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Cassieri e cassoni

Quante volte  ci facciamo incastrare da affermazioni, divieti, prevenzioni che crediamo ineluttabili, ovvie, indispensabili, ma che in realtà ci imponiamo da soli senza alcun motivo od obbligo esterno?

di Milena De Benedetti

Milena De Benedetti

In un simpatico e sottovalutato film fantasy, Labyrinth, c’era una scena in cui un buffo guerriero, una sorta di capitan Fracassa in versione canina, doveva difendere un ponte, e combatteva fieramente impedendo l’accesso a chiunque lo volesse attraversare. Dopo varie baruffe ed esserne diventati amici, i personaggi chiedono di lasciarli passare, ma lui si irrigidisce, dicendo che comunque non può, ha fatto voto irrinunciabile.

Al che la ragazzina protagonista chiede, pensando si tratti di ordini dall’alto: e che voto hai fatto? 

 Risponde il cagnolino: che niuno può passare senza la mia permissione. E lei: allora possiamo averla, la tua permissione? Perplessità, esitazione, riflessione, e alla fine, non trovando argomenti, il guerriero sui generis risponde di sì.

Ecco, quante volte anche noi ci facciamo incastrare da affermazioni, divieti, prevenzioni che crediamo ineluttabili, ovvie, indispensabili, ma che in realtà ci imponiamo da soli senza alcun motivo od obbligo esterno? Ma piuttosto, perché ce le fanno credere tali, e il coro è così unanime che non proviamo neppure a metterle in discussione, non ci soffermiamo neppure a riflettere.

Il discorso vale per molti dettami del capitalismo avanzato e praticamente per tutto ciò che è finanza. Vengono ripetuti come mantra, dai vertici della comunità europea, dalle grandi sedi dell’economia globale, giù giù a cascata fino a quasi tutti i nostri politici, centro destra o centro sinistra che sia, con l’esclusione della sinistra radicale, dei no global, di qualche frangia di destra antieuropeista e di Tremonti o Gasparri quando vogliono intorbidare le acque.

In realtà ci sarebbe tutta una serie di considerazioni molto meno sacrileghe o estremiste di quello che si creda. Alcuni principi, ad esempio, sono tali solo perché universalmente accettati, ma sono tutt’altro che inattaccabili. Soprattutto dal punto di vista non di ciò che ci dicono, ma che non ci dicono. Altri, invece, non vengono presi in considerazione, considerando che dal crollo del muro in poi il capitalismo è diventato dogma. Tipo  i vecchi principi etici dell’uguaglianza e del diritto alla felicità e alla dignità degli individui.

E si vede in che bel mondo ci hanno  fatto e ci fanno vivere. E si vedono, o si iniziano a vedere,  le conseguenze, di aver portato tutto all’estremo. E stanno ancora continuando, ad esempio con il famigerato trattato di Lisbona di cui poco si sa, a impostare il mondo sulla logica della finanza.

La logica del profitto,  dell’iniziativa privata, della libertà di speculare. La logica del divario sempre più grande fra ricchi e poveri. La logica della crescita illimitata, del pil, della bulimia economica,  della natura saccheggiata.


Piattaforma di Vado Ligure

Da tutto questo,  dai mantra della religione del denaro, discendono appunto a cascata una serie di conseguenze, dal grande al piccolo. Se ci guardiamo intorno, se osserviamo la cementificazione scriteriata, l’inquinamento, certi discutibili sviluppi portuali e retroportuali, il depauperamento del pubblico, lo scadimento dei servizi, l’incrinarsi della stessa struttura sociale e un individualismo deteriore che impera, la miopia delle scelte, l’arraffare tutto e subito…se ci soffermiamo su tutto questo, che sembra ineluttabile e inarrestabile, possiamo ritrovare il filo rosso che lo unisce ai falsi principi di cui sopra e ai grandi movimenti internazionali.

 Ad esempio, un mantra indiscusso è che privato è meglio che pubblico. Ci hanno detto in tutte le salse che la privatizzazione è indispensabile, che è un preciso dettame europeo, che serve per la libera iniziativa e per far funzionare le cose.

Di come la penso io in proposito parlerò un’altra volta, per non sbrodolare. Dico solo che privato uguale ricerca di profitti. Che ricerca di profitti vuol dire limitare al minimo possibile gli investimenti improduttivi, che non danno cioè, un ritorno economico immediato. Cose tipo manutenzione, sicurezza, salvaguardia dell’ambiente.

Tra l’altro per il secondo, coinvolgendo esseri umani, un minimo di pudore e di compunto e ipocrita rammarico si sfodera, per il terzo no,  qui in Italia in particolare questi infami (lasciatemeli chiamare con il loro nome) stanno usando la crisi, e i soliti posti di lavoro,  come ricatto per inquinare ancora di più e per non mettere “inutili pastoie” all’imprenditoria. Ne abbiamo sentito echi vergognosi anche qui vicino, in zona cokeria.

Non pensiamo mai, non ci illudiamo mai, che abbiano un limite, di pudore o responsabilità o consapevolezza: la logica del profitto, dell’avidità, della spremitura, non si ferma mai. Abbiamo persone che hanno accumulato soldi per dieci vite, eppure continuano. Vi è del perverso in questo, ma d’altra parte sono loro gli eroi del nostro tempo. Ogni epoca ha gli eroi che si merita.

Profitto vuol anche dire riduzione costi.  Un altro dei mantra universali. Ricordiamoci del nostro cassiere dell’altra volta: si vedeva come un bene l’eliminare un posto di lavoro facendo circolare meno contanti. Si taglia nelle manutenzioni, si taglia nei servizi, si taglia ovunque si può. Oppure si esternalizza, o si porta all’estero, o si sostituisce con precariato.

E la società ne soffre, sotto una serie innumerevole di punti di vista e ripercussioni.

Vediamo cosa accade, ad esempio, con il grottesco balletto portuale: la crisi colpisce i porti, l’economia gonfiata dei container, che giacciono vuoti impilati sulle banchine (lo iniziano a dire i giornali, lo ha fatto vedere la tv) , banche e aziende legate ai trasporti crollano in borsa, il castello scricchiola…

Eppure il progetto della faraonica piattaforma vadese, vero monumento all’inutilità, allo spreco, all’autocelebrazione dell’impero  tracotante fondato su ciò che ha valore intrinseco zero, non pare fermarsi, avere neppure un attimo di ripensamento su dati oggettivi, un attimo di buon senso e responsabilità.

Niente. Gli interessi non si fermano, il meccanismo è avviato, la china è sempre più ripida.

Che senso ha, mi chiedo e vorrei chiedere a tanti, un meccanismo che diventa autoalimentante, che procede senza controllo, come un moloch, come una bomba a orologeria di cui abbiamo scordato la combinazione, e sul quale noi, esseri umani che comunque l’abbiamo alimentato e creato, finiamo per non avere più alcun potere? Un tale intreccio ingarbugliato di interessi, la finanza e tutto ciò che ne consegue, nel quale gli stessi operatori ormai non sanno più come orizzontarsi?

Vale la pena di giocarsi il futuro così? Proviamo a capire, almeno, se davvero ce l’hanno, “la nostra permissione”.

Nonna Abelarda alias Milena De Benedetti