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LA DECRESCITA INFELICE

  Marco Giacinto Pellifroni

Marco Giacinto Pellifroni

Nel 2005, agli apici del boom edilizio e finanziario, uscì un libro di Maurizio Pallante in totale controtendenza: “La decrescita felice”.

Il libro era una sorta di manuale per preparare noi occidentali a vivere con frugalità, abbandonando progressivamente gli eccessi degli ultimi decenni: una convalescenza dopo l’indigestione che ci aveva visto sperperare le risorse naturali di tutti ai danni del resto del mondo.  

  Era il modo equo e solidale di avviarsi verso un sano equilibrio con la natura e con gli altri, pur fisicamente lontani, esseri umani. Insomma una decrescita intelligente, che sconfessava il mito del suo contrario: quello della crescita del PIL ad ogni costo, ambientale e umano, che in questo contraddittorio parametro si nascondeva.

E invece eccoci qua, costretti a fare una decrescita tutt’altro che felice; una decrescita vissuta come una catastrofe, in quanto subita, anziché scelta. E infatti ha altri nomi: recessione, depressione.

Una differenza, quella tra il titolo del libro e quello del presente articolo, che corrisponde a quella tra povertà e miseria. La povertà, francescanamente intesa come frugalità e continenza, è un valore, dettato dalla saggezza e liberamente cercato, che riempie il cuore di chi la pratica, ponendolo in pace con se stesso e col mondo circostante; la miseria è una maledizione per chi suo malgrado vi cade, che uccide la sua equilibrata convivenza col mondo esterno, verso il quale nutre un sentimento di odio crescente. Una civiltà che vive all’insegna della frugalità, considerata un valore, può essere felice ed esente da tensioni sociali; una società in miseria vede il dissidio e la rapacità eretti a sistema di vita, con la forza bruta che annulla e sostituisce ogni sentimento di umana solidarietà, dove vige l’homo homini lupus, dove la tirannide scalza il governo.

Non si fatica a riconoscere che quest’ultima è la direzione in cui la nostra civiltà sta avviandosi, essendosi accorta troppo tardi di aver vissuto sino a ieri a spese del resto del mondo, dando fondo per usi voluttuari a risorse di sopravvivenza di miliardi di nostri consimili. Tutto questo sotto l’egida di organizzazioni mondiali nelle mani di individui intenti solo a “far soldi”.

Non riesco a guardare diversamente al nucleo duro dei grandi manager delle massime istituzioni finanziarie, che hanno deliberatamente condotto il mondo degli “altri” alla rovina, illudendosi (e finora riuscendovi) di ritagliare per sé un’isola al riparo dalle ondate dell’attuale tempesta perfetta. Costoro hanno cooptato i responsabili politici nel loro dissennato disegno, rinviando sine die l’attuazione di programmi che d’ora in poi si imporranno con la forza, lasciando per strada miliardi di indigenti stremati dagli stenti e dalla fame.

In verità, il piano di immiserimento di intere popolazioni aveva preso corpo già da decenni, sostituendo al precedente giogo coloniale di razze considerate inferiori e quindi schiavizzate, il gravame di un debito insostenibile verso le nazioni ricche, così da perpetuarne il dominio, sostituendo alle imposizioni fisiche quelle finanziarie.

Non paghi di causare, attraverso debiti insostenibili, la rovina esistenziale di popoli “esotici”, africani, asiatici e latino-americani, le grandi teste pensanti della finanza hanno allargato i loro tentacoli sulle loro stesse popolazioni, riducendole parimenti in schiavitù: perché non diversamente si può chiamare l’esproprio su vasta scala dell’auto, dei mobili, della casa, del lavoro, dello stesso diritto all’esistenza. Del resto, il mondo ha risorse finite; e, dopo aver risucchiato ogni goccia di sangue del “terzo mondo”, non rimaneva ai leaders che rivolgersi contro i propri stessi concittadini. Questo manipolo di strozzini ha finito col divorare le sue stesse aziende: banche e assicurazioni, che da mesi vanno col piattino in mano a escutere l’obolo di quegli stessi governi che hanno portato al dissesto con il salasso di un debito pubblico dei cui rimborsi le tracce svaniscono in tortuosi percorsi attraverso opache “camere di compensazione internazionale” e isolette erette a porti franchi finanziari: buchi neri che inghiottono di tutto, dai redditi da signoraggio ai soldi sporchi delle varie mafie (i cui € 130 miliardi di proventi non marciano di certo attraverso gli assegni trasferibili, vietati dal governo Prodi per combattere il riciclaggio!).

Oggi si parla di programmi di investimenti in opere pubbliche orientate alla salvaguardia di un ambiente sino a ieri irriso e calpestato, a cominciare dalla riduzione di CO2. Ma non è una libera scelta, non è una conversione paolina, è un’opzione imposta dalle cose; in altre parole, non è frutto di considerazioni “ecologiche”, ma un semplice stratagemma dei programmatori dei nostri destini. Prova ne sia che, a fianco di progetti di energia solare, sbandierati come fiori all’occhiello, se ne varano di ben più colossali incentrati sull’energia atomica.

 Non siamo in grado di smantellare le poche ed effimere centrali nucleari esistenti sul nostro territorio, perché è “anti-economico”, per non dire del trattamento delle scorie radioattive? Poco importa per i soliti nuclei hardcore di politici e capoccioni industriali, che non hanno affatto capito che l’attuale è una crisi sistemica, continuando a baloccarsi coi giocattoli di un tempo che non tornerà più. Svanito, non per loro scelta, s’intende, ma per necessità. Eppure, contro ogni evidenza, restano abbarbicati al nucleare, ai megaprogetti centralizzati, sia in campo industriale che urbanistico. Savona è un eloquente campo sperimentale di questi residui bagliori di passate follie. I vizi sono duri a morire: costoro non vogliono la decrescita felice, vista con orrore; no, loro vogliono prolungare la presente agonia, generando energia per produrre ancora valanghe di merci, utili, inutili, superflue o dannose, attraverso reazioni termodinamicamente blasfeme, come la scissione nucleare. Milioni di gradi per scaldare l’acqua di una lavatrice o riscaldare un ambiente (come criminosamente si fa nelle nazioni più “avanzate”), mentre si butta in mare, o peggio in fiumi o laghi, oltre il 70% di energia di scarto nelle acque di raffreddamento. Energia per fabbricare e far marciare ruspe e gru, per impastare cemento e asfalto, per vomitare schiere di case e casette, porticcioli e megatorri, però nobilitati da firme “prestigiose”: arte post-moderna da lasciare ai posteri.

Questi signori, dall’aria pratica e decisa, come quella dell’”imperiatore”, sognano ancora i bei tempi dell’energia “ottima ed abbondante”, dimenticando che era l’ambiente, e quindi la qualità della nostra vita, a farne le spese, con i conti debitamente registrati dalla legge dell’entropia. Un ambiente sempre meno in grado di sopportare la nostra presenza, causa di sconvolgimenti climatici e di estinzioni di massa di animali e piante; ma in crescendo anche di umani .

Di umani? Senza alcun dubbio, se non circa i metodi attuativi dell’estinzione, sostanzialmente di due tipi: strisciante o deliberato. Al primo appartengono i metodi descritti più sopra: miseria e fame, dapprima riservati alle razze “inferiori”, ma da qualche anno estesi anche a noi, popoli occidentali. Il secondo metodo è il classico: la guerra. Se il primo non dà risultati soddisfacenti in periodi ragionevoli, si passa al secondo, molto più sbrigativo ed efficace. La prima opzione è in atto da tempo; e sembreremmo ormai maturi per la seconda.

I segnali non mancano. L’attuale “democrazia” fa brutti scherzi: i candidati, e meno ancora i vincitori, non li designano gli elettori, ma chi li finanzia. Quanti si aspettavano un Obama pacifista non avevano messo in conto la natura dei suoi sponsors, che puntarono su di lui ben più che su Mc Cain, ossia quelle stesse corporations e lobbies finanziarie maggiormente responsabili della corrente iattura. Gente che i soldi è abituata a investirli, mica a regalarli. L’industria degli armamenti, in particolare, è l’unica che tuttora funziona negli USA; e se si allenterà la presa sull’Iraq, Obama ha già annunciato che la intensificherà in Afghanistan, mentre ha avuto parole minacciose, stile Bush, contro l’Iran, nuovo “asse del male”, e guarda caso ricco di petrolio e riottoso ad accettare dollari contro greggio. D’altronde, passi per il fallimento di GM, Ford e Chrysler, con milioni di nuovi disoccupati (tranne ai piani alti, beninteso*); ma mica può fallire il complesso industrial-militare: è la colonna portante degli USA. Senza quella, gli USA si scoprirebbero una nazione tra tante, deindustrializzata e carica di debiti come nessun’altra. Se per giunta fosse semi-disarmata, come farebbe a dettare ancora le sue regole al resto del mondo?

Una prospettiva talmente desolante che potrebbe dare inizio ad una guerra su vasta scala, che avrebbe il “vantaggio”, come l’ebbe la Seconda Guerra Mondiale, di “risollevare l’economia”. Americana. Altro che pannelli solari e pale eoliche per dar lavoro alle industrie; meglio impiegare quei materiali per fabbricare bombe e cannoni, magari “intelligenti”. Distruggere per poi ricostruire, a spese dei vinti: il Novecento è stato maestro in questo business, come hanno imparato a proprie spese Giappone e Germania. L’Italia meno, nella sua qualità di ibrido vincitore-perdente.

Nessuno di noi, fuori dalle stanze dei bottoni, sa prevedere l’inizio di una nuova guerra ”estesa”. Potrebbe partire da un attacco di Israele all’Iran, a seguito magari di un “attentatone” ad opera dei soliti ignoti, o più prosaicamente da una svalutazione o sostituzione del dollaro con una nuova divisa, alla faccia di Cina, India e Giappone che di dollari hanno i forzieri pieni. Del resto, Nixon fece di peggio, quando sganciò il dollaro dall’oro, gabbando il resto del mondo. Ma il mondo oggi è diverso, con un debito estero USA di svariati trilioni di dollari, in gran parte proprio verso la Cina, nazione non “occupabile” e finora sostegno indispensabile della spesa pazza americana, ma da qualche tempo in fase di prudente ritiro.

Scenari inquietanti, dove grandi e ristrette fortune convivono con un’estesa e dilagante miseria. Gli ingredienti per l’instaurarsi del Nuovo Ordine Mondiale sognato da decenni dai grandi gruppi di potere e in buona parte attuato, ci sono tutti. Resta da vedere attraverso quali strade si deciderà di attuarlo: carestie o guerre, probabilmente di nuova generazione. Altro che “decrescita felice”!

 * “I CEO di GM, Ford e Chrysler si sono recati al Congresso, da Detroit a Washington, per chiedere aiuti governativi, peraltro negati, alle loro aziende sull’orlo della bancarotta. Ciascuno ha usato un jet privato, al costo di $ 20.000, quando il prezzo di un biglietto aereo per quel tragitto è di $ 288 in business class e $837 in prima classe,” un po’ come andare a chieder l’elemosina scendendo da una Rolls Royce in frac e cilindro. A quanto pare, questo orrore per la frugalità non contraddistingue soltanto i nostri politici, che scorazzano in auto blu e aerei di Stato. [da Agora Financial’s, 20 novembre 2008].

  

Marco Giacinto Pellifroni                                     23 novembre 2008