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 LA FINE DELL’UTOPIA

Sergio Giuliani

Quando, nel 1967, Herbert Marcuse dichiarava, davanti agli studenti universitari tedeschi, ”La fine dell’utopia”, credeva che i sogni politici si fossero fatti realtà e, quindi, non erano più possibili aporie.

Oggi crolla anche la più cinica e falsa delle utopie, la finanza irrequieta e creativa.

 Da tempo sono crollate le altre, ideologie politiche che avevano alla base altruismo cooperante e speranze di miglioramento graduale, ma sicuro con assunzioni di responsabilità che costavano rinunce e fastidi, ma davano gioia perché orientatrici.

Inutile rivangare di chi sia la colpa. Le ideologie non si sono tanto squagliate perché tradite, ma perché finite. Alfieri la chiamerebbe crisi della “pianta uomo”, ma non è qui questione di dietrologie di colpe (“si è troppo poco sventolata la bandiera!”), quanto di un globale collasso del sentire, in cui gli elementi possono essere causanti o causati, a seconda di come li si legga (“Abbiamo questa tv perché ci è stata scientemente data o perché ce la siamo scelta ed abbiamo fatta l’irresistibile “audience”?

Non è questa la discussione. Non perdiamo tempo!

Qualcuno, l’estate scorsa, ha parlato di Italia ri-fascista ed ha ragione e torto.

Torto perché il fascismo, quello del “nonno” dell’Alessandra, è morto e sepolto con i suoi ultimi seguaci, per età e per la sistemazione, finalmente accurata, degli storici che ne fanno una storia colpevole ed archiviata.

Ragione perché si riforma (e per gli anziani come me è sorprendente constatare come si sia costretti puntualmente a rivivere una vicenda evidentemente maldigerita) il brodo di coltura dell’autoritarismo (da operetta, finchè non fu Salò!).

Me li hanno raccontati, gli anni venti: liti tra massimalisti e riformisti, confusione nell’attacco allo stato vetero liberale che si voleva più distrutto che sostituito,paura diffusa tra agrari, benestanti, bottegai, reduci etc che si trovarono quasi naturalmente a far “fronte nazionale” e, subito dopo, a delegare il potere a chi pensasse e provvedesse per loro.

I partiti finirono all’Aventino ed ogni giorno li invecchiava di un secolo. Parvero ben presto incapaci di reggere; anzi di elaborare, un programma di riforme politiche e sociali e di tenere a bada l’estremismo con l’autorevolezza del saggio e concreto argomentare.

Si avvitarono la paura degli scontri politici sanguinosi, l’incertezza, le difficoltà dell’economia postbellica, l’incapacità di dialogare da posizioni coerenti, di forza, risolutrici.

Nel blabla, si scavò un odio, fomentato a bella posta, anche) contro la classe politica sentita come incapace e ladra e un gran desiderio di smetterla di capire faticosamente e responsabilmente la situazione e di predicare il “nuovo” come risolutivo.

Questi due fenomeni sono assai presenti nell’iter politico odierno: belle (si fa per dire!) figliole al posto di ministro,grandi smazzate di poker per dimostrare giovanile risolutezza e velocità,uno strizzar d’occhio cercando connivenza furba e un continuo, monotono porre sotto accusa (lentezza, corruttela – ma ci sarebbe da capire chi più corrotto! Ma è fatica e ci si consiglia di riposare e di guardare alla…ricrescita!).

Non è certo da difendere il mondo della politica nel suo complesso: guai  a volerlo fare punto e basta. Ma da qui a ubriacarsi per lo scomposto, per i discorsi e i provvedimenti a smazzata (v. lodo), per il nuovismo di superficie e per l’incultura sociale sentita come liberatrice delle istanze dell’individuo sfrenatamente ed angosciatamente teso ai propri tornaconti, che guida aggressivo e in barba ai noiosi codici stradali e pretende dalla scuola questo insegnamento,ce ne corre.

Fascismo aurorale, ma non troppo, è la continua predica a lasciar fare a chi sa, la riduzione del Parlamento a luogo delle chiacchere e il ricorso senza posa alla “fiducia”, lasciare le trasmissioni tv in cui si tratta di politica non a monologo, ma a discussione (ormai discutere è tempo perso:ci pensa “Lui”!) e, gravissimo e veloce, l’ottundersi della vigile ed indispensabile coscienza di fronte alle continue smarronature dell’esecutivo.

Così si crea quel pericolosissimo ed irrecuperabile consenso per fastidio alla retorica dell’apparire, quel continuo affollarsi di “temi” (a proposito: par che torni l’immondizia!) (e il gran ponte sullo stretto? E Alitalia?) che sfilano come le carrozzine della giostra e tornano a periodo.

Se riflettere è fatica; se c’è altro di cui preoccuparsi (v. salone nautico), se è comodo bere dal bicchiere preparato, allora c’è fascismo, c’è il pensiero del…dopolavoro e dell’opera balilla)

Allora, anni venti, diventarono tutti fascisti, eccetto pochissimi sani lavoratori che furono intanati o dovettero intanarsi. Il fascismo non fu sopruso e basta: fu organizzazione di consenso, che dilaga quando manchi la progettualità responsabile sul futuro prossimo.

Per impedirlo, se non è già troppo tardi, è urgente serrare il legame tra popolo e politici e sfondare le stanze del potere partitico, dove si gioca alle dosature ed agli interessi, perché non asfissino. Ma come? Cominciando a risocializzare l’individuo guidando la sua rabbia ad obiettivi immediati, del futuro prossimo (ad esempio, la salvaguardia dei diritti-doveri costituzionali). Gramsci la chiamerebbe un’opera pedagogica; e sia!

Osserviamo come i sondaggi premino di continuo e sempre più l’apparire e non il fare e come i gravissimi problemi politici ci vengano ammanniti e “spiegati” come fossero in bolle di sapone, in monadi autonome e capiremo come sia necessario non inseguire né utopie né decisionismi, né sconforti né accomodamenti, ma ricominciare a guardare i problemi con esatta messa a fuoco (ma gli occhiali vanno ricostruiti con volontà e perizia!).

Solo allora il presente della politica ci apparirà mostruoso; solo allora capiremo cos’è stata, p.es., la crisi Alitalia, trascinata da vent’anni e che coacervo mostruoso Gelmini intenda fare della scuola dei poveri (tanto i ricchi la cultura vera se la pagano!). A vedere pulito, c’è da non credere ai nostri occhi, ma anche da essere sempre più convinti che la verità la vince sempre (anche se con battaglie) sull’illusionismo a due sole dimensioni.

   Sergio Giuliani