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IL LIBRO DEL MESE: LORD JIM


Massimo Bianco

 

Qualche lettore della rubrica “Il libro del mese”avrà notato e magari deplorato l’assenza dei grandi classici. Dovrei in effetti trattare le varie opere di Celine, Dostoevskij, Kafka, Melville, Pavese, Pirandello o Svevo, solo per citare i primi nomi che mi vengono in mente. Lo evito perché chiunque, che ami o no la narrativa e che li trovi di facile o di difficile lettura, dovrebbe aver già avuto modo di apprezzarli o subirli, magari come testi “consigliati” all’epoca della scuola e avrà comunque sempre tempo per affrontarli in futuro, senza bisogno delle mie segnalazioni.

 Per una volta farò però un eccezione. Perché ciò mi permette di fornire la succitata motivazione, perché l’opera è a mio parere bellissima e infine per la soddisfazione personale di ottenere una piccola “vendetta”. Si dà il caso, infatti, che il romanzo di questo mese abbia fatto parte (come volevasi dimostrare) di una rosa di letture estive assegnate dalla mia insegnante del primo biennio delle scuole superiori e da cui selezionarne una su cui svolgere una ricerca. Benché impegnativo, il Lord Jim di Joseph Conrad mi piacque parecchio, al punto da estrarlo senza esitazioni dal mazzo come soggetto della mia ricerca. Peccato che la professoressa, di cui non citerò il nome per carità cristiana, anziché stimolare i ragazzi a pensare con la propria testa, come dovrebbe fare qualsiasi buon insegnante, diede pessima prova di sé preferendo che gli studenti si limitassero a riportare pedissequamente i giudizi di critici affermati. In quella classe fui l’unico a offrire un parere personale. Avevo 15 anni e dunque avrò probabilmente infilato diverse fesserie e ingenuità, ma lei avrebbe dovuto almeno apprezzare il tentativo (apprezzato, peraltro, da tutti i miei compagni). Invece l’unico momento in cui mostrò interesse fu quando citai il prestigioso critico Mario Praz. “Alt, ragazzi, ascoltate con attenzione, questo è importante.” Esclamò, sollevando pure un braccio per richiamare l’attenzione e sottintendendo nel contempo l’insignificanza della restante ricerca. In effetti quel passo spiegava bene l’arte dello scrittore e meritava debita attenzione, eppure la sua importanza era relativa, perché nell’atto di citarlo ci si limitava a scopiazzare l’altrui giudizio. Beh, io continuo comunque a scrivere (non solo articoli ma perfino racconti e romanzi) e a pensare con la mia testa e a non omologarmi o almeno cerco di farlo e provo un gran piacere nel poter presentare a un pubblico, a tanti anni di distanza, una mia personale e modesta disamina del romanzo di Conrad. Joseph Conrad (1857-1924), all’anagrafe Teodor Jozef Konrad Korzeniowski, scriveva in lingua inglese ma era nato in territorio ucraino da famiglia polacca e solo in seguito aveva scelto di vivere in Gran Bretagna. Tra parentesi c’è un ulteriore motivo per trattarne qui. Infatti, nella sua vita Conrad ebbe a che fare anche con la nostra città, perché per un breve periodo navigò, in vesti di contrabbandiere, a bordo di un mercantile, il “Tremolino”, costruito nei cantieri di Savona. 

Il Lord Jim , dunque. Conrad stesso era orgoglioso di questo suo capolavoro, come ben si evince da quanto scrisse a suo proposito:

<<Per principio non ho favoriti; tuttavia non mi spiace né mi sento seccato se taluni preferiscono, ad altri miei libri, il mio Lord Jim.>>

E prima del mio odierno parere ecco l’acuto giudizio critico di Praz che mi causò dispiacere:

<<Se il Conrad si inserisce nella tradizione dei libri di avventure per gli aspetti più esterni e vistosi della sua arte, se ne distingue per il carattere e per la tecnica del racconto, che procede per testimonianze, confessioni, ricordi, per vie tortuose e indirette, cariche d’immenso potere suggestivo (…) in tutti i personaggi dei suoi romanzi si riconosce la stessa anima desolata e distaccata, oppressa dal peso di un passato incancellabile, un’anima che, pur nella sua moderna complessità, si rivela della stessa famiglia degli eroi del primo Romanticismo… Per l’aspetto più profondo della sua arte, il Conrad, in cui lo strano e sinistro scenario esotico è come un adombramento e un simbolo d’un misterioso paesaggio interiore, si ravvicina piuttosto a romanzieri introspettivi come Dostoevskij, Henry James, Marcel Proust.>>

Come Praz ha ben spiegato, la storia di Jim, il protagonista del libro, non viene raccontata attraverso il punto di vista diretto del personaggio stesso, ma viene sviscerata attraverso testimonianze e ricordi, in primis da Marlow, l’io narrante della storia, il capitano di marina che si appassionerà al triste caso di Jim e cercherà di aiutarlo per tutta la sua esistenza.


Joseph Conrad

Jim, il protagonista del romanzo, è un uomo che nasconde nel suo passato una vergogna e una colpa per lui incancellabili. Il ricordo di un atto di vigliaccheria e debolezza umana da cui fugge per tutta la vita ma da cui è inesorabilmente destinato, dovunque vada, a essere raggiunto:

“Il suo incognito, trasparente come un setaccio, voleva nascondere non una personalità, ma un fatto. Quando il fatto trapelava dall’incognito, egli abbandonava immediatamente il porto dove si trovava e si trasferiva in un’altra località di mare, generalmente più a oriente.”

Ed era stato un comportamento davvero riprovevole, il suo:

Un uomo appena appena perbene non si sarebbe comportato così neppure se avesse avuto a bordo un carico di stracci.” E per emendarsene si sarebbe in seguito spinto a “un volontario martirio”.

Cos’era accaduto, dunque? Da ragazzino Jim sognava gesta eroiche e straordinarie, come accade probabilmente un po’a tutti. Era perfino convinto di esserne predestinato. Pensava di essere un uomo coraggioso e che avrebbe saputo dimostrarlo, quando un giorno ne fosse capitata l’occasione. Invece, allorché l’occasione, un’avaria alla nave su cui era imbarcato, capita davvero, si lascia trascinare dagli eventi, vittima dell’apatia e di un terribile senso di impotenza e, insieme al resto dell’equipaggio bianco, abbandona al proprio destino di quasi sicura morte i passeggeri, un gruppo di pellegrini islamici. Giunto finalmente in porto con la scialuppa di salvataggio scopre però che la nave, priva di equipaggio e data per perduta, è stata messa in salvo con tutti i suoi passeggeri. Per questo lui subirà un processo, durante il quale non farà alcun tentativo di discolparsi e dal quale uscirà inevitabilmente condannato all’ignominia e al pubblico ludibrio. Da quel momento in poi iniziano le peregrinazioni di Jim in giro per i mari tropicali. Egli viaggia sempre più lontano nel tentativo di farsi dimenticare, incapace però di perdonare se stesso. Lavorando inizialmente come agente marittimo, incontrerà personaggi di ogni risma, vivrà mille vicende e affronterà altrettanti pericoli, ma ogni volta che qualcuno lo riconoscerà fuggirà sempre più lontano, fino a trasformarsi in una specie di signore (Tuan, cioè Lord, per l’appunto) e nume tutelare per una tribù indigena malese per cui si prodigherà, illudendosi in tal maniera di ritrovare l’onore perduto. Tutto sarà però inutile, perché per quanto si decida di andare lontano allo scopo di rifarsi una vita, nessuno può fuggire da sé stesso.

Il “Lord Jim” è dunque anche un avvincente romanzo d’azione e d’avventura in una terra esotica descritta con maestria ma, soprattutto, è un romanzo d’introspezione psicologica, un lento e approfondito scavare nei complessi e a volte imperscrutabili meandri della mente del protagonista, un pover’uomo naturalmente portato a guadagnarsi la stima e il rispetto altrui, ma incapace di nutrire rispetto per sé stesso o per lo meno destinato a vedere sgonfiare l’autostima ottenuta. Quella di Conrad è una continua e  dostoevskijana” analisi analitica volta a scoprire i perché di una ricca e complessa personalità umana e delle motivazioni che spingono questa ad agire. Un riuscito tentativo di sviscerare la realtà nascosta di quel pirandelliano e contraddittorio essere “uno, nessuno e centomila” che è ciascuno di noi esseri umani. La, a un tempo, fragile e robusta psiche di Jim viene poco alla volta messa a nudo in una disamina approfondita quanto affascinante che proseguirà fino alla più logica conclusione del plot narrativo. Il tutto scritto con linguaggio ricco e puntuale e con insuperabile proprietà tecnica, con lunghe e impegnative digressioni ma anche con momenti di viva tensione ed emozione, durante le quali non si può fare a meno di parteggiare per il protagonista nel corso delle sue mille traversie e immedesimarsi nelle sofferenze interiori di quella troppo sensibile persona. Tuttavia non il è solo Jim a brillare di luce propria, perché quest’opera è una intensa e vivida galleria di personaggi, buoni e cattivi ma tutti egualmente indimenticabili. Da Dain Waris, il grande amico del Tuan nella terra Malese di Patusan in cui troverà rifugio, a Doramin, padre di quest’ultimo e capo tribù, fino allo spietato predone Brown, passando per i tanti altri che costellano la trama. È banale sostenere semplicemente che il Lord Jim è un romanzo bellissimo come ho scritto all’inizio? Non importa, sarà pure banale, ma resta il fatto che è davvero “bellissimo”.

Massimo Bianco