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BANCHE:COME FANNO A FALLIRE?

  Marco Giacinto Pellifroni


Marco Giacinto Pellifroni

 Questo interrogativo, avanzato da qualcuno, è sembrato sulle prime scardinare quanto vado sostenendo da qualche anno, sulla scorta di pubblicazioni e incontri con vari studiosi del problema monetario, e cioè che le banche centrali possono stampare banconote a volontà, mentre le banche commerciali possono raggiungere lo stesso scopo di iniettare liquidità nel sistema semplicemente pigiando dei tasti sui computer; quindi, come si concilia questo loro privilegio con la recente penuria di liquidi anche nelle casse delle banche?

L’obiezione non è di poco conto e merita un’adeguata riflessione. In realtà, mentre la banca centrale è libera, in effetti, di stampare moneta secondo quanto essa stessa giudica necessario, le banche commerciali il denaro lo creano solo nel momento in cui lo prestano. E, secondo la nostra risibile riserva frazionaria del 2%, possono erogare crediti con una leva di 50; insomma possono esporsi per 100 avendo in cassa soltanto 2. (Per confronto, le banche americane hanno una leva massima di 20; per cui, traetene le debite conclusioni, quando ci dicono che l’Europa sarebbe “assai più prudente e meno esposta delle banche USA”).

Una simile libertà accende la cupidigia, che è uno dei più diffusi peccati dell’uomo dall’epoca di Adamo ed Eva. In tempi di vacche grasse e di liquidità circolante in abbondanza, le banche si lanciano a fare prestiti a bassi tassi anche a clienti che difettano della capacità di ripagare i debiti. Quando le vacche dimagriscono, il numero di questi cattivi pagatori aumenta, si riduce la capacità delle banche di concedere nuovi prestiti, sia per gli ammanchi dovuti alle partite in sofferenza, sia per l’eccessivo volume dei pegni, perlopiù immobili, la cui immissione massiccia sul mercato a seguito di pignoramenti e vendite all’asta ne deprime il valore. Al crescere delle sofferenze diminuiscono le richieste di nuovi prestiti, in quanto la rarefazione di liquidità porta le banche ad alzare i tassi passivi. L’effetto congiunto di questi fattori rende sempre più difficoltoso alla banca far fronte alle richieste di prelievi, che abbassano la sua riserva di cassa e sono dovuti al calo generalizzato dei redditi e quindi alla minor capacità di risparmio della gente. La maggior richiesta di liquidità da parte dei risparmiatori finisce con l’incidere non solo sui depositi delle banche ma anche sulle loro azioni che, in misura maggiore di quelle dell’economia reale, offrono minori garanzie in tempi di turbolenza finanziaria.

Le banche si trovano allora con depositi in costante calo (*) e con una capitalizzazione soggetta ai colpi impietosi degli azionisti in fuga.

Sia questi ultimi che i depositanti tendono a salvaguardare il proprio personale patrimonio, attingendo in banca e in Borsa in volumi crescenti, in una spirale maligna che porta alla fine le banche più prese di mira a dichiarare bancarotta o a richiedere l’intervento della mano pubblica. 

 Questo è il meccanismo che strozza giorno per giorno la solvenza di una banca, facendole fare la fine che essa stessa aveva in passato fatto fare ai suoi debitori morosi. Il crollo è agevolato anche dalle voci (rumors) che cominciano a circolare sul suo stato di salute, esattamente come circolavano in precedenza sulla salute dei suoi clienti con le rate in ritardo o sconfinanti dal fido; il tutto enfatizzato dalle vendite allo scoperto, solo recentemente vietate. La grossa novità è che fino ad un anno fa quasi nessuno pensava che una banca potesse fallire e si relegava tale evenienza nei lontani ricordi.

Sino allora era solo la banca che chiedeva garanzie per un prestito, mai il cliente alla banca prima di aprire un conto o fare un versamento. Nel giro di un anno si è assistito ad un ribaltamento totale delle rispettive posizioni, ed oggi la gente si chiede “dove altro possono mettere al sicuro i miei soldi”, dopo la caduta verticale di fiducia nel luogo tradizionale di deposito dei propri risparmi. Come già si disse dopo l’11 settembre 2001, nulla sarà più come prima dopo la tempesta perfetta in corso dal 9 agosto 2007, quando prese avvio il blocco totale della liquidità interbancaria.

A corredo di quanto su detto, cito l’esempio del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Una sua funzione peculiare era quella di erogare prestiti a Paesi in via di sviluppo per aiutarli a raggiungere o almeno tendere al livello di prosperità occidentale. Questi Paesi, strangolati da prestiti a tassi usurari, concessi a condizione di “occidentalizzare” le proprie economie, sono riusciti via via a svincolarsi dal gravame debitorio verso l’FMI, che un paio d’anni fa ha finito col trovarsi quasi senza più crediti da erogare e quindi privo dei redditi che questi gli procuravano, tanto da dover proporre alle nazioni membro di vendere una cospicua parte (400 ton) dell’oro in dotazione per pagare i suoi stessi debiti, dovuti anche ad una conduzione rimasta improntata ai fasti di un tempo. Ecco, l’FMI, massima istituzione bancaria assieme alla Banca Mondiale, entrambe create a Bretton Woods nel 1944, è un’altra grossa banca virtualmente fallita, paragonabile a quelle banche europee divenute talmente enormi che ormai non sono neppure più too big to fail, bensì troppo grosse per essere salvate persino dai governi. E quelle tonnellate d’oro che ha proposto di vendere sono soldi dei nostri nonni, contribuenti dell’epoca della sua fondazione. E ciò vale a sottolineare un’altra differenza epocale tra la loro generazione e quelle successive: la prima ha lasciato alle seconde una sudata e tangibile ricchezza, le seconde stanno lasciando a quelle venture un pianeta dissestato e montagne di debiti. L’esempio peraltro è servito a sottolineare quanto l’eccessiva avidità porti dapprima alla disperazione dei debitori e successivamente all’agonia, se non la morte, dei prestatori, cui spetta il medesimo destino dei parassiti che dissanguano gli organismi ospitanti.

E a proposito di Bretton Woods, ogni tanto se ne risente parlare quando questo o quel politico, Tremonti in testa, ne invoca una riedizione, ovviamente aggiornata alle esigenze correnti. Se gli accordi di BW non fossero stati unilateralmente e spocchiosamente disdetti dal presidente americano Nixon nel 1971, in quanto non riusciva più ad onorare l’impegno di cambiare dollari contro oro, il risultato sarebbe stato il fallimento della nazione USA, al pari di una qualunque banca insolvente.

Gli USA invece non fallirono e il dollaro assunse anzi lo status di moneta planetaria a corso forzoso; ma ciò solo grazie allo smisurato arsenale militare di cui gli USA disponevano, e dispongono, quale efficace deterrente per gli eventuali riottosi. S’è vista la sorte riservata a chi, come l’Iraq di Saddam Hussein, e in prospettiva l’Iran, ha osato rifiutare di esser pagato in dollari. Quanto alla Cina, il suo attaccamento al dollaro non dipende dal timore di un attacco USA, bensì dall’avere una riserva di ben $ 1,3 trilioni, il cui valore precipiterebbe il giorno che li rifiutasse in pagamento. La “comunista” Cina s’è messa sulla stessa barca della maggior nazione capitalista (per quanto ancora?) del pianeta.

Oggi, se le varie investment banks e le divisioni d’investimento delle banche globali avessero avuto le mani legate a un gold standard quale vigeva fino al 1971, tutto il profluvio di titoli tossici da cui siamo travolti non avrebbe potuto aver luogo. Ecco perché Tremonti ed altri economisti premono per una nuova BW. Certo non sarà più possibile legare le monete all’oro, per l’esplosione del PIL mondiale, che renderebbe il prezzo dell’oro proibitivo; ma si dovrà trovare un meccanismo che leghi la moneta, e quindi il versante finanziario, al versante economico, ossia a una ricchezza tangibile e quindi non manipolabile a piacere come lo sono i numeri su un PC e le rotative delle banche centrali.

Quanti altri cadaveri bancari dovremo ancora vedere lungo questa strada verso una soluzione che, al solito, ha aspettato i morti prima di essere affrontata?

Il pericolo maggiore è che, come spesso accade, si approfitti di una situazione di panico per varare misure liberticide, sul tipo di quelle anti-terrorismo imposte dopo l’11/09: la paura è la miglior premessa per la tirannide. Quale congiuntura più propizia dell’attuale per l’instaurazione di quel Nuovo Ordine Mondiale (NWO, New World Order), agognato dalla destra militarista, che include una moneta e un Governo universali? Il nostro Capo dello Stato in un suo discorso se l’è pure lasciato scappare: lui, il custode supremo della Costituzione, auspica la remissione della sovranità della nazione a un ente sovranazionale, proseguendo lungo il cammino inaugurato a Maastricht. La soluzione contro i guasti della globalizzazione, secondo questo piano, sarebbe di estenderla, applicando i criteri del WTO (World Trade Organization) anche alla politica (imposta col NWO) e alla moneta (tramite il GMA, Global Monetary Authority), ossia ai due guinzagli che reggono le nostre vite.

(*) S’innesca così il fenomeno del deleverage, che è devastante per la banca, in quanto al decrescere di 2 in cassa deve sopperire con la vendita, o svendita, di 100 dei suoi “attivi”, ossia dei titoli che ha accumulato in portafoglio a fronte dei prestiti erogati. L’iniziale vantaggio si trasforma così in un micidiale salasso.

   Marco Giacinto Pellifroni                   5 ottobre 2008