TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni

 

 

LA MARCIA DEI SOLDI

 

                         La nostra società è vorace, guarda alla

                          natura, da un lato come una miniera,           

                          dall’altro come una discarica.

                                                  (Wolfgang Sachs)

 

Quando infiliamo la mano in tasca per pagare qualcosa siamo testimoni di una brevissima tappa del tragitto senza fine della moneta. Senza fine perché, se si tratta di monete o banconote, nessuno può più presentarsi agli sportelli della banca centrale e chiedere la loro conversione in qualcos’altro che non sia della stessa natura di quanto si vorrebbe cambiare: carta contro carta.

Il tragitto di un assegno, tratta od ogni altra forma di pagamento è invece brevissima, perché si estingue al loro rientro in cassa o sullo schermo di un computer bancario nei casi, ormai preponderanti, di pagamenti per via telematica.

Quindi, la differenza sostanziale tra il denaro metallico e cartaceo rispetto a quello scritturale è che il primo ha vita “eterna”, salvo sua consunzione fisica; mentre il secondo vive una esistenza effimera per poi svanire.

Questa distinzione non è un ozioso esercizio accademico, ma ci aiuta a renderci conto di come l’invasione della moneta scritturale, in crescita esponenziale nell’ultimo quarto di secolo, sia alla base dello sconquasso economico in cui ci siamo bruscamente venuti a trovare. Uno sconquasso che non sarebbe stato neppure lontanamente immaginabile se la valuta per le transazioni commerciali fosse rimasta quella fisica: monete e banconote, ossia emesse dagli Stati e dalle banche centrali, rispettivamente, anziché creata ad libitum dalle banche commerciali, grazie alla bassissima riserva frazionaria, che ha dato loro praticamente carta bianca nella concessione di crediti.

Il meccanismo che ci ha portati alle vette di capitalizzazione borsistica sgonfiatasi a partire dall’estate 2007 è stato quello di transazioni leveraged, cioè a debito. È facile accendere debiti quando il prestatore non ha che da fare qualche scrittura contabile, senza un effettivo passaggio fisico di denaro nelle mani del debitore. Qualora invece il prestatore, diciamo la banca, potesse dare in prestito soltanto denaro contante (o titoli di credito su di esso basati, in virtù di una riserva obbligatoria prossima a 100), a sua volta garantito da una corrispondente produzione di ricchezza, i prestiti sarebbero molto più oculati e comunque rapportati alle possibilità reali di entrambe le parti contraenti. La marcia dei soldi sarebbe così rintracciabile in qualsiasi punto del suo percorso. Rigettando il confronto con la realtà, invece, il denaro a debito, virtuale, ha potuto riversarsi sui mercati, gonfiando i valori delle società, produttive e soprattutto finanziarie; queste ultime anzi le più beneficiate in quanto attori in prima persona di questo meccanismo, miope nel prendere atto della sua precarietà, ma gravido di effetti a lunga scadenza. A titolo di esempio, si pensi a quelle istituzioni pubbliche, come Comuni, Province, Regioni, o aziende pubbliche che si sono ipotecate il futuro fino al 2060. O a quanti si sono insediati (evito di dire “acquistati”) in una casa col saldo finale del mutuo previsto dopo 30-40-50 anni (in pratica, un’eredità negativa per i discendenti).

Si dirà che, “alla vecchia maniera” i più non sarebbero in grado di vivere in una casa di proprietà* né di possedere un’automobile, per mancanza della liquidità necessaria. Questo è innegabile, ma il sogno, pur legittimo, di avere oggi una casa che forse potrei permettermi domani, non fa i conti con gli imprevisti, e cioè la possibilità di non essere in grado in futuro di pagare le rate del mutuo, magari assieme a migliaia o milioni di altri mutuatari. Limitandoci al singolo, se lo spettro del pignoramento si avvera, costui perde tutto quello che ha versato in precedenza, e comunque la fuggevole proprietà dell’alloggio. Certo, anche se fosse andato in affitto sarebbe incorso in uno sfratto, ossia, in fin dei conti, nello stesso risultato. Ma si tenga presente che l’allettamento delle banche, anche italiane, che sino all’estate del 2007 ripetevano che era stupido pagare un affitto, quando con gli stessi soldi potevi pagarti il mutuo di un alloggio equivalente, era una bufala grossa proprio come una casa. Con un mutuo ventennale la rata era circa il triplo dell’affitto equipollente, salvo poi salire ulteriormente col salire dei tassi. Chi era caduto in trappola, pertanto, avrebbe potuto comodamente pagare l’affitto della casa in cui viveva da transitorio proprietario, senza incorrere nella successiva serie di rialzi messi in atto dalla BCE “per frenare l’inflazione”.  

La vittima principale di questo sistema di debiti in cascata è senza dubbio il risparmio; ossia l’unica forma sana per non incorrere in default, e divenire proprietari di un bene solo dopo esserselo guadagnato col proprio lavoro. Se molti non se lo potranno comunque permettere ciò è dovuto all’iniqua distribuzione della ricchezza che, cresciuta grazie ai progressi tecnologici e, di converso, per l’insensato sacco del pianeta, è stata assorbita in massima parte dal capitale e dallo Stato, e solo in esigua parte è finita nelle tasche dei lavoratori. A causa di ciò, gli attuali salari non consentono né l’acquisto di una casa né, per molti, l’acquisto di un’auto. Si è creduto furbescamente di superare l’impasse elargendo questi beni a tutti tramite moneta fasulla a debito, per poi buttarli fuori con la forza. Non è l’indebitamento generale la formula per distribuire ricchezza agli strati medio-bassi, ma l’adeguamento dei salari e degli stipendi alla produttività, riducendo l’attuale scandalosa disparità di redditi e il volume dei prelievi fiscali, mettendo comunque nel conto l’inevitabile crescita dell’entropia, che scarica sull’ambiente e sulla società civile l’illusione di uno sviluppo senza limiti.**

Invece, si è pensato di dare a ciascuno, ad es. un’auto, magari ben al di sopra delle sue capacità di spesa, indebitandolo per gli anni a venire. Al verificarsi delle prime sofferenze, il castello di carte ha cominciato a crollare e ci si è “accorti” che c’erano in giro auto (così come case, carte di credito, ecc.) ma non i soldi per pagarle. E allora, le finanziarie collegate alle case automobilistiche, che le auto le tiravano dietro con finanziamenti a tasso zero, trovatesi a corto di pagamenti, non sono più riuscite a ripagare le case madri, portandole sull’orlo del fallimento; evitato soltanto con l’iniezione di soldi pubblici, sempre virtuali, e quindi gravanti sulle spalle di tutti, presenti e futuri. Morale: questa massa di auto (come pure di case, di vacanze a debito, ecc.), in parte regalata e in parte inviata mestamente ai depositi perché invenduta, non l’ha pagata nessuno degli aventi causa, né i clienti morosi né la casa madre: la pagheremo tutti attraverso l’immissione di denaro virtuale da parte dei governi, chiamati in soccorso delle traballanti case automobilistiche, con conseguente maggior prelievo fiscale.

L’economia non sarebbe poi tanto complicata, se non intervenissero i maghi della finanza, magari premi Nobel, con le loro astruserie, fatte proprie dalle fabbriche prodotto delle (ex) Investment Banks e delle divisioni CIB delle banche globali. Grazie a loro circolano nel pianeta prodotti derivati circa decupli del PIL mondiale: il che significa che 9/10 della moneta scritturale esistente corrisponde al nulla, tanto da meritarsi, per bocca degli stessi banchieri, il titolo di tossica.

Forse sarebbe ora che le varie Università di Economia prendessero atto delle conseguenze di questo modo di insegnarla e attuarla, tornando a quell’economia reale di cui oggi tutti parlano: e che altro non sarebbe che rispecchiare beni fisici con moneta fisica ad essi equivalente, lasciando ai computer il solo compito di registrare le operazioni contabili, sostituendosi cioè ai vecchi registri cartacei ma non al denaro stesso.

In altri termini, esattamente il contrario della politica del governo Prodi-Padoa Schioppa, che ha cercato con ogni mezzo di disincentivare l’uso del contante, col pretesto di una fantomatica lotta all’evasione e al riciclaggio.

Parafrasando e ribaltando la definizione platonica dell’arte come copia di una copia, definirei la moneta fisica come ombra di un bene reale e quella scritturale come ombra di un’ombra: quindi doppiamente evanescente. Solo la moneta aurea incorpora in sé il valore che rappresenta: prova ne sia che ciò che un marengo d’oro poteva acquistare 1 o 2 secoli fa può acquistarlo anche oggi, incurante di guerre e crisi finanziarie intercorrenti, e a dispetto degli sforzi dei banchieri di deprezzare con ogni mezzo (vendendo o “prestando” quote consistenti delle loro riserve auree) il valore dell’oro, tuttora fortemente sottovalutato.  

 

* Si sente ripetere che l’80% degli italiani vive in casa di sua  proprietà. Vero soltanto in parte, in quanto la maggioranza dei giovani dal paese di origine è costretto a migrare in città, in un alloggio in cui versa per l’affitto una larga fetta dello stipendio, perlopiù precario; ma ufficialmente risulta residente nella casa avita. Ma l’Istat, si sa, ha il paraocchi.

** Tema affrontato dalle avanguardie ecologiste sin dai primi anni ’70, nell’indifferenza dei media (con l’eccezione del Corriere della Sera, dietro l’impulso della sua battagliera azionista Giulia Maria Crespi, poi fondatrice del FAI, Fondo Italiano per l’Ambiente). Testo base: Aurelio Peccei, “I limiti dello Sviluppo” Mondatori, 1972, che lanciò il primo allarme a livello mondiale.

  

 

 

Marco Giacinto Pellifroni                       4 gennaio 2009