Ricordi ora, Signora
Garelli, quando ti ho riconosciuto in occasione delle tue nozze e ho
potuto finalmente
consegnarti l’abbraccio e il
bacio che tua madre mi aveva affidato
per te prima del suo martirio?
Quel mattino del
giorno dei Santi
1944, in una cella del cortile della
fortezza del Priamar, ad uno ad uno
mi siete venuti incontro, storditi da
una notte insonne, con l’illusione di
udire da me - prelevato dal Duomo
con un comando imperioso - che
come sacerdote avevate richiesto ai
vostri carnefici, una buona nuova,
forse quella di una dilazione della
vostra condanna o addirittura della
vostra liberazione, mentre ho dovuto
convincervi della triste realtà che
vi attendeva. Un sedicente tribunale
speciale vi aveva condannato a
morte come ribelli, come traditori
della patria!
Soltanto la Fede ha
potuto suggerirmi
le parole adatte al terribile
annuncio della suprema ingiustizia
che verso di voi veniva perpetrata.
Alla carica della mia
povera umanità,
che pur si sforzava di immedesimarsi
della vostra tragedia, venne
incontro la Festa dei Santi che in
quel giorno la Chiesa celebrava. Mi
suggerì di dirvi con tutta semplicità,
ma con accenti di suprema verità,
che quello era il giorno in cui voi vi
sareste incontrati con i santi, i nostri
fratelli maggiori, molti dei quali
subirono incomprensioni e ingiustizie,
ma che ora erano fuori dalla lotta,
nel regno della verità, dove finalmente
era chiara la loro posizione,
non di vinti ma di vittoriosi. Avete
accolto la mia voce accorata, mi
avete confidato i segreti più profondi
del vostro cuore, avete pianto tra
le mie braccia!
Nelle Parrocchie dove
ho svolto da
allora il mio ministero, ogni anno,
nell’anniversario della liberazione,
ho letto le vostre ultime volontà che
mi lasciaste come testamento spirituale
per i vostri cari.
Dopo il vostro
incontro personale, ci
siamo trovati insieme in un’altra
angusta cella per celebrare il
Banchetto della fede. Con mano tremante
e cuore commosso vi ho consegnato, come Viatico
nell’Eucaristia, il Pane dei forti
come si faceva per i primi martiri della chiesa. E forti vi dimostraste
perché mi chiedeste di accompagnarvi
io stesso al plotone di esecuzione:
ed io ottenni che nessun
comando vi venisse da altri. Mentre
davanti a voi procedevo, pensavo
intensamente alla “Via Crucis” di
Gesù Cristo. Vi ricordate quando ci
soffermammo, in quella brumosa e
gelida mattinata, dinanzi al fuoco
che alcuni operai del cantiere avevano
acceso nei pressi, quasi a riprendere
lena e coraggio? E quando i
vostri aguzzini, a voi che vi eravate
seduti sulla panca fatale con petto di
fronte al plotone di esecuzione, gridarono
di porgere la schiena come si
conviene ai traditori, io vi chiesi di
voltarvi volontariamente affermando
che nessuno e nessuna cosa
avrebbe potuto togliervi il titolo di
eroi, e mi avete obbedito!
Fu a questo punto che
mi avete chiamato
per l’ultimo abbraccio.
E quando ormai tutto
era pronto e si
sentivano gli ordini secchi per la scarica,
vi siete d’impeto alzati e mi
avete richiamato per consegnarmi i
vostri soprabiti, perché dicevate che
le pallottole avrebbero più presto
compiuto l’opera loro!
Ricordo il fragore
sordo della scarica,
ricordo i colpi supplementari per
abbattervi definitivamente, ricordo
la mia corsa convulsa per segnare
sulle vostre fronti il segno di Cristo
che salva.
E quando giaceste
inerti e le bare precedentemente
preparate furono portate
presso di voi, a vostro nome
respinsi l’aiuto dei vostri carnefici
che non volli toccassero i vostri
corpi straziati e col solo ausilio di un
necroforo vi adagiai amorosamente
in esse avvolti negli indumenti che
voi stessi mi avevate consegnato.
Ho parlato infine con
i vostri esecutori,
ho chiesto di poter firmare
l’Atto della vostra morte…Ricevetti, in una risposta ringhiosa,
la certezza che verso di voi era stata
consumata una vera, disumana
nequizia.
Tutti gli anni, nel
giorno dei Santi,
nelle omelie ai fedeli durante il
sacrificio della messa offerta per
voi, vi commemoro e vi chiamo “i
miei santi”!
Don Mario
Frumento
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