![]() versione stampabile SPECULAZIONE?
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Innanzitutto voglio scusarmi col
Cavaliere se in queste righe mi permetterò di non occuparmi dei suoi
problemi giudiziari, ma penso che basti la messe di notizie sfornate da
stampa e TV. Tratterò invece di una parola che in questi giorni ricorre
un po’ dovunque sull’onda dei continui rialzi del petrolio:
speculazione. |
Per quanto concerne la speculazione sul petrolio i pareri sono schierati
su sue posizioni contrapposte: c’è che dice la lievitazione del prezzo
del greggio esser dovuta alla sua quantità finita e al recente o
prossimo raggiungimento del picco di estrazione (ossia la sua punta
massima, cui segue l’inevitabile curva discendente);e
c’è chi dice, al contrario, le riserve essere tuttora abbondanti e la
corsa dei prezzi essere dovuta a pura macchinazione di biechi
speculatori. Un vibrante articolo a firma Rosanna Sapori, apparso sul
sito dei consumatori
www.adusbef.it, invoca l’istituzione del
reato penale di speculazione per chi “provoca fame e recessione”.
Ora, io, senza la pretesa di avere la verità in tasca, anche perché,
come tutti, non ho accesso ai dati reali e devo basarmi su quello che
leggo, propendo di più per la prima posizione, in quanto non esistono
beni inesauribili, se non, almeno per qualche miliardo di anni, la luce
del sole. E il petrolio, al pari di tutte le altre materie prime, non fa
eccezione; e più se ne estrae, peggiore è la qualità del residuo, con
costi sempre maggiori di raffinazione: si pensi alle sabbie bituminose,
di cui era impensabile pensare alla raffinazione sino a poco tempo fa.
Detto questo, entriamo nel vasto mondo delle persone normali, specie
nella parte più avanzata della loro vita: persone che hanno avuto la
fortuna di risparmiare qualcosa e che, a parte quello che devono dare ai
figli affinché riescano a barcamenarsi in un mondo molto peggiore del
loro di qualche decennio fa, vogliono evitare che l’inflazione, dovuta
non solo al petrolio che sale ma anche all’allegra emissione di moneta
debito, corroda anno dopo anno i loro risparmi. I risparmiatori hanno
dapprima, coscientemente o no, favorito l’abnorme colata di cemento che
ha ricoperto i luoghi più ameni della penisola, investendo nel mattone,
unendosi a quanti negli ultimi anni, grazie al denaro facile
graziosamente offerto dalle banche, hanno creduto di potersi fare la
casa di proprietà con gli stessi soldi dell’affitto. Crollata negli USA,
e ridimensionata qui da noi, questa forma di investimento o di debito,
con pesanti perdite finanziarie, gli stessi risparmiatori si ritrovano
col problema di prima, ma molto peggiorato: un’inflazione in continua
ascesa. Si ripropone allora il problema di come salvare i propri soldi, sfuggiti alle ganasce di fisco, enti locali, multe e compagnia grama. Bruciati dagli investimenti immobiliari e, peggio ancora, da quelli della finanza pura, eterea, strutturata, con tutti i suoi alambicchi di leverage, derivati, swap etc., si scopre che “solido è bello” e ci si sposta sulle commodities: beni concreti, finalmente. Cresce la domanda e cresce il loro prezzo, come è ovvio se l’offerta rimane fissa. Chi non se la sente di operare in proprio nell’oceano tempestoso delle borse mondiali, si affida a fondi d’investimento (solo per accorgersi, quando magari è tardi, che col faidate forse avrebbe spuntato risultati migliori). |
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Ecco allora spuntare lo spettro, la marchiatura di “speculatori”. Insomma, speculatore diventa anche chi cerca di difendere i propri sudati quattrini, prima dagli eserciti di rapinatori istituzionali, con le tasse che arrivano al 46%, più sanzioni sproporzionate al reddito medio dei cittadini italiani; e poi da un’inflazione reale che viaggia intorno al 10%. |
Da più parti si punta il dito contro il meccanismo dei futures, che permettono di puntare al rialzo o al ribasso di
determinate merci con una minima copertura liquida; motivo per cui oltre
il 90% delle transazioni non si conclude con lo scambio delle presunte
merci di cui si prenota l’acquisto o la vendita a mesi di distanza.
Questo è innegabile. Ma allora, di chi è la colpa: delle regole che lo
permettono o di chi se ne avvantaggia? Ma governi, Consob,
authorities e chi più ne ha
più ne metta, cosa sono lì a fare? Perché non cambiano queste regole, se
sono inique? Se una legge permettesse di rubare o di compiere
impunemente qualche crimine, certo sarebbe colpevole chi ne approfitta,
ma assai di più il governo o le autorità preposte, inerti o, peggio,
conniventi.
In conclusione, se uno, per vincere o attenuare gli effetti
dell’inflazione, acquista dell’oro, cos’è, uno speculatore? Certo lo è
chi fa incetta di beni indispensabili, come il grano, il riso, la pasta
etc., determinando il triste mercato della borsa nera. E per questo
reato c’è già una legge che lo proibisce. Ma chi investe i suoi soldi in
oro, chi compra azioni petrolifere, a parer mio non è uno speculatore,
ma una persona che tenta saggiamente di non veder polverizzati, per
colpe altrui, quanto s’era messo da parte. In ogni caso, corre dei
rischi, in primis il crollo repentino, sempre in agguato, delle
quotazioni, pagando in prima persona. Speculatori, anzi peggio, sono
invece quei grandi manager, alla Tronchetti Provera, che con minimi
capitali propri, e forse neanche quelli, si acquistano una società, la
portano sull’orlo della bancarotta e se ne escono carichi di
stock options e buonuscite,
alla faccia di tutti quei piccoli risparmiatori che avevano investito in
quell’azienda, per poi ritrovarsi con un pugno di mosche. Un esercizio,
questo, che ha impegnato un manipolo di delinquenti finanziari
soprattutto a Wall Street negli ultimi anni e che ora se la spassano, se
l’FBI non li arresta prima, in qualche isola tropicale. Ma quelli, più
che speculatori, sono truffatori, delinquenti. E le leggi per
ammanettarli a quanto pare ci sono; almeno negli USA.
In sostanza, oggi i nostri soldi ce li dobbiamo guadagnare almeno due
volte: dapprima col lavoro e poi, depurati da tasse e rapine varie,
“speculando” in qualche modo e a nostro rischio per salvarli dalla tassa
occulta dell’inflazione. Ben diversamente dalle grandi banche, che il
rischio non l’hanno tenuto per sé, ma l’hanno impacchettato e
distribuito al mondo intero, anche a quelli che oggi si vorrebbe
etichettare come speculatori.
Nella corsa del petrolio, c’è almeno un risvolto positivo: persino gli
americani si stanno dando una regolata nell’uso dell’automobile,
nell’aria condizionata a manetta, nello spreco di elettricità; e le
grandi case automobilistiche hanno chiuso, finalmente, le linee dei
pickups e dei SUV. Insomma, la recessione è riuscita a indurre i
consumatori a fare ciò che i governi non osavano imporre, per non
perdere voti. E anche noi stiamo cominciando a usare di più i mezzi
pubblici, a scegliere auto parsimoniose, ecc. Consoliamoci almeno con
questo, anche se è poco rispetto ai consumi dei Paesi asiatici, che di
ambiente hanno solo sentito parlare nei vari summit sul riscaldamento
climatico.
Marco Giacinto Pellifroni
13 luglio 2008
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