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SPECULAZIONE?

Marco Giacinto Pellifroni

Innanzitutto voglio scusarmi col Cavaliere se in queste righe mi permetterò di non occuparmi dei suoi problemi giudiziari, ma penso che basti la messe di notizie sfornate da stampa e TV. Tratterò invece di una parola che in questi giorni ricorre un po’ dovunque sull’onda dei continui rialzi del petrolio: speculazione.

Per quanto concerne la speculazione sul petrolio i pareri sono schierati su sue posizioni contrapposte: c’è che dice la lievitazione del prezzo del greggio esser dovuta alla sua quantità finita e al recente o prossimo raggiungimento del picco di estrazione (ossia la sua punta massima, cui segue l’inevitabile curva discendente);e c’è chi dice, al contrario, le riserve essere tuttora abbondanti e la corsa dei prezzi essere dovuta a pura macchinazione di biechi speculatori. Un vibrante articolo a firma Rosanna Sapori, apparso sul sito dei consumatori www.adusbef.it, invoca l’istituzione del reato penale di speculazione per chi “provoca fame e recessione”.

Ora, io, senza la pretesa di avere la verità in tasca, anche perché, come tutti, non ho accesso ai dati reali e devo basarmi su quello che leggo, propendo di più per la prima posizione, in quanto non esistono beni inesauribili, se non, almeno per qualche miliardo di anni, la luce del sole. E il petrolio, al pari di tutte le altre materie prime, non fa eccezione; e più se ne estrae, peggiore è la qualità del residuo, con costi sempre maggiori di raffinazione: si pensi alle sabbie bituminose, di cui era impensabile pensare alla raffinazione sino a poco tempo fa.

Detto questo, entriamo nel vasto mondo delle persone normali, specie nella parte più avanzata della loro vita: persone che hanno avuto la fortuna di risparmiare qualcosa e che, a parte quello che devono dare ai figli affinché riescano a barcamenarsi in un mondo molto peggiore del loro di qualche decennio fa, vogliono evitare che l’inflazione, dovuta non solo al petrolio che sale ma anche all’allegra emissione di moneta debito, corroda anno dopo anno i loro risparmi. I risparmiatori hanno dapprima, coscientemente o no, favorito l’abnorme colata di cemento che ha ricoperto i luoghi più ameni della penisola, investendo nel mattone, unendosi a quanti negli ultimi anni, grazie al denaro facile graziosamente offerto dalle banche, hanno creduto di potersi fare la casa di proprietà con gli stessi soldi dell’affitto. Crollata negli USA, e ridimensionata qui da noi, questa forma di investimento o di debito, con pesanti perdite finanziarie, gli stessi risparmiatori si ritrovano col problema di prima, ma molto peggiorato: un’inflazione in continua ascesa.

Si ripropone allora il problema di come salvare i propri soldi, sfuggiti alle ganasce di fisco, enti locali, multe e compagnia grama. Bruciati dagli investimenti immobiliari e, peggio ancora, da quelli della finanza pura, eterea, strutturata, con tutti i suoi alambicchi di leverage, derivati, swap etc., si scopre che “solido è bello” e ci si sposta sulle commodities: beni concreti, finalmente. Cresce la domanda e cresce il loro prezzo, come è ovvio se l’offerta rimane fissa. Chi non se la sente di operare in proprio nell’oceano tempestoso delle borse mondiali, si affida a fondi d’investimento (solo per accorgersi, quando magari è tardi, che col faidate forse avrebbe spuntato risultati migliori).  

Ecco allora spuntare lo spettro, la marchiatura di “speculatori”. Insomma, speculatore diventa anche chi cerca di difendere i propri sudati quattrini, prima dagli eserciti di rapinatori istituzionali, con le tasse che arrivano al 46%, più sanzioni sproporzionate al reddito medio dei cittadini italiani; e poi da un’inflazione reale che viaggia intorno al 10%.

 Chi bolla queste persone di speculazione evidentemente non si accorge che la vera speculazione è quella delle tasse e del sistema bancario, cui buona parte delle tasse vanno a finire. Ma speculatori sono anche i petrolieri nostrani, che caricano il prezzo di benzina e gasolio quando il prezzo del petrolio aumenta, infischiandosene che lo si paga in dollari, in continua svalutazione rispetto all’euro. E speculatore è lo Stato che si aggiunge massicciamente a questa speculazione, caricandoci sopra il 66% di imposte. Proposte da parte del governo tante, fatti concreti sulla detassazione perlomeno degli aumenti della benzina, zero. Troppo preso a discutere del lodo Alfano, della legge blocca-processi, della penalizzazione delle intercettazioni. Problemi enormemente più gravi e urgenti, ma per una persona sola. E nonostante l’evidenza, questi paggi del sultano si affannano a difendere in TV l’indifendibile. Ma avevo promesso di non parlarne, quindi torniamo al punto.

Da più parti si punta il dito contro il meccanismo dei futures, che permettono di puntare al rialzo o al ribasso di determinate merci con una minima copertura liquida; motivo per cui oltre il 90% delle transazioni non si conclude con lo scambio delle presunte merci di cui si prenota l’acquisto o la vendita a mesi di distanza. Questo è innegabile. Ma allora, di chi è la colpa: delle regole che lo permettono o di chi se ne avvantaggia? Ma governi, Consob, authorities e chi più ne ha più ne metta, cosa sono lì a fare? Perché non cambiano queste regole, se sono inique? Se una legge permettesse di rubare o di compiere impunemente qualche crimine, certo sarebbe colpevole chi ne approfitta, ma assai di più il governo o le autorità preposte, inerti o, peggio, conniventi.

In conclusione, se uno, per vincere o attenuare gli effetti dell’inflazione, acquista dell’oro, cos’è, uno speculatore? Certo lo è chi fa incetta di beni indispensabili, come il grano, il riso, la pasta etc., determinando il triste mercato della borsa nera. E per questo reato c’è già una legge che lo proibisce. Ma chi investe i suoi soldi in oro, chi compra azioni petrolifere, a parer mio non è uno speculatore, ma una persona che tenta saggiamente di non veder polverizzati, per colpe altrui, quanto s’era messo da parte. In ogni caso, corre dei rischi, in primis il crollo repentino, sempre in agguato, delle quotazioni, pagando in prima persona. Speculatori, anzi peggio, sono invece quei grandi manager, alla Tronchetti Provera, che con minimi capitali propri, e forse neanche quelli, si acquistano una società, la portano sull’orlo della bancarotta e se ne escono carichi di stock options e buonuscite, alla faccia di tutti quei piccoli risparmiatori che avevano investito in quell’azienda, per poi ritrovarsi con un pugno di mosche. Un esercizio, questo, che ha impegnato un manipolo di delinquenti finanziari soprattutto a Wall Street negli ultimi anni e che ora se la spassano, se l’FBI non li arresta prima, in qualche isola tropicale. Ma quelli, più che speculatori, sono truffatori, delinquenti. E le leggi per ammanettarli a quanto pare ci sono; almeno negli USA.  

In sostanza, oggi i nostri soldi ce li dobbiamo guadagnare almeno due volte: dapprima col lavoro e poi, depurati da tasse e rapine varie, “speculando” in qualche modo e a nostro rischio per salvarli dalla tassa occulta dell’inflazione. Ben diversamente dalle grandi banche, che il rischio non l’hanno tenuto per sé, ma l’hanno impacchettato e distribuito al mondo intero, anche a quelli che oggi si vorrebbe etichettare come speculatori.

Nella corsa del petrolio, c’è almeno un risvolto positivo: persino gli americani si stanno dando una regolata nell’uso dell’automobile, nell’aria condizionata a manetta, nello spreco di elettricità; e le grandi case automobilistiche hanno chiuso, finalmente, le linee dei pickups e dei SUV. Insomma, la recessione è riuscita a indurre i consumatori a fare ciò che i governi non osavano imporre, per non perdere voti. E anche noi stiamo cominciando a usare di più i mezzi pubblici, a scegliere auto parsimoniose, ecc. Consoliamoci almeno con questo, anche se è poco rispetto ai consumi dei Paesi asiatici, che di ambiente hanno solo sentito parlare nei vari summit sul riscaldamento climatico.

 

Marco Giacinto Pellifroni                13 luglio 2008