![]() versione stampabile A COSA SERVONO LE BANCHE? |
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La fotografia dell’Italia che ci
presentano giornali e TV è quella di un Paese straccione, in quanto si
conformano al metro di giudizio, anzi di
rating,
per usare un termine più in voga, basato sul suo debito pubblico: tra i più
alti del mondo, si afferma con angoscia. Ma come si forma questo debito pubblico, e chi ne è il creditore? |
Lo Stato necessita di denaro per le sue spese correnti; e dimentichiamo in questo stadio se siano oculate e necessarie o viziate da sperperi e inefficienze.
Per ottenere questi soldi,
poniamo € 50 miliardi, lo Stato potrebbe farli stampare dal suo Istituto
Poligrafico e poi metterli direttamente in circolazione usandoli per i suoi
pagamenti. Interessi per lo Stato? Zero.
Troppo semplice e a buon mercato. Lo Stato invece stampa dei BOT o titoli
equivalenti e li dà alla Banca Centrale (ieri Bankitalia, oggi BCE) per
ottenere da questa le banconote che ha scelto di non stampare. In sostanza
avviene un cambio di carta contro carta, con un vantaggio però per la banca
centrale, che vi applica un interesse, a suo insindacabile arbitrio. Lo
Stato si comporta così da vassallo, ponendosi nella posizione del debitore
nei confronti di un presunto creditore. Presunto, perché in effetti la banca
centrale quelle banconote le stampa dal nulla, o meglio le addebita ai
cittadini italiani, che pure sono chiamati a produrre un equivalente
ammontare di ricchezza, nel caso felice in cui ai soldi immessi nel circuito
corrisponda un’identica crescita del PIL. In caso contrario, quanto manca al
pareggio è pura inflazione, ossia perdita generale del potere d’acquisto di
tutta la moneta circolante, vecchia e nuova. Questo vassallaggio dello Stato
verso le banche non è dettato da nessuna esigenza, solo dalla connivenza tra
mondo politico e bancario, dove il primo si riconosce suddito del secondo
per pura convenzione: riconosce infatti potere a chi lo trae proprio da
questo davvero interessato riconoscimento. Certo, anche se lo Stato quei
soldi se li stampasse in proprio, sarebbero poi i cittadini a doverne
rispondere, lavorando e pagando le tasse; ma almeno non ci sarebbero
interessi da elargire a una terza parte, che reclama poi la restituzione di
soldi e interessi, denominati debito pubblico, senza aver nulla prodotto. L’accumularsi di questo presunto debito pubblico attraverso gli anni (per tacere dei secoli) ha finito per crearne una montagna, ormai insolvibile. Lo Stato italiano è spendaccione, ben lo sappiamo, a nostre spese. Tuttavia, se togliessimo dalle sue uscite annuali gli interessi sul debito pubblico, lasciando cioè che la moneta se la stampasse in proprio, ci sarebbe un avanzo, e non un perpetuo disavanzo. Tanto per capirci, se una finanziaria si aggira sui € 20 miliardi e gli interessi sul debito sono sugli € 80 miliardi, tolti questi ultimi, svanirebbero anche i primi, con tanto di avanzo, appunto. |
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Nell’ultimo anno abbiamo tutti sentito parlare dei CDS (Credit Default Swaps), che altro non sono che il premio assicurativo che un investitore paga nel caso voglia tutelarsi dal rischio di bancarotta del creditore, nel nostro caso lo Stato. Com’è ovvio, più alto il rischio, maggiore il premio. |
Riporto
in calce una tabella con le graduatorie di merito (o demerito), di varie
nazioni, complete di un raffronto, molto significativo, del crescere o, in
pochi casi, del decrescere di questo premio nel volgere dei primi 6 e 8 mesi
del 2008. Argentina, Venezuela, Islanda e Russia guidano il drappello dei
Paesi più insicuri. Per l’Italia la corsa al rialzo è stata notevole, specie
durante l’estate scorsa, col dilagare della crisi mondiale (+78,8%). Se i
dati fossero ulteriormente aggiornati, vedremmo di certo lievitare
ulteriormente i premi, in proporzione agli accresciuti rischi.
Ciò
significa che l’UE ha una moneta unica che mal si adatta a queste divergenze
strutturali dei vari Paesi, con alcuni in acuta sofferenza ed altri in
relativa miglior forma. Non si dimentichi che Questa tentazione centrifuga sarà la prova del fuoco di un’Europa unita (a
forza) monetariamente, ma non politicamente; eppure potrebbe non essere
quella iattura che tanti sembrano paventare.
Potrebbe non esserlo, a patto però che la rivoluzione strutturale, che non
potrà che accompagnarle si, contempli anche l’esclusione della banca centrale
nazionale (Bankitalia) dall’emissione di moneta a debito per lo Stato; e che
quest’ultimo si appropri di questa funzione, che costituzionalmente gli
compete. Prima
che si giunga a questo comunque drammatico passo, revocando il giogo
impostoci coi Trattati di Maastricht del 1992, bisogna tuttavia che il
risparmio privato degli italiani non resti congelato nelle banche, che hanno
prosciugato il credito alle attività produttive, specie medio-piccole,
portandole alla asfissia, ma sia a queste ultime prestato in via diretta.
Cosa possibile soltanto ad uno Stato abilitato a creare la sua valuta
secondo necessità. In questo modo la politica economica statale sarà anche
politica monetaria, come è giusto che sia. Concludo con l’ironica vignetta di un cartoonist americano, che bene rende l’idea di come i governi salvino le banche, col pretesto di salvare i risparmiatori. Una volta salvatesi, però, chiedono a sempre più aziende di rientrare, negando loro le scialuppe indispensabili per superare i marosi della tempesta perfetta in corso ormai da 16 mesi.
Marco Giacinto Pellifroni
14 dicembre 2008
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