![]() versione stampabile IL LIBRO DEL MESE: LA VITA AGRA
Un misconosciuto quanto attuale capolavoro della letteratura
italiana di Massimo Bianco |
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Vita agra, cioè, secondo il vocabolario, acre, acida, pungente. E dunque, nell’acido, pungente libro “La vita agra”, lo scrittore Luciano Bianciardi ci racconta Milano attraverso le disavventure di un immigrato toscano. D’altronde Bianciardi stesso era toscano, nato a Grosseto nel 1922 e scomparso, guarda caso, a Milano nel 1971. Inoltre, proprio come il protagonista del romanzo, la sua attività principale era quella di traduttore: particolare, quest’ultimo, utile da specificare per schiarire le idee a chi dovesse pensare che nel testo non ci sia un’evidente componente autobiografica. La vita agra, massimo capolavoro di Luciano Bianciardi, autore peraltro sia di numerosi altri testi narrativi sia di saggi, è scritta con classe e arguzia. |
L’autore, laureato in lettere e filosofia, aveva piena padronanza della tecnica narrativa e sapeva trasfondere ai suoi scritti uno stile efficace. In proposito un critico di enciclopedia specialistica così si espresse: “Caratteristico del romanzo è il pastiche linguistico che mescola linguaggio aulico e gergo.” La Milano di Bianciardi, siamo tra gli anni ’50 e i primi anni ’60, è una Milano che stava appena cominciando a conoscere il boom economico, ma lo faceva grazie allo sfruttamento dei lavoratori e a mille ingiustizie. Era quella stessa città che stava diventando la “Milano da bere”, per usare una definizione quanto mai abusata. Una metropoli in cui non era (non è?) facile vivere, il cui unico credo era produrre e dove tutti andavano di fretta e fermarsi o sembrare sfaccendati appariva sospetto. “Io non cammino, non marcio:
strascico i piedi, io, mi fermo per strada, addirittura torno indietro,
guardo di qua e guardo di là, anche quando non c’è da traversare.
Sorpreso in atteggiamento sospetto, diceva appunto al telefono quel
maresciallo del buon costume, dopo che mi ebbe fermato, caricato sul
furgone nero e portato in questura. <<Come atteggiamento sospetto.>> chiesi io, un po’
risentito. <<Allora lei vuole fare il furbo, né?>> Disse <<Lei
camminava lentamente, e si è fermato due volte, dove andava?>> <<A passeggio.>> <<Ah sì? A passeggio? Lei va a passeggio senza
cravatta? Da solo? E non tira dritto per la sua strada? Va così
lentamente? E si ferma?>> Mi tennero chiuso a chiave una giornata intera, e intanto presero informazioni, ma non risultò nulla, e mi rimandarono a casa con tante scuse.” Milano era una città in cui l’egoismo prevaleva sulla generosità d’animo, dove ognuno preferiva farsi i fatti suoi: “Scorsi un filo di sangue che
gli usciva dalla nuca e si spandeva nero sul selciato.
Al bar lì accanto avevo già visto quattro uomini
senza cravatta che giovavano a carte, e così andai là, a dire che c’era
un ubriaco ferito, e che da solo non ce la facevo a rimetterlo in piedi,
e che anzi provandoci mi era caduto battendo la testa. I quattro
alzarono appena gli occhi, senza dire niente. (…) <<Non ce la fa, l’ho aiutato io ma m’è ricaduto e
perde sangue.>> <<E noi cosa c’entriamo? È successo a lei, no? Se la
veda lei.>>E riattaccarono a giocare a carte. (…) Intere famiglie falciate da un camion con rimorchio, vecchiette stritolate dalle ruote di un tram perché non hanno saputo salire a tempo, e sono rimaste con un piede impigliato nelle porte automatiche. Ingenuo ero io a meravigliarmene. A New York, per esempio, altro che qui! Centinaia di morti ogni giorno in incidenti del genere. E anche a Londra. E a Calcutta migliaia di morti di fame ogni giorno. Il mondo è fatto in questo modo, non l’avevo ancora capito?” Inoltre più avanti, riguardo al medesimo argomento ma non solo, aggiunge: “Un ubriaco muore di sabato battendo la testa sul marciapiede e la gente che passa appena si scansa per non pestarlo. Il tuo prossimo ti cerca soltanto se e fino a quando hai qualcosa da pagare. Suonano alla porta e già sai che sono lì per chiedere, per togliere…” |
![]() Luciano Bianciardi |
Passi interessanti questi, nevvero? È un romanzo molto attuale, la Vita agra. È stato pubblicato nel 1962 e oggi siamo alle porte del 2009, vi mancano appena pochi giorni. Sono trascorsi quasi 47 anni e non sembra che sia cambiato molto. Sarei tentato di comportarmi anch’io come i quattro giocatori, lo saremmo tutti. Bisogna far forza su se stessi per intervenire in casi analoghi, anziché scrollare le spalle e tirare dritto pensando, perché impicciarsi? |
Perché mettersi in una situazione imbarazzante e magari trovarsi con delle responsabilità non cercate? No, per carità, ci pensi qualcun altro. Tanto la situazione si risolverà in qualche maniera, anche senza di me. E mettersi così l’anima in pace. Quanto poi alla parte conclusiva, suvvia, davvero occorre puntualizzare? Tutti noi ormai siamo telefonicamente bombardati dai soliti questuanti, desiderosi di proporci superofferte e contratti nel 99% dei casi favorevoli, statene pur certi, più a loro che a voi. Si accennava prima a come la vita allora fosse dura, nonostante il cosiddetto boom economico o forse proprio a causa dello sforzo per costruirlo. Infatti, come ci ricorda Bianciardi, unire il pranzo con la cena era impegnativo, a quei tempi, ben più che in questi giorni di pur seria crisi economica: “Ci ho visto certe ragazzette d’ufficio magre magre mangiare con duecento lire a pasto, facendo a meno del vino, dell’acqua minerale, della minestra, con soltanto una porzione di lesso e una mela.” E per superare le difficoltà di tal vita Bianciardi non vede altra via di fuga che l’autoannullamento notturno nel sonno. Spaventoso. Il racconto tuttavia non risulta mai cupo, Bianciardi, infatti, ha senso dell’ironia e gusto per l’iperbole e per il grottesco e grazie a ciò i numerosi suoi quadretti risultano, appunto, assai gustosi. Eccone un esempio: “La segretaria ideale dunque marca a zona, si
sceglie un settore e lo fa diventare importante. Basta anche un settore
umilissimo, anzi è meglio. Ho conosciuto una segretaria che sapeva
soltanto leccare le buste e i francobolli, eppure diventò
indispensabile, perché fece in modo che il pensamento e la stesura delle
lettere diventassero attività sussidiarie del leccamento suo. <<Le mie lettere dottàre>> diceva, slabbrando le
vocali. <<Scusi se le faccio premura, abbia la cortesia di dettare le
mie lettere, che debbo spedirle.>> Ho conosciuto telefoniste che in pratica dirigevano aziende di media grossezza. <<Il suo nome per favàre>> Dicono slabbrando la vocale oppure strizzandola <<il suo nome, prigo>> Devi dirgli nome e motivo della comunicazione, altrimenti quella s’impunta, ti dice: <<lei non vuole callabarare con me>> E non ti fa parlare né camunicare col cammandatare. Basta che una di queste segretariette, con le sue gambette secche e il visino terreo, s’impadronisca di un pezzo di tubatura aziendale, e lo intasi, perché poi tutto si subordini a lei.” Questo romanzo è una brillante contestazione globale del sistema (ma globale davvero: non solo al mondo consumistico capitalista, dunque, ma anche alla sua alternativa comunista, schiacciata da un’ottusa burocrazia interna e dall’ipocrisia) e dell’uomo a esso integrato. Inoltre, a parte qualche passaggio inverosimilmente utopista fino all’autolesionismo, con il senno di poi La vita agra si dimostra opera visionaria, che ha saputo presagire il ‘68 e ipotizzare perfino l’idealista ma malsana progettualità del terrorismo eversivo anni ‘70. All’epoca in cui apparve, La vita agra ebbe successo. “Il libro va molto bene, sia come critica che come vendite (…) forse la vita agra è finita davvero” ebbe modo di affermare l’autore. E in seguito ne venne perfino tratto un film con Ugo Tognazzi, per la regia di Carlo Lizzani. Tuttavia l’interesse, a causa forse della tematica che all’epoca poteva apparire troppo legata al momento in cui il testo era stato scritto, tramontò presto. Nell’ormai lontano 1986 un critico letterario lamentava dispiaciuto che era “un libro certo non adatto ai milanesi, insomma, ma estensivamente – per la sua attualità – adatto a pochi. E in effetti, oggi, Bianciardi nessuno lo legge.” Nel frattempo sono trascorsi altri 22 anni, eppure Bianciardi continua a essere attuale ma continua anche, temo, a restare dimenticato. Ed è davvero peccato mortale. Difatti, checché ne dicesse quel critico, meriterebbe di essere letto da tutti proprio per via della sua attualità, che ci fa riflettere – e poi è la capacità di travalicare le epoche ad attestare l’autentico capolavoro, vedasi in proposito Shakespeare – oltre che per via della sua (agra? Acida? No, meglio:) amara, anzi amarissima, satirica leggerezza. Massimo Bianco
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