«I tecnici avevano previsto il crollo del Monticello»
via al processo. donna perse una gamba sotto le macerie
Il pm: perizia evidenziava i rischi ma nessuno mise in sicurezza il muro
IL SECOLOXIX
savona. Il progetto della demolizione dei ruderi di piazza Monticello redatto dall'ingegnere e docente universitario Filippo Lagomaggiore evidenziava la pericolosità dei muri di cinta su salita Rossello e vico del Vento e ne imponeva la messa in sicurezza con la posa di ponteggi esterni.
È sulla base di questo progetto, accompagnato da un'apposita perizia, che la Procura ieri mattina ha scagliato il primo siluro ai tre imputati per il crollo del muraglione del cantiere di Monticello che si verificò il 30 ottobre del 2006 riducendo in fin di vita un'anziana oggi con gravissimi problemi di deambulazione e la vita rovinata.
Ma quei ponteggi non furono messi e il giorno del dramma il muro si sgretolò su vico del Vento proprio mentre Maria Vigo, vedova Firpo, all'epoca 82 anni, stava transitando a piedi come tutte le mattine. Fu investita in pieno e gettata a terra da mattoni e intonaco che coprirono anche un'auto e due moto. Per miracolo non perse la vita ma uscì da quell'inferno con ferite così gravi da costringerla a perdere una gamba giorni dopo (le fu amputata).
E nel processo che ieri è entrato nel vivo la pubblica accusa, rappresentata dal pm Giovanni Ferro, sul punto della mancata messa in sicurezza preventiva del muro crollato ha puntato per chiedere la condanna delle tre persone a processo: Salvatore Fallico, 23 anni, residente a Troina (provincia di Enna) in qualità di capo-cantiere e manovratore della ruspa che avrebbe provocato il crollo; l'architetto savonese Rodolfo Fallucca, 51 anni, nella veste di direttore dei lavori e coordinatore per la sicurezza; e Giuseppe Giachino, 61 anni, residente anche lui a Troina, rappresentante della ditta "Regal Villa Costruzioni Srl" appaltatrice dei lavori.
Dei tre in aula davanti al giudice Marco Canepa c'erano solo Fallucca e Giachino, difesi dagli avvocati Fausto Mazzitelli e Rosanna Rebagliati, e il dibattimento si è aperto con la relazione dell'ispettore dell'Asl intervenuto dopo il crollo che verificò la (mancata) sicurezza del cantiere.
«La pericolosità di quei muri, e l'esigenza di metterli in sicurezza, era chiarita nel progetto delle demolizioni dell'ingegner Lagomaggiore - ha detto l'ispettore Asl - Non saprei dire l'epoca esatta di quei muri, ma agli atti c'è la perizia che precisa lo stato di precarietà di quelle costruzioni ormai abbandonate e quindi pericolanti».
Una tesi che i difensori dei tre imputati hanno però respinto con forza. L'avvocato Rebagliati - assiste Salvatore Fallico e Giuseppe Giachino - ha per esempio contestato sostenendo che il nesso tra i lavori ed il crollo è ancora da dimostrare. «Noi avevamo l'obbligo di mettere in sicurezza la cinta muraria nel momento in cui ci si lavorava nei pressi - ha detto il legale - mentre quando si è verificato il crollo su vico del Vento la demolizione stava avvenendo dall'altra parte del cantiere...». E c'è poi il particolare che per mettere in sicurezza le pareti esterne con i ponteggi ci sarebbe voluto il via libera del Comune per l'occupazione del suolo pubblico, via libera che in quel momento mancava. Il Comune, però, nel procedimento penale non è stato chiamato in causa nonostante fosse committente dei lavori. Perché? Domande cui si dovrà rispondere dalla prossima udienza di marzo 2009.
Dario Freccero