso carta e penna scrivendo una Lettera aperta indirizzata al sindaco di Torino Sergio Chiamparino, al Presidente della Provincia di Torino Antonio Saitta ed all’onorevole del Pd piemontese Stefano Esposito.

«Abbiamo osservato, seppur da lontano - essi scrivono - il vostro iper attivismo, quasi l’esultanza verso quella deroga strappata dai parlamentari piemontesi S. Esposito (Pd) ed A. Ghiglia (AN), anzi il vostro plauso si ingigantiva come esempio di nuovo modo di fare buona politica».

I firmatari di questa lettera aperta riferiscono che viene usata la tecnica della paura «una triste costante di un certo modo di fare politica, di qui la litania consueta e collaudata “ci dovete dare gli incentivi… ,i lavori debbono partire…” , “ci troveremo come a Napoli…“». Paure alimentate da chi vuole l’inceneritore soprattutto dopo che il Consiglio di Stato ha sospeso l’avvio dei lavori dell’inceneritore torinese del Gerbido.

Inoltre, ci ricordano sempre gli ambientalisti, l’Italia è sotto infrazione dall’Unione Europea proprio per i Certificati Verdi «unico paese che incentiva gli inceneritori per la parte non biodegradabile dei rifiuti, falsando in questo modo le condizioni di concorrenza con gli altri paesi comunitari. Infatti in tutti i paesi europei gli inceneritori non solo non sono incentivati ma gli impianti pagano le tasse come qualsiasi altra attività imprenditoriale». Basti solo pensare che l’immondizia all’impianto torinese costerebbe 147 euro a tonnellata.

Ma la domanda degli ambientalisti sorge spontanea: «Chi pagherà le sanzioni che riceveremo dall’Europa per questa nuova proroga?

Gli inceneritori ricevono gli incentivi e scaricano sulla collettività i costi delle sanzioni, oltre a quelli sanitari».

Ed è dal 1992 che l’incentivo per gli inceneritori viene sottratto come imposta agli italiani per “energie rinnovabili o assimilate” , parolina quest’ultima aggiunta da qualche politico “furbetto”.

«Da quella data ad oggi - scrivono ancora Legambiente e ProNatura - si calcola che circa l’80% dei 53 miliardi di euro ricavati per incentivare le fonti energetiche rinnovabili siano finite nelle tasche dei vari Moratti, Marcegaglia, Garrone ecc. insomma tutti coloro che smaltivano i residui delle loro attività industriali facendo profitti a spese della collettività».

Eppure i famosi CIP6 erano stati aboliti e poi rimessi sembrava solo ed esclusivamente per l’emergenza Campania. Ma l’illegalità invece continua ad essere. Ed  è richiesta con spirito campanilistico, come abbiamo detto, dai parlamentari piemontesi del Pd.

«Solo l’esasperato egoismo può indurre a sostenere che con gli incentivi i cittadini risparmieranno sulla tariffa rifiuti. Forse la verità è che i costi saranno molto alti, a causa di scelte fatte dai politici in poltrona oggi, ma che ci lasciano eredità pesantissime domani» scrivono ancora nella missiva gli ambientalisti.

Basti pensare che i costi dell’inceneritore sabaudo del Gerbido ammontano, come da preventivo, a circa 500 milioni di euro di cui i finanziamenti bancari ammontano a 412 milioni di euro arrivati con mutui che alla fine dovranno essere restituiti «sperando che non vi siano nascoste spericolate operazioni di finanza creativa che si rivelino nel tempo, come recentemente sta spesso accadendo, veri e propri boomerang».

Tali costi vogliono dire che per almeno 20 anni graveranno sulle tasche dei contribuenti piemontesi.

Alla missiva è anche allegata una tabella molto chiara ed esplicita dove vengono riportati i calcoli della composizione media dei rifiuti residui dopo il 65% della raccolta differenziata così come definisce la legge e che «dimostra come – scrivono ancora gli ambientalisti – nel caso che in Italia si volesse finanziare l’incenerimento della parte biodegradabile dei rifiuti (la sola parte dei rifiuti consentita dalla comunità europea, ma praticato da una minoranza di stati membri), la quota del 51% di finanziamento, da Voi sponsorizzata, trova riscontro nel peso delle frazioni biodegradabili ma non nel loro apporto energetico che è un misero 34,8% ».

Ma è facilmente dimostrabile, dicono sempre gli ambientalisti che «un futuro senza inceneritori non solo è possibile ma anche vantaggioso economicamente».

In questo dibattito si è inserito anche Paul Connett, professore emerito di Chimica presso la St. Lawrence University di New York e membro dell’associazione internazionale “ZERO WASTE INTERNATIONAL ALLIANCE” (ALLEANZA INTERNAZIONALE RIFIUTI ZERO), che in una lettera indirizzata alla Presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso racconta di aver percorso in questi anni almeno 40 volte l’Italia da Nord a Sud con incontri, conferenze e convegni,  parlando con centinaia di persone qualificate sulla gestione dei rifiuti domestici. Dunque ritiene di conoscere bene la situazione italiana in merito al trattamento dei rifiuti domestici.

E si sente in dovere di dare un’informazione e sottoporle due raccomandazioni alla Presidente.

«Sono del tutto convinto – scrive Connett - che gli inceneritori siano pericolosi per la salute umana e assolutamente antieconomici. Molti inceneritori, che sono stati costruiti in passato in varie nazioni, oggi sono stati abbandonati e sostituiti con impianti di riciclo dei rifiuti. Io ho una enorme documentazione internazionale su questo argomento e sarei felice di metterla a sua disposizione.

La mia raccomandazione è quella di evitare di costruire nuovi inceneritori o di rammodernare i vecchi impianti in Piemonte.

Inoltre gradirei raccomandarle di incentivare la riduzione dei rifiuti, la raccolta “porta a porta” ed il riciclo dei rifiuti stessi». Anche dall’America un segnale forte di abbandonare la costruzione degli inceneritori. Della risposta della Bresso al professore però non v’è traccia. Sempre che gli abbia scritto.

(Davide Pelanda, criticamente.it)

http://www.9online.it/blog_emergenzarifiuti/2009/01/07/il-business-dei-rifiuti-in-piemonte/

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