TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni
Già: e adesso che l’abbiamo letto?
Giovedì sera, presso la Sala Rossa del Comune, incontro organizzato da Italia Nostra nella persona dell’ottimo ingegner Cuneo, con la presenza di Bruno Lugaro autore de “il fallimento perfetto”. Dedicato a impressioni, commenti, proposte dopo la lettura dei libri-denuncia sulla speculazione in atto. Al solito, causa la mia scarsa attitudine a parlare in pubblico, non sono intervenuta, preferendo riordinare le idee per un commento scritto, che mi riesce meglio. Cercherò di andare, diciamo, in crescendo, dalle note dubbie e dolenti a un pensiero più attivo. Perché di depressioni pregresse ne abbiamo anche troppe tutti quanti. 1-Premesse 1- il quadro del cemento Più o meno fra le righe nel dibattito sono emerse molte conferme a ciò che qualcuno, andando a spanne e buon senso, poteva intuire. Risposte a tante domande. Che una parte almeno di questi capitali che circolano potrebbero essere di dubbia origine, riciclaggio o simili, da cui la pressione a reinvestirli in fretta e la relativa indifferenza a ricavarne immediatamente profitti. Magari anche provenienti da fuori regione e da grosse realtà più o meno illecite. Il mattone è perfetto: bassi costi, anche per l’impiego di mano d’opera esterna, spesso straniera, spesso in appalto e subappalto, a volte persino non pagata (alla faccia di chi parla di posti di lavoro locali), guadagni stratosferici. Puoi vendere con tutta calma. Si spiegano così le pressioni di gruppi di potere, i cartelli vendesi che ingialliscono sul posto, il fatto che non si registrino fallimenti di imprese eccetera. Un po’ meno chiara la questione, propugnata e insistita da molti, anche dall’ingegner Cuneo, che ci siano comunque frotte di acquirenti, anche a 5000 euro il metro quadro, anche fra i savonesi, e per fini abitativi e non speculativi. Mi permetto di dubitare. Primo, la desolazione della torre Bofill e annessi è lì a dimostrarlo. Secondo, l’affermazione secondo cui ci sono tanti proprietari di case da 150 metri quadri, magari, che so, a Villapiana, disposti a vendere per trasferirsi in un più striminzito, ma prestigioso appartamento sul mare, io la credo fino a un certo punto. Non ce li vedo questi vecchietti (perché diciamocelo, la ricchezza immobile e non investita a Savona è in mano agli anziani) rinunciare alla comodità del proprio quartiere, con servizi e rete di conoscenti, ai propri spazi e abitudini in cambio del nuovo, prestigioso, in posizione eccezionale ma spesso scomodo. Che ci possa essere svalutazione del patrimonio immobiliare cittadino, in altre zone meno richieste, questo sì, ma non direttamente collegata a questo, semmai alla grande disponibilità di case. Vedo altre tipologie di compratori, almeno in parte. Ricordo i tempi delle ammiraglie e poi del matitino. I più erano scettici verso queste case claustrofobiche dai soffitti bassi. A smaniare per abitarvi era soprattutto una categoria di personaggi piccolo borghesi, manager di mezza tacca, pre-berlusconiani et similia, dal provincialismo desolante, ansia di apparire compresa. Categoria diffusa, ma non così diffusa da coprire a raffica tutte queste case. (Oh, non intendo insultare in blocco chi abita nei complessi citati, ci mancherebbe, dico solo che fra loro e fra i potenziali acquirenti conoscevo molti personaggi di quel genere). E categoria destinata a ridursi in futuro, suppongo, quando la crisi rimescolerà meglio le carte. In ogni caso, questo genere di considerazioni spiega perché il Crescent, palazzo più tradizionale e a prezzi più abbordabili, venda molto bene, mentre Bofill e annessi, con tutte le loro peculiarità e problemi e costi, a dispetto di dichiarazioni di qualche tempo fa del presidente dell’Autorità Portuale, non vadano affatto a ruba. Poi c’è il pubblico, o collegati, e le aziende. Spesso
spazi desolatamente inutilizzati vanno occupati da enti, uffici, servizi,
anche quando non ce ne sarebbe alcun bisogno o esisterebbero sedi più idonee
e meno faraoniche. Rapporti di reciproco vantaggio? Di sicuro nessuno ci
rimette, se non, in qualche caso, il cittadino. 1-Premesse 2- considerazioni Prima di tutto, noto che da qualche tempo a questa parte, sia nei convegni come questo, sia nei commenti su siti e giornali, scarseggiano i cantori delle magnifiche sorti e progressive. Non dico i politici, che quelli pro-cemento hanno sempre latitato dal confronto pubblico, ma i loro spalleggiatori di varia natura. Quelli che… e i posti di lavoro, e lo sviluppo, e il progresso. Quelli che… i grattacieli attirano il turismo. Quelli che… l’alternativa è il declino. Chissà come mai non si sentono più o quasi. Versione ottimistica: non hanno più il coraggio di mostrarsi perché ora che si vedono i primi risultati concreti è dura continuare a incantarci con queste sirene e non essere presi a pomodorate. Versione pessimistica: ormai i giochi sono talmente fatti che possono lasciarci in libera uscita a sfogarci un po’, tanto siamo innocui.
Forse la verità sta
nel mezzo.
Seconda notazione, al
solito l’elevata età media del pubblico in sala. E dal dibattito infatti è
emersa con evidenza la divisione fra i due mondi: da una parte, personaggi
con una storia alle spalle, esperienze, attività passate e presenti,
retroterra culturale, memoria storica, abitudine a condurre battaglie ideali
e politiche, senso civico…Ma pochissima, se non nulla attenzione ai nuovi
media, alla rete, al mondo che cambia anche nel suo comunicare, esprimersi,
lottare.
Dall’altra, ma
quasi del tutto fuori da quella sala, un universo che vive e si muove
prevalentemente in rete, spesso giovani o giovanissimi, spesso non abituati
a una mentalità di lotta, di difesa civica dei diritti, di battaglie e
iniziative politiche e sociali. Qualche volta incapaci di sensibilizzarsi,
apatici, oppure chiusi in mondi che si vogliono personalistici, altre volte
sensibili sì, ma privi di strumenti concreti.
Insomma, la reciproca
fertilizzazione, l’arricchimento che si basa sul collegamento
giovane-anziano, esperienza-innovazione, riflessione-azione, memoria
storica-energie nuove e quant’altro, sembra latitare. Con effetti comici, a
volte: in barba al vecchio detto “si nasce incendiari, si muore pompieri”,
troviamo spesso vecchi, bellicosi e indomiti incendiari sulle
barricate, mentre i giovani
stanno a guardare o quasi, sono rassegnati o indifferenti. Se ci pensiamo
bene, la nostra società è veramente bizzarra e ha rivoluzionato gli schemi
consolidati, anche in questo, oltre che nel non invidiabile primato di
lasciare ai nostri figli un mondo peggiore del nostro.
Se i giovani saranno
un po’ più disposti a collegarsi e attivarsi per obiettivi che sono,
dovrebbero essere soprattutto il loro futuro, e i meno giovani
faranno lo sforzo mentale di capire che le nuove vie di comunicazione stanno
rivoluzionando il mondo, inutile aggrapparsi al gabibbo o alla carta
stampata e ignorare il resto…insomma, se si riuscirà a colmare quello che
viene chiamato digital divide, sarà un bel passo in avanti. Ma occorre un
po’ di buona volontà da parte di tutti.
Naturalmente
generalizzo, non è che non ci siano anziani che si muovono brillantemente
nella rete, o giovani disposti a lottare: bisognerebbe solo aumentarne il
numero e l’interazione reciproca.
2- Commenti vari
L’importanza della
rete è emersa chiaramente anche in un’altra serie di commenti e
considerazioni. L’ingegner Cuneo ha detto giustamente che è inutile
protestare sul cemento versato, che i savonesi avrebbero dovuto attivarsi
prima, sotto forma di dibattito della società civile, di sensibilizzazione,
di discussione attiva sui destini della città.
Tutto giusto nella
teoria, ma nella pratica? Va bene, esistono le associazioni, culturali,
ambientaliste, politiche, ma spesso si sentono poco. Il che non credo sia da
imputarsi al loro scarso attivismo, ma a poca o nulla attenzione dei media
tradizionali.
E torniamo sempre lì:
non credo sia tutta colpa del cittadino, se la stampa locale riporta
pressoché una campana sola, e anche quando cita voci critiche, lo fa con
sproporzione di spazi e di enfasi incolmabile rispetto alla grancassa
concessa al potere politico-economico.
Non solo su notizie e
opinioni, ma anche sul contorno: come è stato ricordato dallo stesso
ingegner Cuneo, i progetti di Bofill e Crescent erano artatamente presentati
in modo da non evidenziare ingombri e altezze da incubo.
Io stessa, all’epoca
meno interessata, forse colpevolmente, su questi temi, e basandomi solo sui
giornali non avevo percepito
l’orrore in tutta la sua pienezza.
Dunque, per quanto di
solito io sia ipercritica verso noi savonesi, devo ammettere che qualche
attenuante l’abbiamo.
O l’avevamo, prima
dell’avvento della rete, un tam tam di potenza inaudita per critiche,
iniziative, informazioni trascurate dai media, errori colpevoli o meno.
Certo, esiste
diffidenza: si dice che la rete non è il verbo, la rete mette tutti sullo
stesso piano e ciò è pericoloso per l’obiettività… La mia esperienza è
diversa: la mia esperienza dice che le balle in rete di solito sono
smascherate alla velocità della luce, almeno nei siti non frequentati solo
da faziosi che vogliono farsi dire una verità sola. Ma quelli ci sono
dappertutto, anche su interi giornali o canali tv, e sono irrecuperabili.
Perciò usiamola,
questa rete. Diamoci da fare. In un secondo possiamo andare in Giappone e in
Australia. Perché rimanere confinati a Marmorassi?
3- Che fare?
La domanda è stata
posta, guarda caso, da uno dei pochi giovani presenti. E non ha trovato
purtroppo molte risposte.
Diciamolo subito, io
mi arrabbio, ma veramente, mi infurio e brucio di frustrazione quando sento
pronunciare la frase: tanto lo fanno, tanto hanno già deciso, non c’è niente
da fare su quello, magari per quell’altro, ma è difficile…
E allora che ci
stiamo a fare, a discutere tutti noi? Stiamocene a casa, andiamo come tanti
bravi pensionati a guardare gli scavi, che è meglio. Chi si ribella a questi
soprusi (chiamiamoli con il loro nome), a questi orrori, non dovrebbe mai e
poi mai dire frasi del genere. Neppure se dentro di sé le pensa. Anzi, a
maggior ragione. L’idea deve essere quella di non arrendersi mai, fino
all’ultimo respiro, fino alla prima pietra e oltre. (Ricordo che, se non
vado errata, il famoso Punta Perotti era stato a suo tempo regolarmente
autorizzato, non abusivo. Ma è stato abbattuto). Solo questa determinazione,
questo coraggio, questa volontà, insieme con la buona fede,
può dare quel “quid” in più che scompiglia le file compatte degli
speculatori. Nella speranza di essere in parecchi a pensarla così. Mai, e
dico mai, sentirsi impotenti e smettere di lottare.
Altrimenti
l’esercizio del dolore nel leggere questi libri rimane sterile.
Va bene, i
giornalisti più bravi e coraggiosi denunciano, le notizie si diffondono. Va
bene, se la magistratura non ritiene di dover o poter intervenire su quelli
che si configurerebbero come casi dubbi o illeciti, noi, se
non siamo direttamente interessati e in possesso di competenze
legali, possiamo far poco.
Ma non è che finisca
tutto qui. Anzi, comincia. A meno che, come accade in Italia, siamo troppo
assuefatti a essere sudditi anziché cittadini. In questo dovremmo prendere
più che mai esempio dagli USA. Lottare, crederci, credere nei propri diritti
e appigliarsi a qualunque mezzo lecito e civile. Aver fantasia, anche, e
capacità di aggirare gli ostacoli o affrontarli su basi diverse.
Mi viene in mente
Erin Brockovich, interpretata al cinema da Julia Roberts, una semplice donna
illetterata, e le sue lotte contro potenti aziende. Mi viene in mente Al
Capone incastrato su un’evasione fiscale.
Certo, noi siamo
indietro, come mentalità e come leggi. Ricordo che la famosa “class action”,
la possibilità di intentare cause collettive e a portata di cittadino contro
grandi colossi, approvata faticosamente dal Parlamento, fra mille
boicottaggi, sotto il governo Prodi, grazie all’azione di tanti comitati
coraggiosi e alla promozione di Beppe Grillo, è stata fermata e non è
entrata in vigore.
Fermata, guarda un
po’, dal ministro Scajola, che non è d’accordo e pensa a modifiche. Per
renderla più efficiente, sicuramente.
Ci rimane la volontà
di non arrenderci, appunto, il tentativo di trovare compattezza fra gruppi,
comitati e cittadini, la fantasia nelle iniziative, (e qui ci vogliono i
giovani!) , ma soprattutto, occorre crederci, credeteci, crediamoci,
trasformiamoci in martelli virtuali. Non pensare mai che sia inutile. Non
stancarsi mai.
Petizioni, commenti
sui blog, servizi fotografici, diffusione capillare di notizie, reti di
associazioni, sensibilizzazione anche ben fuori dal nostro orticello
saonense, anche in altre lingue, in sedi europee e persino extraeuropee. Il
silenzio, l’ho detto enne volte anche su questo sito, è il miglior alleato
degli speculatori. Così come lo è di tante altre realtà poco chiare o
negative per la comunità, mafia compresa. Mentre nel giusto chiasso, fra
tante teste pensanti o informate, il differente punto di vista,
l’idea giusta, la persona giusta può venir fuori.
Magari fra un po’
sarà la crisi economica a cambiare vertiginosamente gli scenari. Ma potrebbe
essere in peggio, qualcuno l’ha detto al convegno mi pare, ancor più
capitali freschi e sospetti in circolazione, da riciclare in tutta calma in
opere inutili, senza bisogno di riscontri economici immediati al proprio
investimento. Insomma, ancor più speculazione e degrado. E ancor meno
attenzione all’ambiente.
Dobbiamo proprio
stare ad aspettare e basta? Milena De Benedetti
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