versione stampabile

VOTO DI SFIDUCIA

Dialogo immaginario (ma neanche troppo) tra un negoziante e un Direttore di Banca

  Marco Giacinto Pellifroni

 

Marco Giacinto Pellifroni

Sere fa, ad un talk show di Bloomberg TV, erano presenti personaggi al massimo livello del nostro mondo politico e industrial-finanziario: il ministro Sacconi e vari CEO, come Tronchetti-Provera, Passera, Bernabè, Colaninno, nonché cattedratici universitari. Tutti esponevano senza titubanze i propri punti di vista, comunicando grande competenza e professionalità. Sino a un paio d’anni fa, avrebbero ispirato una fiducia nel loro talento ai limiti della fede.

 Oggi però, come in un universo parallelo, dietro lo schermo scorrevano le mie immagini mentali di altri CEO d’Oltreatlantico, recentemente precipitati, in un voto di sfiducia collettiva, dalle stelle di sontuosi uffici corporate alle stalle di audizioni davanti al Senato e al FBI, dove, con la bocca secca, sono stati chiamati a discolparsi di reati moralmente, se non legalmente, gravissimi, materializzati in quelle armi di distruzione finanziaria di massa che sono i derivati.

Spenta la TV, ho imbastito, in un sogno ad occhi aperti, il dialogo immaginario tra un aspirante mutuatario (M), nelle vesti di un autonomo (negoziante, agente di commercio, o comunque una delle innumerevoli partite Iva che la caduta dei posti di lavoro ha fatto crescere a dismisura), e il direttore di una filiale bancaria (B). Sono sceso così dall’Olimpo  dei CEO alla realtà quotidiana  in cui si dibattono oggi milioni di italiani.

 

B - Dunque, lei ci sta chiedendo un prestito di € 100.000 per rinnovare il suo locale e fronteggiare la concorrenza.

M - Esattamente. Specie in questi mesi di crisi, s’è intensificata la lotta tra chi ha dei fondi propri da buttare nell’arena e rinnovarsi, mettendo in difficoltà chi invece ha scarso accesso al credito. Si determina così una lotta impari, di Davide contro Golia.

B - Posso intuire che lei questo accesso al credito non ce l’abbia…

M - Proprio per questo sono qui. Ho sconfinato qualche volta dal fido e le banche mi hanno chiuso i rubinetti.

B - Ormai le banche sono tutte collegate ad una centrale rischi; e se uno sgarra con una, automaticamente si bloccano anche tutte le altre.

M - Agite in branco, in altre parole.

B - Diciamo che ci tuteliamo a vicenda. Ma per chi si trova nelle sue condizioni ci sono le finanziarie.

M - Già è difficile non far fallimento con gli interessi di un mutuo bancario; figurarsi con quelli delle finanziarie. Marciano sul 15%, se va bene, a stretta ruota del TAEG. Chi vi ricorre ha molte più probabilità di avviarsi verso la chiusura.

B - Vedo però dal suo profilo che i suoi genitori vivono in casa di proprietà.

M - Sì, al mio paese. Ma come faccio a chiedergli di metterla in gioco, alla loro età, con un’ipoteca?

B - Onestamente, caro signore, non vedo alternative. O si impegna la casa avita o dovremo darle risposta negativa.

M - A questo punto non posso fare a meno di farle una domanda: voi mi chiedete una garanzia per prestarmi centomila euro. Ma questi soldi, voi li avete?

B - Ma come si permette? Siamo una delle primarie banche italiane…

M - Primaria o meno, la vicenda dei mutui subprime mi ha spinto ad informarmi un po’ sul vostro conto; come fate voi sul mio, del resto.

B - Ah, bella questa! Lei vuol dunque mettersi alla pari con una banca? Ma se non ha nemmeno i soldi per tirare a fine mese! Mi scusi, sa…

M - Se è per questo, voi non li avete neanche per arrivare al due del mese: prestate 100 quando avete in cassa 2. E soldi neppure vostri, ma dei vostri depositanti.

B - Lei sta superando ogni limite. Abbiamo fior di capitale sociale alle spalle che, altro che il suo misero mutuo!

M - Come mai allora la vostra capitalizzazione in Borsa è franata a livelli infimi? Non sarà perché gli investitori sono bruscamente passati dalla fede di ieri alla sfiducia di oggi, tanto da fidarsi ormai solo della garanzia dello Stato? Le dice nulla la corsa verso beni rifugio come l’oro e i titoli di Stato?


B - È di dominio pubblico che nessuna banca al mondo può reggere davanti ad una corsa agli sportelli. Proprio come in Borsa, se tutti si mettono a vendere.

M - Questo proprio perché la vostra ingordigia vi ha fatto abbassare la riserva frazionaria ad un valore simbolico, con una leva di 50, come ho già detto, rispetto a quanto avete in cassa come depositi dei clienti.

B - Le piaccia o no, questo è il modo di operare di tutte le banche, ed è del tutto legale.

M - È legale come tutto ciò che è conforme alle leggi varate dal Parlamento, certo. Ma è discutibile se sia altrettanto lecito, secondo morale.

B - Cosa ci sarebbe di immorale, secondo lei?

M - Che non c’è parità contrattuale tra i due contraenti. Non c’è pari responsabilità. A me chiedete in pegno la mia casa, mentre voi non mettete in gioco nulla di solido a garanzia. Prova ne sia che, se tutti vi chiedessero il riscatto, andreste in bancarotta: me l’ha appena confermato. Se invece noi mutuatari, magari in massa per una recessione innescata proprio dalla vostra insolvenza, non riusciamo a pagare le rate, non esitate a fare una raffica di esecuzioni impossessandovi di migliaia di alloggi e trasformando così il nulla che avete finto di darci in ricchezza solida. Vi è riuscito così di imitare Gesù, quando trasformò l’acqua in vino. Un vero miracolo, ma a nostre spese; per cui lo chiamerei più propriamente usurpazione.

B - Vedo che, aspettandosi un rifiuto, s’è preparato un bel discorsetto; preso magari da Internet, che ormai ospita sempre più idee balzane del genere. Ma ora le dico io una cosa: il suo ragionamento porta solo al dissesto economico e sociale.

M - Ah sì? E in che modo?

B - Semplicemente con la prassi che si instaurerebbe, di chiedere prestiti alle banche per poi non pagarli, tenendosi però la proprietà di quanto si è acquistato, anzi direi rubato, con quei prestiti: che so, un’auto, una vacanza, una casa. Sarebbe il regno di bengodi, come quello di Pinocchio. Ma quanto durerebbe?

M - Questo infatti è quanto gli americani si sono illusi di poter fare per oltre un ventennio, stimolati a farlo proprio dalle loro banche. La mia risposta parte da quanto ho già detto: che i prestiti devono avvenire in condizioni di parità. Prestate solo quello che avete. E allora avrete tutti i diritti di chiedere anche a me un sottostante a garanzia.

B - In questo modo, lo sviluppo degli ultimi decenni non avrebbe potuto aver luogo, per penuria di liquidità.

M - Infatti, ci siamo sovraesposti e oggi ne paghiamo le conseguenze; o meglio voi vorreste che fossimo noi tutti a pagarle anche per voi. E poi, lo chiama sviluppo quello degli ultimi 20-30 anni? Fatto ipotecando coi debiti, anche verso la natura, il futuro nostro e dei nostri figli? Attingendo al potere d’acquisto e al patrimonio di noi tutti? Un’economia a debito perenne, su cui voi ingrassate, è tanto più perversa quanto più è gravata di quegli interessi che voi lucrate, in aggiunta ad un capitale che non avevate e che viene estratto dal patrimonio nazionale, parte grazie al lavoro da noi svolto per produrlo, parte ingenerando inflazione.

B - Quindi lei ci dà dei parassiti. Intanto lei però è qui a chiedermi un prestito, smentendo i suoi stessi sofismi. Questa banca non ha i soldi che lei mi chiede, giusto? Quindi, niente prestito, mi dispiace.

M - Infatti, io sono costretto a rivolgermi a chi è abilitato, da norme di privilegio, a concedere prestiti, sia pure fasulli. Non ho altra scelta.

B - Allora, alla fine viene nel mio carruggio…

M - Certo, l’alternativa sarebbe la chiusura della mia attività e la disoccupazione. Ergo, adeguarsi o perire.

B - Allora non sputi sul piatto dove mangia…

M - O dove vorrei mangiare, visto che mi nega di farlo. Aggiungo soltanto che il credito è una funzione vitale dell’economia e non dovrebbe esser lasciato in mani private. Dovrebbe essere di competenza dello Stato, con interessi legali. E pubblica dovrebbe essere la moneta, senza che lo Stato paghi interessi a chicchessia. Solo così lo Stato cesserebbe di essere il vostro esattore, attraverso le tasse, in buona parte devolute per pagarvi gli interessi su un debito pubblico costruito ad arte per fare i banchieri sempre più ricchi e la gente sempre più loro succube e spremuta dal fisco, che le divora sette mesi di lavoro su dodici. E io non sarei ora qui ad elemosinare un prestito, per poi pagarvi due volte: con le rate del mutuo e con le tasse.

 

 

Marco Giacinto Pellifroni                                                          18 gennaio 2009