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Carte di (dis)credito

Siamo seduti su una polveriera. Sulla bocca di un vulcano. Non so se ancora ce ne siamo accorti in pieno. Magari quei più dieci e meno tre virgola cinque e l’Euribor e il NASDAQ e simili ci dicono poco. E’ un’oscillazione, è una crisi, passerà.

di Milena De Benedetti

Milena De Benedetti

1-crisi mutui

E no che non passerà. Quello che c’è sotto, che c’è dietro, è ben di peggio, sono meccanismi finanziari che entrano in crisi a cascata, sono castelli di carte che crollano. Tutto quello che si sta facendo, tamponare il sistema, è esattamente come mettere un tappo di sughero sul vulcano. La pressione aumenta, più si preme e si tappa , più il botto sarà colossale.

Così assistiamo ai difensori del libero mercato che curiosamente accettano, propongono, auspicano aiuti di stato. In attesa di tornare al libero mercato, dicono a Confindustria.

Giusto, che bello, voglio fare anch’io così. Quando mi va bene profitti a stecca, quando mi va male tamponatemi le perdite. Bad company a te, good company a me.

D’altra parte non hanno molta scelta, i governi occidentali, perché sanno che se non mettono un freno alla crisi delle banche saltano i mutui, saltano i prestiti, saltano gli investimenti dei cittadini… Purtroppo, non si risolve tamponando, una crisi che è profondamente connaturata al sistema. Ri-purtroppo,lo vedremo a breve, anche sulla nostra pelle.

Come al solito, se parlo io di economia lo faccio con il punto di vista della massaia rurale, non ne so molto di più. Avevo scritto di mutui subprime, tempo fa. In fondo un pochino ci azzeccavo, no?

Il meccanismo più o meno è stato questo: il liberismo esasperato riduce i costi e aumenta i profitti, taglia posti di lavoro, impoverisce le persone? Ma noi abbiamo bisogno che le persone comprino, se no ci si ferma il pil, ci si blocca la macchina, la famigerata crescita.

Idea: facciamo prestiti a chi non li potrebbe avere. Li allettiamo con tassi bassi, poco alla volta aumentiamo, intanto acquistano, case, beni vari… e l’economia marcia.

Non riescono a pagare? Non inceppiamo tutto, idea numero due: trasformiamo lo stesso debito economico in merce, lo rivendiamo ad altra banca, rinegoziamo, spalmiamo in obbligazioni un po’ qui e un po’ lì,  (famosi titoli tossici, derivati o altro, più difficili da individuare di un’amanita nel ragù di funghi), così se il cliente di partenza non può pagare gli interessi, pagherà gli interessi sugli interessi. Ci si guadagna. E tutto procede.

La cosa è ben più complicata di così, come ha illustrato Report domenica scorsa, semplifico per brevità e per mia pochezza. E’ chiaro che però alla fine in tutto questo rigiro qualcosa che non va viene fuori, qualche banca ci rimane, per così dire, con il cerino in mano.

Ora a che punto siamo? Che tutto questo polverone di debiti e soldi inesistenti lo tampona lo stato per evitare emorragia di fallimenti.  Bene. Ma in un sistema di banche abbottonate e diffidenti che non aprono più i cordoni, le aziende che contano sui prestiti sono in sofferenza.  Aiutiamo anche quelle. E giù altri soldi.

Bene, ma questa era solo la prima crisi, basata prevalentemente sui mutui americani. Ed è già stata un salasso. E alla prossima, che si fa?

 

2- carte

Dicono che la prossima crisi sarà delle carte di credito. La carta di credito è quella cosa diabolica, quel rettangolino plastificato che ti dà l’illusione di essere ricco, facendoti perdere ogni percezione del denaro, spingendoti a spendere con facilità ben più di quanto tu possa permetterti.

Ma nessun problema: anche qui, rimborsi agevolati, posticipi, rateazioni, trucchetti da prestigiatore. Non te ne accorgi neanche. Ne ho qui un esempio, una pubblicità arrivatami da poco (come hanno avuto l’indirizzo?): offrono la carta senza spese, e un accredito dell’1% sulle spese che fai. Da usarsi per altri acquisti, però. Ecchediamine. Così l’economia gira, gira. Le condizioni d’uso allegate sono due pagine,  una sfilza di caratteri in piccolo che neanche col microscopio elettronico li leggi. Diffidare dei caratteri in piccolo.

Però, lamentano questi guru della crescita obbligata, ‘sti italiani che non si fanno convincere, che usano i contanti, trogloditi… E giù pubblicità per alimentare questi consumi. Articoli di giornali ti dicono che i contanti sono alla frutta, sono out, che verranno sempre più eliminati.

Se mi dite che è una norma anti riciclaggio, sono d’accordo. Ma no. Questo consentirà come vantaggio, per esempio, di ridurre i costi bancari, riducendo il personale, i cassieri.

Io mi immagino questo cassiere in mezzo a una strada, e non sono mica così contenta. Ma lasciamolo un attimo da parte. Il fatto è che io uso malvolentieri la carta. Non mi va di vedere la lista di quello che compro sullo scontrino registrato dal supermercato (vendendo i miei gusti e scelte a terzi, è successo) , sul rendiconto della banca eccetera. E poi, quando in tanti insistono per farmi fare qualcosa, sospetto sempre. Paranoica che sono. Ma a pensar male…

Adesso, proprio di questi tempi di crisi, str**** che non sono altro, gira una pubblicità in tv contro i contanti che fanno perdere tempo. Non ditemi che è casuale.

Il bello negli acquisti l’ho visto in questi ultimi anni. Il cliente che ha i soldi e vuol comprare, un tempo ossequiato, è un po’ snobbato. E’ già motivato di suo, non offre stimoli, non assicura guadagni futuri in progressione ma solo un misero gruzzolo attuale. Niente più sconti per pagamenti in contanti. Demodè. Sconti e agevolazioni solo a chi rateizza.E’ lo stesso meccanismo dei mutui. Addirittura, scrive un economista USA, certe banche rifiutavano il rinnovo della carta di credito ai clienti che non erano, sì, avete capito bene, NON erano, in ritardo con i pagamenti. Perché solo i morosi gli consentivano di innescare il solito lucroso meccanismo a catena.

Ora le vendite calano comunque, la crisi si sente, non sanno più come fare. E’ un’orgia, vendere comunque, sfornare merce comunque.

Da un famoso magazzino di elettrodomestici, comprando una lavastoviglie in contanti, mi sono vista offrire un iperbolico buono sconto da usarsi assolutamente per ulteriori acquisti.

Ma lo sconto, invece, no? No. Ho acquistato con il buono un aspirapolvere di marca, che mi si è rotto nel giro di un mese.

Ma il mercato gira, gira… e non è l’unica cosa che gira. Prima o poi si inceppa anche qui, però.

 

3- conseguenze e (impossibili) rimedi

 Insomma, le aziende hanno voluto esternalizzare, produrre all’estero, impoverire, precarizzare. Hanno eroso la classe media e reso le persone più povere e instabili. Le hanno forzate a comprare lo stesso, a indebitarsi per alimentare il sistema. Hanno creato castelli finanziari.

Ora tutto comincia a crollare, è recessione.

Le persone non comprano, le banche non fanno credito, le ditte chiudono, altra gente a spasso , e via peggiorando.

Lasciando perdere per un attimo le mie idee personali, che io non credo che crescita e pil siano i parametri migliori per giudicare una società sana, e non credo neppure che qualità di vita e tenore di vita siano sinonimi e vadano a braccetto, anzi, spesso il contrario. Sono per l’austerità, la decrescita, una società meno bulimica e più equilibrata socialmente e verso l’ambiente.

Lasciamo stare, per un attimo, le mie sognanti utopie. Restiamo nel capitalismo, baby.

Che si fa? Aiutiamo le banche. E va be’, tamponiamo. Ma non si può andare avanti in eterno. E poi questi soldi li prendiamo dalle tasche dei cittadini, o no? E il debito pubblico, che fine fa?

E comunque la crisi, la recessione, resta.

Aiutiamo le imprese. E va be’, se han bisogno,  porelle, ma .. come?

Qui restando in Italia comincio a far capriole di disperazione con doppio avvitamento. Prevedo, con sfera di cristallo ma non troppo, questo genere di aiuti: finanziamenti diretti e indiretti, solo ai grandi e agli amici degli amici, i piccoli imprenditori si arrangino; tolleranza fiscale, carenza di controlli sull’ambiente con licenza di inquinare (han già cominciato pagliacciate a Bruxelles), agevolazioni su lavoro sempre più precario, con facilità a licenziare anche non per giusta causa (lo stanno già proponendo) e simili.

Insomma, l’eden di Marcegaglia. E’ la crisi, no? Vietato protestare. Volete mica la recessione, irresponsabili.

E giù altro debito, per saziare appetiti di profitti insaziabili. Dulcis in fundo, intanto il premier annuncia che riduce le tasse!!! Ma non c’è problema, li togliamo a scuola e sanità ed è fatta.

Le persone sono in crisi, perdono il lavoro, guadagnano poco? Ma sì, mettiamoci un po’ di “aiuti alle famiglie”, di carità sparsa, che fa fine e non impegna.

Bene, queste misure e queste tendenze, a parte considerazioni politiche filosofiche e morali, sono irresponsabili e ci precipiteranno in un baratro peggiore.

Anziché aiutare indiscriminatamente le grosse imprese, concedere qualche elemosina alle persone e intanto distruggergli il paese sotto i piedi, bisognerebbe aiutare sì le imprese, ma con investimenti mirati. Soldi dello stato a chi assume stabilmente, a chi investe in ricerca e tecnologia per il rilancio, in prodotti di qualità, in energie rinnovabili, nel futuro.

Arginare la disoccupazione, non incentivarla. Dare sicurezza, non precarietà.

Solo così si rilanciano i loro famosi consumi. Con politiche coraggiose e lungimiranti. Cambiando rotta, cambiando le stesse regole in corso d’opera. Lo statalismo in questa fase non è più tabù, perché, ad esempio, smetterla con la riduzione costi dovrebbe continuare a esserlo, per il mondo capitalista? Perché non si può dare lavoro a più persone in modo dignitoso, più diffuso e senza sfruttamento?

Il cassiere di prima approva.

Non rimane che vedere chi aveva ragione. Il futuro è dietro l’angolo.

Nonna Abelarda alias Milena De Benedetti