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Molti miei concittadini si saranno chiesti – immagino - perché
mai il nostro Cavaliere non conti fino a venti prima di uscirsene con
una battuta delle sue, di cui è il primo a compiacersi e a ridere, salvo
a stupirsi degli effetti negativi non solo per la sua propria “immagine”
ma anche per quella dell’intero Paese che egli, bene o male, per la
carica che ricopre e la funzione che esercita, rappresenta. La sua
incontinenza verbale non è una novità e nemmeno la sua tendenza ad
irritarsi quando la stampa (rossa) riporta , magari isolata dal
contesto, qualche sua arguzia sopra (e più sovente sotto) le righe
qualificandola, quando va bene, come “un’altra delle sue gaffe”, o, nei
casi più gravi “incidente diplomatico” o addirittura come “insulto” a
questa o a quella persona, a questa o a quella “corporazione” a lui
invisa (sono celebri i suoi affettuosi giudizi su certa magistratura).
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Prendiamo l’ultima, per ora, clamorosa gaffe internazionale ai danni (si
fa per dire) del neoeletto Presidente degli Stati Uniti. Perché, si
dirà, tornare su un incidente ormai chiuso da una telefonata giunta d’oltreatlantico
– auspice l’ambasciatore Castellaneta -
che i portavoce del premier hanno definito “cordiale”? Si vuol
forse insistere su una innocente battuta enfatizzandola a scopi di
propaganda politica? Può darsi; ma sarebbe propaganda di segno opposto
derubricare l’uscita del Cavaliere da gaffe larvatamente razzista ad
espressione simpaticamente colorita; l’intenzione, però, non è di
aggiungere legna al fuoco della polemica, non è per questo che mi
propongo di scrutare l’aggettivo incriminato come fosse un insetto sotto
la lente di un entomologo; la mia intenzione è soprattutto cercare di
capire. Dunque, che cosa avrà mai spinto il nostro eroe ad aggiungere
l’epiteto “abbronzato” ai due precedenti, cioè “bello” e “giovane”?
Bello e giovane non erano forse abbastanza complimentosi e
politically correct? E se
voleva esprimergli affetto e simpatia, perché mai è andato a scegliere
proprio quell’aggettivo e ha usato quel tono
cabarettistico, quanto meno inadatto alle circostanze, che ha
suscitato quel po’ po’ di vespaio sui media di tutto il mondo? Vale la
pena esporsi alla baia del mondo intero per amor di una boutade di
dubbio gusto? Poteva dire, invece di “abbronzato”, “simpatico” o
“gagliardo” o magari “aitante”, insomma tutto meno quell’attributo che
allude al colore della pelle di Obama, e non saremmo qui a parlarne e a
nessuno sarebbe venuto in mente di chiedergli rispettosamente se aveva
provveduto a scusarsi .
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Perché non l’ha fatto? Suvvia, che sarà mai una paroletta
vezzosa e scherzosa
proferita nel corso di una conferenza stampa internazionale? Bisogna
proprio essere imbecilli o comunisti (veramente il premier ha usato
un altro termine su cui il tacere è bello) per non capire che si
trattava di una “carineria”! Possibile che il New York Time e il
Washington Post, Le Figaro e Le Monde, Il Corriere della Sera e
La Stampa
(lasciamo perdere
la Repubblica, e
non parliamo nemmeno dell’Unità o del Manifesto, notoriamente
prevenuti nei suoi confronti) abbiano preso tutti lucciole per
lanterne? Sì, per il nostro premier non solo è possibile ma certo.
E qui
si apre un altro problema: il Cavaliere crede veramente a quello che
dice oppure finge, fingendo anche di credere che qualcuno possa
prenderlo sul serio quando afferma che la sua intenzione era di fare
un complimento al neoletto primo Presidente di colore degli Stati
Uniti?
Intendiamoci, non si
può escludere che un uomo tanto preoccupato della propria immagine
telegenica da presentarsi sempre, lui sì, abbronzato e azzimato,
proietti anche sul prossimo la sua concezione della bellezza
maschile; ma il Cavaliere non è un uomo qualunque, o un comico
televisivo, soprattutto non lo vuole essere; allora
perché si comporta così spesso come una macchietta? |
Concepisce forse la politica come “la continuazione del cabaret con
altri mezzi” (Sebastiano Messina)? Non credo che sia questa la
giusta chiave di lettura. Consideriamo il carattere estroverso del
nostro eroe e il contesto politico internazionale in cui gli è
scappata la gaffe a sfondo razziale: la vittoria del candidato
democratico Barack Obama, salutata con giubilo ed entusiasmo da
tutta (o quasi) la
Sinistra mondiale, apre, se non una “nuova epoca”
(come qualcuno ha scritto un po’ enfaticamente) certo una nuova fase
politica internazionale; questa nuova fase politica comporta anche
il riconoscimento di un avvenuto (almeno sul piano simbolico)
“riscatto antropologico” per il semplice motivo che Obama è, piaccia
o meno, afroamericano, cioè un nero d’ America. Ora, per quanto i
nostri politici di destra siano obbligati a far buon viso a questa
novità, è comprensibile che, sotto sotto, mastichino amaro, seco
pensando “chi ci ha negato le dolenti case”, addirittura un
negher! Che cosa voglio
dire con questo? Voglio dire che, sotto forma di motto di spirito
(sì, proprio quello studiato da Freud) il nostro premier ha espresso
ad alta voce quello che gli dettava il cuore, e siccome quello che
gli dettava il cuore non poteva, anzi, non doveva a nessun patto
significare un atteggiamento di superiorità razziale nei confronti
del neoeletto Obama, ecco scattare il meccanismo di difesa della
negazione: “come potete pensare che io abbia voluto offendere il
caro nuovo Presidente, ecc?”. Naturale quindi anche il rifiuto di
quei dati di realtà che invece deporrebbero a favore del
retropensiero razzista. In fin dei conti, si può scommettere sulla
buona fede del Cavaliere? Lui giura di essere sincero, e i
giuramenti, si sa, sono sacri.
Fulvio Sguerso
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