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PENSIONI E TFR: C’É DA FIDARSI?

  Marco Giacinto Pellifroni


Marco Giacinto Pellifroni

Apprendo che il fondo pensioni, integrativo e obbligatorio per legge, degli agenti e rappresentanti di commercio, Enasarco, risulta avere investito la bella cifra di € 500 milioni in fondi di fondi garantiti alla scadenza dalla fallita Lehman Brothers, che fa parte di quell’accrocchio di banche d’investimento e assicurazioni crollate sotto il peso delle loro scriteriate operazioni finanziarie, per le quali ora chiedono il salvataggio dalle tasche dei contribuenti americani; ma, a quanto pare, non solo americani, visti gli enti coinvolti in giro per il mondo.

In attesa dell’esito, non scontato, del proposto “prestito” di $ 700 miliardi (per ora) per salvare l’economia da un crollo dalle conseguenze orribili, oserei chiedere timidamente all’attivissimo Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che l’estate del 2007 è stato gratificato della consulenza per Goldman Sachs (tra i maggiori responsabili del disastro in atto), di fare, per una scheggia del suo pagatissimo tempo, una consulenza anche a noi. Potrebbe cortesemente spiegarci come è potuto succedere che i più grandi ladri del mondo, di cui egli s’è messo orgogliosamente al servizio, e di cui dovrebbe oggi vergognarsi, si siano accaparrati trilioni di dollari di tutti noi, attraverso gli uffici di banche globali in combutta con pubblici amministratori forgiati alle regole di quella stessa Goldman Sachs che la fa da padrona nei Ministeri economici delle nazioni, Stati Uniti in testa, dove il Ministro del Tesoro Hank Paulson è stato prestato a tale incarico dalla Goldman stessa, continuando a comportarsi da suo numero uno, come ha dimostrato in questi giorni? Inciso: per fortuna il nostro Tremonti è lontano mille miglia dalla banda, e anzi ne indica i membri come topi messi a guardia del formaggio (i nostri soldi).

Attenderei invano la risposta di Gianni Letta, indaffaratissimo a prestare la sua consulenza all’altro, pur meno invasivo, pasticcio di Alitalia; per cui proverò a trovare io stesso una spiegazione.

Vado dritto al punto: assicurazioni e garanzie. In tempi che oggi sembrano preistoria, le compagnie di assicurazione si tutelavano dall’eventuale insolvenza investendo i premi degli assicurati in immobili di prestigio, su cui compaiono tuttora nei grandi centri urbani le targhe di proprietà. Inoltre, si guardavano bene dal fornire garanzie superiori ai loro asset, e rifuggivano come la peste sinistri che potessero coinvolgere un elevato numero di assicurati, quali le catastrofi naturali di ampio raggio, anche se i premi in tali casi sarebbero stati estremamente appetibili, per numero e per entità, in proporzione al rischio. Nei casi dubbi, le compagnie nazionali si riassicuravano a loro volta presso grosse compagnie internazionali, come i leggendari Lloyd’s di Londra.
Gianni Letta

In quei tempi le assicurazioni non erano ancora gli avidi giocatori allo scoperto che oggi operano guidati soltanto da un unico movente: l’avidità di guadagni facili e rapidi, cui si accompagnano inevitabilmente rischi superiori alle loro risorse.

Oggi non sono soltanto le tradizionali assicurazioni a coprire i clienti dai rischi: ci si sono affiancate, superandole, le banche d’investimento (defunte e in parte risorte sotto diverse spoglie la settimana scorsa) e le CIB, ossia le branche d’investimento (anch’esse in via di smantellamento) delle grandi banche mondiali.

Quando le banche commerciali nostrane concedono un mutuo lo fanno ancora coi vecchi criteri: mandano un perito a valutarti la casa e su tale base ti concedono un tot percento del suo valore. Non così le banche americane: nessuna perizia, nessun controllo della tua solvibilità. Tanto poi il rischio lo spalmano su altri emettendo titoli in base alle fasulle o inesistenti garanzie di solvibilità dei mutuatari, peraltro cinicamente strangolati da metodi di rimborso che partono da tassi ragionevoli per poi schizzare all’insù dopo un breve periodo di grazia, diventando di fatto insostenibili. A rendere appetibili quei titoli ci pensano le società di rating, che tranciano un giudizio sulla solidità della banca emittente, generalmente verso i massimi: tripla A. In più, per ostentare un’aura di correttezza, i bilanci della banca vengono valutati da auditor, revisori “esterni” dei conti. Alla fine, a disastro avvenuto, si scopre che valutatori e revisori sono soci o a libro paga delle banche che dovrebbero controllare, e si decidono a emettere pareri negativi solo il giorno del fallimento! (Non scherzo: con Lehman è successo).

In sintesi, un carosello di assicuratori e garanti di assicuratori collusi con l’emittente.

In ogni caso, e questo vale per tutte le banche, sia nel momento in cui presta sia in quello in cui è la banca a ricevere un prestito, è la banca il contraente in difetto. Essa infatti, pur non potendo assicurare il rimborso a coloro che nella banca hanno investito i loro soldi, non esita, quando si inverte il ruolo, ad estorcere il pegno fornito dal mutuatario (la sua casa), come se il contratto di mutuo fosse stato stipulato in condizioni paritetiche di solvenza. Tu cliente devi darmi un pegno, nel caso non mi ripagassi; io banca invece no.

Quindi, a quanti in questi anni mi hanno tacciato di accanimento ossessivo contro le banche rispondo: ecco, questo è il risultato di quanto io ho denunciato e per cui sono stato quasi preso per mono-maniaco. Che quanto scrivo sia almeno di monito a diffidare dell’ultima moda dei TFR versati a banche o assicurazioni private. Fidatevi solo dell’ultimo baluardo rimasto: l‘INPS, garantita dallo Stato. Se non altro è azionista al 5% di Bankitalia. E non è poco, con quello che si porta a casa col signoraggio monetario.

Gli americani paragonano la situazione di oggi al 1929 e al 1941, dopo l’attacco di Pearl Harbour: anni cui sono seguite la Grande Depressione e la Seconda Guerra Mondiale. Che l’ultimo anno sia stato foriero di mutamenti epocali, simili a quelli climatici, come lo sono state le misure prese, a torto o ragione, per fronteggiare il terrorismo dopo l’11 settembre 2001, è ormai sensazione diffusa anche da noi tra la gente comune. La proverbiale diffidenza delle banche nei riguardi dei mutuatari s’è in breve tempo ribaltata e sono i loro clienti che oggi esitano a depositare i propri sudati risparmi nei loro vacillanti conti; questo in quanto tutti ritengono che questo sia solo un assaggio di quanto di ben peggio si profila all’orizzonte.

In questi tempi di estrema incertezza sono in molti a chiedersi se non sia meglio investire i propri risparmi (quando ci sono) in qualcosa di solido: e se sinora è stato il mattone, l’attuale inflazione di cemento porta a guardare all’oro, non più “relitto barbarico”, come un banchiere l’ha recentemente definito, ma eterno bene rifugio, nonostante gli sforzi che le banche hanno messo in atto per sconfiggere il loro secolare, luccicante nemico.

    Marco Giacinto Pellifroni               28 settembre 2008