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 “Beoti” i poveri di spirito…

Sergio Giuliani

 Certo che Cristo lo sapeva che vi sono due tipi di “poveri di spirito”! Il latino ha addirittura due vocaboli per definirli: ”ignorans” ed “insipiens”!

Al primo tipo appartiene colui che “ignora”, ma, conscio del suo limite, lo sovverte con la buona volontà e la modestia laboriosa, cercando, difendendo e privilegiando la cultura.

Ne ho conosciuti tanti, al tempo in cui avere idee di sinistra pungolava a capire, leggere, discutere ed a cercare il confronto-riscontro con gli altri non soltanto per il “tarocco” (rispettabilissimo gioco!).

Al secondo, quello cui Cristo mai e poi mai aprirà le porte di casa sua, appartiene l’aquilone senza filo portato dove vento voglia, colui che dà un’occhiata appena (vi ricordate – e parlo agli anzianotti - quando i giornali erano appesi a un filo da panni alle edicole e la gente faceva la fila per leggerli davvero?) a un solo quotidiano, scelto a priori da tempo immemorabile e senza confronto, come fosse una fede o a un solo tg., pago di sentir confermare l’oscurante pregiudizio in cui vive e vota e dà “consenso” bulgaro.

Paradigmatico di tale fanciullesco atteggiamento il pregiudizio sulla attuale, vigorosa protesta del mondo della scuola (mica ricominceranno col comunistissimo sessantotto? Centri sociali infiltrati…etc); peggio l’assioma ”Io sono andato a scuola col maestro unico e guardate come sono riuscito bene! Quindi, via questa dispendiosa storia da comunisti!”

L’insipiente, vuoto com’è, non sa nemmeno leggere il suo passato che, per lui, come la foto del matrimonio, rimane sempre rosa. E invece….

E’ di moda decantare l’antica scuola (tra poco, ritorneremo al maestro Perboni di “Cuore” Attenzione, però, a lasciar fuori la “maestrina della penna rossa”…non si sa mai…la par condicio….) come sana, perfetta e beneducante. Come se non fosse stato un bene superarne certe lentezze e soprusi,senza per questo disconoscere, degli insegnanti, quelli colti e appassionati, i veri formatori che, sempre minoritari, tutti abbiamo apprezzato e cui siamo riconoscenti perché ci hanno vaccinati dall’insipienza.

Ecco due episodi da me vissuti e che mi sconvolsero tanto da ricordarli con chiarezza assoluta sessant’anni dopo. 


Si andava a scuola al pomeriggio, perché, alle elementari, ho sempre subito doppi turni. E non era una cosa bella, né didattica!

Carla, quel pomeriggio, aveva un bel vestito rosa e stava con le compagne sogguardandoci appena. Si entrò in aula e la maestra Maria Frumento ci avrà di certo dato un problema o un tema o letto qualcosa dal “sussidiario” o interrogato, quando la porta si aprì d’un calcio, forse, ed entrò Carla spinta a forza dal maestro M. che la teneva forte per un braccio.

 Era irriconoscibile! Il maestro la sbatteva a terra; lei piangeva forte ed il suo bel vestitino era tutto bagnato di lacrime, polveroso e spiegazzato. Carla piangeva e non ci guardava neppure. Direbbe Sbarbaro. ”…la caparbia avea fatto non so che.”, credo non consegnato un compito con relativa bugia e il maestro urlava e la starnazzava come Renzo i quattro polli.

Ero troppo impaurito, come i miei compagni, dalla violenza improvvisa per ricordarmi come Maria Frumento affrontò la situazione. Credo che lasciasse sbraitare il maestro (!!!) e poi lo accompagnasse alla porta dopo che avevamo tutti avuto il salutare e terroristico esempio ed eravamo stati invitati, minacciati, a non avvicinare più la colpevole di chissà che.

Carla fu strapazzata per tutte le classi: stessa scena, stesso pianto dirotto e, credo, rabbioso. Restammo, maestra e noi, zitti fino al termine di quel pomeriggio.

 Una volta, toccò a me. Per l’origine senese (e per la bontà di Maria Frumento) ero considerato un alunno che scriveva bene in italiano e avevo svolto un tema sull’esodo degli occupanti italiani dall’allora Jugoslavia e i problemi che tale riflusso aveva causato in un’Italia (1947) bastonata a sangue dalla guerra perduta (o cobelligerata, come è più giusto dire). Io ne avevo sentito parlare a tavola, al giornale radio, dai miei e avevo letto qualcosa su “L’Unità”. Scrissi che, in fondo, tornavano non soltanto emigrati per bisogno di lavoro (che vanno sempre e comunque rispettati!), ma molti “invasori” a seguito dell’occupazione armata di quelle terre, che avevano sopraffatto, in nome del diritto della forza, le comunità locali con ottimi profitti e che adesso venivano ripagati della stessa moneta. Scrissi anche una cosa che oggi non ripeterei, visto che gli storici attuali hanno mandato a gambe levate il bel discorso “Italiani brava gente che regala madonnine di alluminio da camiciole e cioccolato Perugina”, qualcosa come “Chi si è onestamente procacciato un lavoro, non ha niente da temere dal ritorno dei padroni di casa vincitori; resti, perché in Italia è ora difficile trovar lavoro. ”Non tenevo conto, a nove anni, della durezza del conflitto e delle inevitabili rappresaglie che pur ci furono.

Maria Frumento,”capogruppo” del plesso Fornaci fece leggere questo tema alla fascistissima maestra M.B. che venne come una furia in classe, mi fece uscir di banco e m’aggredì con una voce stridente ed alterata. “Che cosa hai scritto?” Io, piccolissimo e ridicolo in un grembiule nero e bavero bianco, ripetei pari pari (c’era di mezzo il parere dei miei, che avevo, a ragione o a torto, fatto mio ed era questione, quindi, di difendere loro) quanto avevo scritto.

Apriti cielo! “Dove ti sei messo il cuore d’Italia? Sotto i piedi?” mi urlava come un’ossessa, tutta stravolta in viso e guardando contro Maria Frumento.

Maria Frumento non era mai stata fascista: libera nel vestire arruffato, nell’esprimersi sempre a voce alta e senza politici veleni. Interruppe la scena dicendo qualcosa come “I ragazzi devono essere lasciati liberi di esprimersi, di dire quanto pensano o, meglio, in questo caso, hanno sentito dire”  Lo disse anche lei concitata ed accompagnò alla porta l’energumena ripetendole: ”La capogruppo, ora [santa epurazione insufficiente NDR) sono io !”

Mi riaccompagnò nel banco e, finchè è vissuta, quando m’incontrava, fin dopo la mia laurea, erano baci con lo schiocco e “Bravo!”.

Ma come era perfetta, la scuola del nostro e vostro passato. Vero, insipientes?

           Sergio Giuliani