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IL RAZZISMO NON E’ UNA GAFFE

 di Fulvio Sguerso

 


Molti miei concittadini si saranno chiesti – immagino -  perché mai il nostro Cavaliere non conti fino a venti prima di uscirsene con una battuta delle sue, di cui è il primo a compiacersi e a ridere, salvo a stupirsi degli effetti negativi non solo per la sua propria “immagine” ma anche per quella dell’intero Paese che egli, bene o male, per la carica che ricopre e la funzione che esercita,  rappresenta.  La sua incontinenza verbale non è una novità e nemmeno la sua tendenza ad irritarsi quando la stampa (rossa) riporta , magari isolata dal contesto, qualche sua arguzia sopra (e più sovente sotto) le righe qualificandola, quando va bene, come “un’altra delle sue gaffe”, o, nei casi più gravi “incidente diplomatico” o addirittura come “insulto” a questa o a quella persona, a questa o a quella “corporazione” a lui invisa (sono celebri i suoi affettuosi giudizi su certa magistratura).
Prendiamo l’ultima, per ora, clamorosa gaffe internazionale ai danni (si fa per dire) del neoeletto Presidente degli Stati Uniti. Perché, si dirà, tornare su un incidente ormai chiuso da una telefonata giunta d’oltreatlantico – auspice l’ambasciatore Castellaneta -  che i portavoce del premier hanno definito “cordiale”? Si vuol forse insistere su una innocente battuta enfatizzandola a scopi di propaganda politica? Può darsi; ma sarebbe propaganda di segno opposto derubricare l’uscita del Cavaliere da gaffe larvatamente razzista ad espressione simpaticamente colorita; l’intenzione, però, non è di aggiungere legna al fuoco della polemica, non è per questo che mi propongo di scrutare l’aggettivo incriminato come fosse un insetto sotto la lente di un entomologo; la mia intenzione è soprattutto cercare di capire. Dunque, che cosa avrà mai spinto il nostro eroe ad aggiungere l’epiteto “abbronzato” ai due precedenti, cioè “bello” e “giovane”? Bello e giovane non erano forse abbastanza complimentosi e politically correct? E se voleva esprimergli affetto e simpatia, perché mai è andato a scegliere proprio quell’aggettivo e ha usato quel tono cabarettistico, quanto meno inadatto alle circostanze, che ha suscitato quel po’ po’ di vespaio sui media di tutto il mondo? Vale la pena esporsi alla baia del mondo intero per amor di una boutade di dubbio gusto? Poteva dire, invece di “abbronzato”, “simpatico” o “gagliardo” o magari “aitante”, insomma tutto meno quell’attributo che allude al colore della pelle di Obama, e non saremmo qui a parlarne e a nessuno sarebbe venuto in mente di chiedergli rispettosamente se aveva provveduto a scusarsi .
Perché non l’ha fatto? Suvvia, che sarà mai una paroletta  vezzosa e scherzosa proferita nel corso di una conferenza stampa internazionale? Bisogna proprio essere imbecilli o comunisti (veramente il premier ha usato un altro termine su cui il tacere è bello) per non capire che si trattava di una “carineria”! Possibile che il New York Time e il Washington Post, Le Figaro e Le Monde, Il Corriere della Sera e La Stampa (lasciamo perdere la Repubblica,  e non parliamo nemmeno dell’Unità o del Manifesto, notoriamente prevenuti nei suoi confronti) abbiano preso tutti lucciole per lanterne? Sì, per il nostro premier non solo è possibile ma certo.
E qui si apre un altro problema: il Cavaliere crede veramente a quello che dice oppure finge, fingendo anche di credere che qualcuno possa prenderlo sul serio quando afferma che la sua intenzione era di fare un complimento al neoletto primo Presidente di colore degli Stati Uniti?
 Intendiamoci, non si può escludere che un uomo tanto preoccupato della propria immagine telegenica da presentarsi sempre, lui sì, abbronzato e azzimato, proietti anche sul prossimo la sua concezione della bellezza maschile; ma il Cavaliere non è un uomo qualunque, o un comico televisivo, soprattutto non lo vuole essere; allora  perché si comporta così spesso come una macchietta?

Concepisce forse la politica come “la continuazione del cabaret con altri mezzi” (Sebastiano Messina)? Non credo che sia questa la giusta chiave di lettura. Consideriamo il carattere estroverso del nostro eroe e il contesto politico internazionale in cui gli è scappata la gaffe a sfondo razziale: la vittoria del candidato democratico Barack Obama, salutata con giubilo ed entusiasmo da tutta (o quasi) la Sinistra mondiale, apre, se non una “nuova epoca” (come qualcuno ha scritto un po’ enfaticamente) certo una nuova fase politica internazionale; questa nuova fase politica comporta anche il riconoscimento di un avvenuto (almeno sul piano simbolico) “riscatto antropologico” per il semplice motivo che Obama è, piaccia o meno, afroamericano, cioè un nero d’ America. Ora, per quanto i nostri politici di destra siano obbligati a far buon viso a questa novità, è comprensibile che, sotto sotto, mastichino amaro, seco pensando “chi ci ha negato le dolenti case”, addirittura un negher! Che cosa voglio dire con questo? Voglio dire che, sotto forma di motto di spirito (sì, proprio quello studiato da Freud) il nostro premier ha espresso ad alta voce quello che gli dettava il cuore, e siccome quello che gli dettava il cuore non poteva, anzi, non doveva a nessun patto significare un atteggiamento di superiorità razziale nei confronti del neoeletto Obama, ecco scattare il meccanismo di difesa della negazione: “come potete pensare che io abbia voluto offendere il caro nuovo Presidente, ecc?”. Naturale quindi anche il rifiuto di quei dati di realtà che invece deporrebbero a favore del retropensiero razzista. In fin dei conti, si può scommettere sulla buona fede del Cavaliere? Lui giura di essere sincero, e i giuramenti, si sa, sono sacri.

Fulvio Sguerso