TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni
RAPALLIZZIAMO TUTTA LA LIGURIA!
30 anni fa Rapallo si distinse talmente nel cementificare se stessa
che andò di moda il termine “rapallizzazione”. Ebbene, quale Comune,
perlopiù costiero, può oggi dichiararsene esente? < Altro che
rapallizzazione! Oggi, a differenza degli anni ’70, non sono i
cittadini comuni, le famiglie a determinare la forte richiesta di
costruzioni per soddisfare la voglia di modernizzazione e di
benessere. Oggi sono le
finanziarie, i manager, il mondo economico speculativo a imporre la
loro logica devastante, a costo di ottenere anche
inutili e disabitati
edifici. Oggi come allora,
pèrò, bisogna costruire a ogni costo, in barba ad
analisi sociologiche, urbanistiche e ancor meno ambientali.
(*)
Oggi più di allora si
opera nell’inconsapevolezza della portata globale di quest’aberrante
piano d’azione, che porterà a un impatto ambientale enorme su
[……] e sui paesi limitrofi.>
Così scrive in un recente articolo Antonia Briuglia, e lascio alla
fantasia del lettore riempire il vuoto entro parentesi quadre con la
località che preferisce. Tanto, difficilmente verrà smentito dalla
realtà di un Comune in controtendenza. Chi ne ha in mente uno, lo
suggerisca all’adorazione di noi frustrati ambientalisti.
La Briuglia si riferiva a Savona; ma purtroppo non dice niente di
nuovo a chi vive a Finale, su cui incombe lo spettro, non già dei
37.882 metri cubi di cemento savonesi, bensì di 240.000 metri cubi
pianificati per le aree Piaggio, a carico non di una città di 62.000
abitanti, come Savona, bensì di un paese di neppure 12.000
residenti. Quindi oltre il sestuplo di metri cubi su un quinto di
abitanti; o, se preferiamo, l’aggiunta di altri 5.000 abitanti,
prevedibilmente in buona parte villeggianti, sull’attuale carico
estivo di 70-80.000.
Ma, un momento: c’è anche la contigua area Ghigliazza, con altri
119.000
metri cubi
per un totale di ca.
360.000 mc, ossia ca. il
decuplo di Savona!
Come giustamente enfatizza Milena De Benedetti, il diverso colore
delle giunte non cambia di una virgola l’atteggiamento quanto meno
poco battagliero, se non proprio acquiescente, dei politici al
timone dei diversi Comuni, nonché Province e Regione; né salva chi
avanza critiche ispirate al semplice buonsenso dal trattamento di
“diverso”, mina vagante, persona da trattare con le pinze o coi
guanti: insomma, uno di cui non ci si può fidare, uno che non sarà
mai cooptato in un partito, dove potrebbe utilizzare il proprio
cervello e non quello di riserva del segretario.
Io rappresento un buon esempio di cittadino che, a fine anni ’60, di
fronte all’incombente pericolo ambientale, e mentre la maggioranza
dei giovani dissidenti sinistreggiava agitando libretti rossi, aveva
tentato di operare come civis
italicus, per puro e disinteressato amore del suo Paese, dopo aver
avvicinato diversi partiti ed esserne fuggito a gambe levate.
Cominciai militando in associazioni ambientaliste, a fianco di
persone animate dai miei stessi intenti. Dopo anni di frustrazioni,
dovute al fatto di avere i partiti di ogni colore sempre schierati
dalla parte sbagliata (oggi riservata solo a quelli che militarono
nelle BR o nella RSI), e comunque in campo avverso al nostro, mi
lasciai cooptare obtorto collo
dal PCI, nel tentativo di svolgere la mia “missione”
dall’interno dell’establishment.
Ma anche dentro questo partito io ero considerato un “esterno”, un
verde ante litteram; e,
dopo anni di stress, ne uscii per fondare, assieme ad altri, il
primo Partito Verde d’Italia, a Finale Ligure. Era il 1985 e
naturalmente la popolazione nutrì verso di noi i soliti sospetti che
circondano i “non schierati” con i partiti esistenti. Risultato:
neppure un seggio in Consiglio comunale. Scoraggiato, finii col
disinteressarmi di politica, anche perché buona parte di coloro che
successivamente istituzionalizzarono il credo ambientalista
finirono, dopo aver assaporato le mollezze e gli stipendi del
palazzo, con l’assomigliare troppo a quanti già lo abitavano.
Finché, un paio d’anni fa, una seconda “illuminazione” mi spinse ad
uscire dal forzato letargo: la scoperta del colossale scippo che le
banche effettuano a livello sovranazionale; scippo che poi viene in
gran parte investito proprio in quelle colate di cemento contro cui
avevo cercato invano di lottare.
In pratica, scoprii la causa prima di tutte le cementificazioni.
Avevo capito che due cose che avrebbero dovuto esser viste
chiaramente come mezzi erano diventati fini: il denaro e il cemento.
Su questi due pilastri si erge una piramide ai cui vertici sta il
gotha finanziario internazionale, che è riuscito a trasformare un
simbolo come il denaro in puro ente matematico, slegandolo da ogni
rapporto con la ricchezza esistente o prodotta; e al tempo stesso
hanno fatto un’operazione analoga su beni concreti come le case,
smaterializzandole da ogni valore intrinseco: oggetti fini a se
stessi, schegge di un ciclo di investimenti e re-investimenti.
Un’operazione edulcorata sulle prime dall’offerta di bassi mutui e
di lavoro edile, peraltro a termine, dopo il completamento di ogni
lottizzazione.
Abbiamo visto a cosa ha portato negli USA questa bolla speculativa;
un esito che attende anche noi, vista la quantità di metri cubi
desolatamente vuoti che caratterizzano già oggi alcuni palazzoni, al
pari di interi quartieri di Las Vegas, Miami o Denver, eretti al
puro scopo di investire il frutto di costruzioni precedenti, a loro
volta erette per non lasciare inoperosi i ricavati di altre
lottizzazioni, e così via, in un ciclo maligno di auto-riproduzione
distruttiva. (**)
Ma i malumori di gente come me, e cioè di gran parte della
popolazione, non intaccano la ferrea fede delle amministrazioni
pubbliche nel re Creso cementifero, che fregia della qualifica di
ricchezza anche gli “inutili e disabitati edifici” di cui parla la
Briuglia. Niente riesce a fermare la macchina infernale che vede
alleati enti pubblici, finanzieri e costruttori, tutti tesi verso il
FARE, fare qualunque cosa, sia pure contro tutto e tutti. Sono gli
odierni “capitani coraggiosi”, il cui unico coraggio è quello di
sfidare apertamente il dissenso dei cittadini: tanto poi, il giorno
del voto, continuano a eleggere i soliti noti. Un conservatorismo
elettorale le cui cause restano un enigma. È così che s’è creata una
corte di sudditi timorosi di ribellarsi persino nella cabina
elettorale, dediti al mugugno a mezza bocca, perché in prospettiva
ricattabili. Ben pochi si salvano da questo identikit, e quei pochi
sono indicati a vista come “teorici” e utopisti, mentre i piedi per
terra li avrebbero i duri di banche e finanziarie, i grossi
impresari edili nella loro “santa alleanza” con le amministrazioni
pubbliche, che in ogni campagna elettorale si presentano come
realizzatori di questa e quell’opera, assai meno come tutori
dell’integrità del territorio comune e della qualità della vita dei
suoi abitanti. Eppur li votano.
O meglio, li hanno sin qui votati. Ma stiamo vivendo giorni che
pesano come anni, e in senso opposto alla direzione seguita in
almeno 4 decenni di sprechi, economia di carta, disprezzo per
l’ambiente e idolatria del denaro scippato anziché guadagnato, e per
giunta ostentato all’invidia delle masse.
È indicativo il ritiro della società edile prescelta per realizzare
gli edifici sulla futura ex-area Piaggio. Dopo i pur limitati tagli
posti dalla pubblica Amministrazione, anche dietro la protesta di un
ridotto gruppo di cives italici, era venuta meno la convenienza: non era più una
“speculazione”, ossia un ricavo sensibilmente superiore al rischio
d’impresa. Era diventato un “business” normale: poco allettante dopo
i maxi introiti edilizi degli anni scorsi. Potrebbe questo indurre
ad un ripensamento sulla destinazione a pubblica fruizione (parco,
università, centro culturale, etc.) di almeno la parte a monte
dell’area in via di dismissione, com’era stato originariamente
ventilato? Ciò vale a maggior ragione per l’area Ghigliazza, dove il
problema occupazionale non esiste affatto e lo stato in cui ci viene
riconsegnata dopo un secolo di intensivo sfruttamento privato parla
da solo.
Marco Giacinto Pellifroni
12 ottobre 2008
(*)
Corredo l’articolo con foto di edifici restaurati negli ultimi anni
lungo il litorale finalese. Sono totalmente o in gran parte vuoti,
anche a causa di fallimenti. Stupisce allora l’ostinazione
edificatoria che spinge(va?) le imprese a ulteriori indebitamenti se
l’esito si prospetta così spettrale.
(**)
Vedi Nouriel Roubini, citato in altro mio articolo odierno: <Un
altro problema riguarda soprattutto l’Italia, dove sta per
riversarsi un vero e proprio tsunami di denaro proveniente dalle
multinazionali che, con la recessione, non sanno dove investirlo.[…]
È possibile che alcuni grandi
hedge funds si trovino a gestire tutto questo denaro in maniera
incontrollabile.> C’è qualche dubbio sull’impiego di questo denaro?
Case, case, case. |