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Da La Stampa del 1975: testimonianze (ignorate) di un giornalista coraggioso

La santa profezia di Mario Fazio

“ambasciatore” della terra ligure

<Lo sviluppo parassitario finirà per uccidere il futuro della nostra regione>

 

L’articolo del valoroso giornalista alassino, ex presidente di Italia Nostra, è ricco di dati, argomenti inconfutabili, ammonimenti e conclusioni logiche. Attualissime, tra l’altro.  Fazio ricordava che sulla fascia costiera e prima collina che coprono appena i tre decimi del territorio ligure, si concentrano 4/5 del potenziale demografico ed economico, mentre gran parte dell’entroterra langue o è in abbandono, con una popolazione fortemente invecchiata e con aree depresse.

Forse la lettura dell’articolo non è consigliata ai troppi sindaci cementieri  di ieri e di oggi, alla loro “corte”, timorosi che non venga affermata la “centralità del denaro” e dell’accumulo di ricchezza come valore di riferimento. Uniti ai molti che sfoggiano cultura, ma nella vita restano “emeriti imbelli” di fronte al crescente disastro, soprattutto di un turismo e di un ambiente sostenibili. 

Mario Fazio documentava, già nel 1975, e prima ancora nel 1970, cosa significa fare (o non fare) scelte urbanistiche dimenticando che, mentre persisteva un “trend” demografico pari a zero nonostante i residenti fittizi delle “seconde case”, si continuavano a realizzare milioni di nuovi vani e la cifra reale resta “segreto di stato”, oppure non è facile ufficializzarla. Un mistero!

E ancora, il “terziario di massa” faceva a pugni con gli spazi pubblici disponibili lungo le coste. Il sovraffollamento periodico metteva in crisi, assorbendo enormi risorse per strade, parcheggi, viabilità, acquedotti, servizi, spazi verdi ed attrezzati.

Si pone con evidenza, rimarcava il giornalista scrittore, il discorso sui limiti dello sviluppo prima che si arrivi al punto di non ritorno. Serve, insisteva 33 anni fa, un freno urgente al congestionamento, al massacro della fascia costiera.  Cosa è cambiato con i governi del centro sinistra o centro destra? In Regione: con i Burlando, Scajola (ministro ligure), Biasotti, Ruggeri…Nella coscienza comune dei liguri? Nelle priorità dei valori sociali, educativi?

 

di Mario Fazio

 


Mario Fazio

La sottile striscia costiera, 350 chilometri di spiagge e scogli dal confine della Versilia a quello della Francia, che comunemente definiamo Liguria. E’ soltanto una parte minima del territorio regionale, sconosciuto a molti dei liguri stessi.

Si pensa alle due riviere, a un lunghissimo nastro di case e di alberghi lungo il mare, e si dimentica che la regione è prevalentemente montuosa, coperta di boschi, appartata e quasi deserta a poche centinaia di metri di quota.

 Il 65 per cento del territorio ligure è costituito da montagne, il 34,8 per cento da colline spesso a precipizio sul mare, la povertà di spazi disponibili va ricordata per comprendere fenomeni culturali ed economici apparentemente inspiegabili: la perenne contesa tra attività diverse, il carattere chiuso delle popolazioni, un certo grado di misteriosità o impenetrabilità, lo scarso dinamismo.

Altre regioni del Nord devono affrontare il problema dei servizi, delle case, dei posti di lavoro, per popolazioni in continuo aumento.

La Liguria è statica. Il movimento demografico è quasi nullo. Non ci sono ondate migratorie, né esodi massicci. I nati compensano a fatica i morti: in non poche città il saldo naturale è negativo.

I liguri erano 1.865.652 nel 1968, sono oggi 1.867.188.

Gli abitanti del capoluogo sono diminuiti di quasi 40 mila unità dal 1968, anno in cui Genova raggiunge la punta massima di 843.175 iscritti all’anagrafe.

In apparenza questa regione priva di problemi demografici, fortemente “terziarizzata” e ricca (in molti comuni minori il reddito medio individuale supera il milione e mezzo, i depositi fiduciari delle aziende di credito superano i 3.500 miliardi di lire) è privilegiata ed invidiabile per il clima, la relativa facilità di vita degli abitanti, l’assenza di forti tensioni paragonabili a quelle delle “cinture” torinesi e milanesi.

Ma, approfondendo la conoscenza, si scopre che la “terziarizzazione” è in parte parassitaria, che lo <sviluppo demografico zero> non ha contribuito a risolvere questioni di fondo come il corretto uso del territorio, la distribuzione giusta delle abitazioni e dei servizi sociali.

A Genova 807 mila residenti dispongono di ben 1.098.104 vani (teoricamente potrebbero offrire una stanza a più di 200 mila immigrati), ma 20 mila famiglie vivono in coabitazione o in <alloggi impropri>.

La provincia di Savona ha poco più di 310 mila abitanti e ben 546.678 vani, ma oltre il 50 per cento delle case di abitazione è <non occupato> nei comuni di Andora, Bergeggi, Borghetto S. Spirito, Celle, Ceriale, Laigueglia, Noli, Spotorno. Ad Alassio, Loano, Finale, si supera il 40 per cento di case  <non occupate> (ufficio provinciale di statistica). Si tratta evidentemente di “seconde case” o di abitazioni destinate esclusivamente all’affitto nei mesi estivi.

Queste forme di turismo non programmato sul territorio, divorano gli ultimi spazi disponibili lungo le coste sovraffollate ed impongono alle amministrazioni locali enormi spese, un Comune di 10-15 mila abitanti è obbligato a provvedere parcheggi, depuratori, acquedotti, servizi, spazi verdi e attrezzati (finora praticamente inesistenti) per popolazioni estive di 50 mila.

Si impone con evidenza il discorso sui <limiti dello sviluppo>, o meglio dello sfruttamento delle risorse territoriali ed ambientali, finora incontrollato.

Il piano per l’uso del territorio regionale dovrà porre un freno al congestionamento della sottile striscia costiera e dovrà disciplinare lo sviluppo dell’entroterra, nelle aree non destinate alla conservazione integrale.

Sviluppo che non si identifica necessariamente con l’attività edilizia. La Liguria interna, a pochi chilometri dal mare, è ricca di un patrimonio abbandonato da rivalutare: case rustiche, interi nuclei di origine medioevale. Ed è anche ricca di potenzialità nel campo del turismo, di tipo naturalistico, degli insediamenti qualificati (istituti e laboratori di ricerca, industrie ad alto contenuto tecnologico e non inquinanti), delle colture agricole specializzate e delle produzioni collaterali.

Le vocazioni sono molte e diverse. Ma la Liguria deve finalmente affrontare le scelte, tenendo conto degli spazi e delle compatibilità.

La fascia costiera, comprese le colline, copre appena i tre decimi del territorio: su di essa si concentrano 4/5 del potenziale  demografico ed economico, mentre l’entroterra langue o è in abbandono, con una popolazione fortemente invecchiata, e col solo aiuto della definizione ufficiale di <area depressa>.

L’aggravamento delle congestioni sui 600 chilometri quadrati in prossimità del mare sarebbe intollerabile, e sarebbero gravissime le conseguenze ambientali, se non si arrivare a riequilibrare la distribuzione degli insediamenti e della attività, scartando quelle incompatibili.

Sulla costa attualmente sono in conflitto le iniziative più disparate: dalle “seconde case” alle autostrade e ferrovie, dai porti turistici a quelli mercantili (Voltri, Vado) e ai porti per traffici di petrolio, dalle centrali termiche alle raffinerie, con depositi costieri di greggio incombenti sulle abitazioni.

E’ possibile far convivere il turismo balneare con i traffici di petrolio, con industrie chimiche che avvelenano il mare?

Nel gennaio 1970 <La Stampa> pubblicò due inserti sulla Regione come contributo alla conoscenza della “questione ligure”, mai individuata fuori dai confini anche per l’assenza di una letteratura impegnata socialmente ( non abbiamo avuto un nostro Giustino Fortunato, né un nostro Carlo Cattaneo ).

A rileggere quelle pagine, confrontandole con la situazione attuale, si ha l’impressione che non siano passati cinque anni. Molti problemi e progetti sono rimasti sulla carta.

Eppure qualcosa è cambiato, o sta cambiando. I liguri vanno scoprendo che il solo settore terziario non basta per dare vita ad una regione.

E’ vero che la Liguria, per la sua posizione geografica,  sembra offrirsi come regione di servizi alle regioni vicine: porti, traffici marittimi, turismo. Ma è anche vero che le manca una struttura adeguata per sfornire servizi da regione molto evoluta, capaci di compensare localmente l’indebolimento dell’ossatura industriale.

Le due riviere si limitano al turismo balneare, e cadono in letargo, da ottobre a maggio, mancando di impianti e attrezzature tali da motivare un redditizio movimento invernale.

Genova si affida in buona parte ad attività commerciali polverizzate (un punto di vendita ogni 40 abitanti), per integrare quelle portuali e quelle industriali fortemente ridotte. La terza città del triangolo ha perduto 30 mila posti di lavoro nell’industria,  e non è sola in questo processo di trasformazione.

Dicevo che qualcosa sta cambiando. I genovesi non sono più propensi ad accogliere qualsiasi iniziativa. Il porto dei petroli a Voltri sembra archiviato, e nessuno spera di vederlo costruire. Le raffinerie dovranno andarsene dalla Val Polcevera. Si fanno strada industrie di avanguardia, come quelle nucleari del gruppo Ansaldo. Si sviluppano attività di ricerca, a volte per iniziativa di singoli (la stazione  per lo sfruttamento dell’energia solare di S. Ilario).

I porti di Genova e Savona hanno compiuto progressi notevoli, soprattutto nel settore dei traffici specializzati. E, infine, non pochi comuni hanno avuto il coraggio di limitare l’espansione edilizia, applicando nuovi piani regolatori destinati ad offrire una migliore qualità di vita, a tutelare l’ambiente ed il paesaggio, a porre ordine sul territorio.

Si moltiplicano gli impianti di depurazione, e il mare è più pulito. Senza cadere nella mitologia della “California italiana”, scaduta a luogo comune, si può sperare che la Liguria affretti il passo verso la riscoperta.

Richiede capacità di immaginazione, ma anche coraggio nelle scelte, con abbandono della vecchia mentalità della <Regione che vive di rendita>.

Mario Fazio