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 Larussa versus Napolitano.

 Mal gliene incolse!

Sergio Giuliani


Il Ministro Ignazio La Russa

Oltre il Garigliano, non c’è soltanto il crudele e cinico britanno e il nordamericano. Ma c’è il francese, l’australiano, il sudafricano, il polacco, il canadese e infine il marocchino e l’algerino. Sono sicuro che sarà per voi un giorno di festa quando potrete far fuoco su queste razze bastarde, in quelle terre dove non si rispetta nulla e nessuno.”

Da un discorso di Benito Mussolini alla “San Marco” in Germania   24 aprile 1944

  L’8 settembre, a Roma, il Presidente della Repubblica ha doverosamente ricordato uno dei tanti episodi eroici che bastano da soli a svergognare i “traditori” della patria. A Porta San Paolo alcuni granatieri e studenti (guidati da un “fannullone” di professore, Raffaele Persichetti combatterono fino al sacrificio contro gli occupanti tedeschi colpevolmente fatti entrare in città da comandanti di divisioni italiane sufficienti a fermarli agevolmente, lasciate senza ordini e senza…ufficiali, presto scappati, dal silenzio dei ministeri svuotatisi e dalle tremolanti e sibilline parole radiofoniche di Badoglio.

Tradimento, certo! Quarantacinque giorni di colpevole trastullo e fuga a Brindisi presentata come il necessario autosalvarsi dell’autorità dalla furia tedesca sono viltà. Il re voleva essere salvato in carrozza e gli angloamericani, che avevano scelto il D-Day per arrivare a Berlino prima dei russi, non avevano poi molti mezzi bellici in Italia sud: impiegheranno venti mesi, sanguinosissimi, per arrivare in val padana.

Ma il tentativo di salvare la scelta perdente addirittura chiedendo lo stesso grato rispetto che si deve avere per i vincitori patrioti,padri fondatori della nostra democrazia, è passato tra le mefistofeliche smorfie e l’oratoria rabbiosetta del barone La Russa,facendo rintronare di sdegno gli storici e le persone moderatamente acculturate.

Il barone difende, nel chiedere rispetto per i caduti,rispetto chiaramente dovuto a chi non si macchia di crimini ed è stato adoperato da una “cultura” irresponsabile, la “scelta” delle formazioni (cita la divisione “Nembo”, direttamente interessata a contenere lo sbarco angloamericano ad Anzio e pressochè annientata) che combatterono contro i “liberatori”.

Certa destra non è proprio nata per elaborare il proprio più che sessantenale lutto. Non ammette che la Rsi di patriottico non ebbe proprio nulla e spiego perché:


Il maggiore Mario Rizzati

a)  Hitler negò a Mussolini, che gliele chiese caldamente e ormai senza dignità, quelle divisioni che (ma la storia non si fa con i “se”: semplicemente è stata!) forse avrebbero arginato l’avanzata postsbarco degli alleati. Ma mandò subito quelle divisioni, dopo l’8 settembre, a occupare di slancio tutta l’Italia e ad arrestare per deportarli, centinaia di migliaia di soldati abbandonati dall’esercito sfasciato, non più considerati esseri umani, ma….”badoglio”! Ma La Russa è uomo d’onore, direbbe Shakespeare, e bisogna obbedirgli se parla di sentita fedeltà all’onesto e corretto e virile alleato. 

b)  Contemporaneamente al dilagare delle sue divisioni fino al fronte sud, la Germania annette le provincie di Bz, Tn, Bl (Alpenvorland) e quelle di Ud, Go,Ts più Pola, Fiume e Lubiana (Adriatische Kustenland), retti da gauleiter. Nessuna voce “fascista” si fa sentire: eppure, era un bel morso nel tessuto di quella “patria” che il camerata tedesco ci aiutava a difendere dai barbari.

 c)  Il maggiore Mario Rizzati, della “Nembo” morì coraggiosamente combattendo, in mezzo alla strada e con soltanto l’arma personale,contro un carro armato degli alleati. Aveva scritto alla fidanzata: ”Combatto per l’onore della bandiera italiana e per la patria, non certamente per il governo di Salò” Lui come altri. Dolfin, incaricato dal duce, lo convocò per quelle sue parole e si sentì dire: ”Il mio battaglione combatte da anni. I morti ormai sono più numerosi dei vivi, e i vivi continuano a morire. Siamo nella sabbia e nel fango. Privi di tutto. […] Spariamo perché non vogliamo che nessuno abbia il diritto di dire che gli italiani son tutti vigliacchi. Conosciamo soltanto l’Italia e credo che questo dovrebbe bastare!” Ma come si fa, La Russa, a non provar vergogna per l’ideologia che ha causato lo spreco dolentissimo di tante vite, certo, anche dalla parte “sbagliata” e non certo soltanto perché ha perso.

 Altro che “Camerata Richard”, come una canzoncina di propaganda chiamava l’occupante! I tedeschi avevano resuscitato Mussolini e lo tenevano ostaggio,impotente a prendere qualsiasi decisione che non fosse da loro imposta.

Come può,il barone La Russa, ministro della Repubblica Italiana, accennare al sacrificio della “Nembo” come un esempio di eroica fedeltà alla parola data? Un patto, sia pur “d’acciaio”, presuppone, per continuare, la coerenza agli accordi di ambedue le parti. Lo sa o no, il barone ministro, che il nostro esercito, su tutti i fronti, fu tenuto in scarsissima considerazione dal cosiddetto “alleato”? Grecia, Africa, Russia docent. Quale fedeltà, a che cosa, insegnava il rinato fascismo sottosvastica a ragazzi sui vent’anni? Ma non ci si rende conto che tacere la verità per opportunismo (la guerra era perduta, ben prima del ’44, barone, e sarebbe stato un gesto normale essersi arresi un anno prima, ”vista l’impossibilità di continuare l’impari lotta”), per cocciuta fiducia in “ideali” (???) tutti sforacchiati e mandare scientemente a morire chi non aveva avuto altra voce nelle orecchie che quella “del padrone” non è coerenza,ma colpa grave e insensibilità.

Non sbandieri quei” ragazzi” morti, barone! Vada,ma zitto e da perdente, ad Anzio a onorare quei morti, a piangerli. Io l’ho fatto, da tanto tempo, alle Ardeatine (gloriosa azione di guerra del fedele alleato,vero?), ma verrò con lei ad Anzio, a rispettare quei ragazzi.

L’ho fatto ad Arromanches, Normandia: tanti e tanto grandi cimiteri alleati ed uno tedesco. Sono stato da tutti e due; certo con spirito diverso. Ed ho maledetto una porca guerra che pare, anche per le sue politiche furberie, non voler finire mai e mai.

                                                                                        Sergio Giuliani