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Cambiamo il voto

Si privilegia di gran lunga il biasimo per il modo in cui certi critici e oppositori si esprimono, rispetto all’esaminare i loro argomenti.

Nonna Abelarda  

Milena De Benedetti

Molti dei grossi problemi in Italia derivano da un punto importante: come votiamo.

 Un tempo l’appartenenza era così radicata che un cambio di pochi punti percentuali fra le solite forze in campo, in una elezione qualsiasi, era considerato rivoluzionario.

Ora non è più così, e per certi versi va bene, eppure riscontriamo comunque una certa fossilizzazione, una certa miopia ostinata che non fa bene alla democrazia, ma molto alla partitocrazia.

Parliamo di livello locale, dove più dovrebbero essere le idee, i progetti, i programmi a farla da padroni: troppa gente di centrodestra deplora Berlusconi, riconosce le sue magagne, eppure non rivota e non rivoterebbe altro che centro destra; troppa gente di centrosinistra mugugna contro le giunte “amiche”, ma poi le rivota puntuale e fedele, indipendentemente da ciò che fanno. Le eventuali liste civiche autonome quasi sempre raccolgono spiccioli.

Pigrizia, conservatorismo, ideologia, scetticismo, odio o paura dell’altro, percezione di favori e convenienze ricevuti o da ricevere… c’è un po’ di tutto, in questo comportamento, diciamo, sciatto e poco responsabile, dell’elettorato.

Sostanzialmente i politici di lungo corso sanno di poter contare su questo zoccolo duro, fedele alla bisogna, che brontola brontola, ma poi, arrivati al dunque, risponde all’appello, e per un altro mandato si sta tranquilli, senza neanche troppo bisogno di sforzi e proclami o di distinguersi apertamente dalla parte avversa.

Questa è sostanzialmente l’Italia. In altri paesi è normalissimo premiare o punire con l’alternanza, nella pratica,  l’operato dei propri rappresentanti. Mostrare questa spada di Damocle costantemente sospesa sopra il loro capo, a richiedere se non altro coerenza e serietà  e rispetto di chi li ha votati. Da noi, no. Va bene che soffriamo di un centro destra ai limiti della decenza e di un centro sinistra ai limiti della litigiosità e fumosità o dell’abulia, ma proprio non si riesce a uscirne in qualche modo?

Intanto questo a cosa porta, come conseguenza? Che i rappresentanti se la prendono comoda, acquistano sicurezza, tendono a non sentirsi più, appunto, rappresentanti, eletti, “dipendenti”, come dice Grillo,  ma piuttosto entità libere di agire, senza accettare censure, critiche, controlli, a volte senza neppure ammettere un libero confronto democratico, un dialogo costante con l’elettorato. A volte assumendo persino chiusure arroganti, atteggiamenti da assolutisti di altri tempi, “eletti”  sì, ma non nel senso di nominati, bensì di privilegiati una spanna sopra gli altri. La famosa casta, appunto, sempre più autoreferenziale, impunibile e impunita.

 Questo ha creato e crea strane intese trasversali, strane identità di vedute e di propositi, reti  di interessi che veleggiano lontano dalla comunità, con conseguenze abbastanza disastrose, che stanno producendo pessimi risultati e ancora peggiori prospettive.

Chi lo denuncia e mostra il proprio dissenso a volte rischia isolamento, censure varie, biasimo aperto e ostracismo, ostilità e condanna anche dai tanti che, spesso in perfetta buona fede, continuano a coltivare il paraocchi della loro appartenenza sopra ogni cosa, la propria incrollabile “identità”  , veleggiando alti e distanti rispetto a qualsiasi considerazione pratica e terrena che si sforzi di uscire dai canali prestabiliti.  

Addirittura, chi protesta apertamente viene considerato prima di tutto ineducato, indelicato. Se non addirittura una quinta colonna del nemico. Per la destra, se critichi sei per forza un comunista. Per la sinistra, sei un compagno che sbaglia  e rema contro. Addirittura, uno incontra le peggiori reazioni, freddezze e chiusure proprio in chi riterrebbe potenzialmente  più vicino alle sue posizioni.

 Questa mentalità si basa spesso sulla buona fede, torno a precisare, intesa quindi non necessariamente come ideologia ottusa e fanatica ma come adesione sincera, leale, magari un po’ ingenua, a certi principi, e proprio per questo è più difficile da scalfire e riportare a termini  più concreti e pratici.

Si privilegia di gran lunga, insomma, tanto per capirsi, il biasimo per il modo in cui certi critici e oppositori si esprimono, rispetto all’esaminare i loro argomenti. Le antipatie o simpatie emotive sulla logica. Si elevano steccati e barriere mentali.

Per cui il principio vizioso che crea intese trasversali perfette in nome dell’affare, non riesce mai a creare il suo speculare virtuoso: intese trasversali, di diversa provenienza ideale o civica, in nome del bene comune e di singoli obiettivi condivisibili.

 Insomma, dopo tanto sproloquio lo dico chiaro: se chi ha una spina nel cuore di fronte a certi progetti, se chi ha dubbi e preoccupazioni e dissensi sul presente e sul futuro che ci vediamo costruire (letteralmente) intorno, non riesce a mettere da parte la specifica appartenenza e le diffidenze ideologiche, se non ci si ritrova laici e credenti, destri e sinistri, forze sane nei partiti e movimenti sciolti, comitati e isolati, comunità e cittadini, personalità e normalità, liste civiche o non civiche, a rimboccarsi le maniche con  semplicità, a costruire progetti alternativi, coraggiosi, ma veramente, strategie lungimiranti, possibilmente demolendo almeno alcune di queste irreversibili minacce, e votando, soprattutto votando, di conseguenza, non si va da nessuna parte, si assiste solo impotenti, si rimane davvero sudditi e non cittadini.

 Davvero il perbenismo, la pruderie, il decoro, i pregiudizi, le antipatie velleitarie sono più importanti di  tutto questo?

  Nonna Abelarda alias Milena De benedetti