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BANCHE ALLA SBARRA

Marco Giacinto Pellifroni

Dunque, la Procura di Savona non ha scelto di adottare il comportamento di benevola sonnolenza che ha in buona parte contraddistinto sinora l’attività di altre Procure di fronte alle denunce di tanti cittadini che ad esse si erano rivolti per essere risarciti dei soprusi subiti dalle banche. Il casus belli è stato, in questo caso, la disinvolta applicazione della Commissione di Massimo Scoperto (CMS), nonostante la sua dubbia liceità, ma soprattutto la sua pretesa esclusione dal calcolo degli interessi per determinarne l’eventuale natura usuraria.
Che la CMS sia, di per sé, una “gabella” discutibile balza evidente se si entra nel merito: quando la banca concede un fido, oltre agli interessi convenuti si applica una percentuale extra calcolata sulla punta massima di utilizzo del fido stesso.

In base a quale logica si sia instaurata questa prassi risulta arduo comprendere; un po’ come il famigerato 20% che le società telefoniche applicavano ad ogni ricarica dei telefonini, messo poi fuori legge dal decreto Bersani. Un decreto che ha tentato, senza riuscirvi, di eliminare anche la CMS. Missione impossibile, specie quando al timone del governo stava una “giunta bancaria” come quella retta da Prodi, Padoa-Schioppa & Co.

Ma, anche se la CMS rende annualmente alle banche fior di miliardi, non si tratta comunque del male peggiore: se solleviamo il coperchio, ci accorgiamo trattarsi del vaso di Pandora. Saltando a piè pari altri “mali minori”, come l’anatocismo o le irragionevoli provvigioni dei fondi d’investimento, che hanno performance perlopiù peggiori di qualsiasi faidate, il male più grave è rappresentato certamente dal fatto che le banche prestano ciò che non hanno, e quindi chiedono un interesse, quale che sia, assolutamente non dovuto, oltre a pretendere la restituzione di ciò che in realtà non hanno dato. Quello che potrebbero al massimo chiedere è il pagamento dei servizi che offrono ai cittadini sotto svariate forme, al pari di qualsiasi altro ufficio. Al contrario, la concessione di prestiti senza un’adeguata copertura è un compito che può arrogarsi soltanto lo Stato, che vanta come garanzia la ricchezza, presente e futura, dei suoi cittadini; non certo una lobby privata i cui prestiti equivalgono all’emissione di assegni a vuoto. Eppure, questa autorità monetaria è stata usurpata secoli fa; e gli usurpatori si comportano con la sicumera di chi ha in pugno il destino di un’intera nazione, grazie alla presunta proprietà della sua moneta.

Detto questo, torniamo alla CMS. Le banche si fanno forza di una circolare di Bankitalia SpA che ne autorizza la pratica. Quello che rende assolutamente ridicola questa loro giustificazione è il fatto, incontestabile, anche se noto soltanto da una manciata d’anni, che Bankitalia è, appunto, una SpA e che i suoi azionisti, fatta eccezione per un 5% posseduto dall’INPS, sono, come accennato più sopra, proprio le banche su cui essa dovrebbe vigilare. Il tanto vituperato conflitto d’interessi di Berlusconi impallidisce di fronte a questo, se non altro per il fatto che penetra nel fondo delle nostre tasche, e vedremo come. Questo legame ombelicale è stato tenuto rigidamente segreto, per ovvi motivi, finché non è venuto alla luce come scoperta a latere in un’indagine condotta da Famiglia Cristiana nei primi anni di questo secolo.

Con il segreto veniva alla luce anche una grave trasgressione: quella allo Statuto della Banca “d’Italia” stessa (che d’Italia non è mai stata), laddove ne imponeva la proprietà esclusivamente pubblica. Come si poteva digerire il fatto che l’Istituto di vigilanza delle banche, l’Istituto di emissione del nostro denaro, l’Istituto di Diritto Pubblico che di tale appellativo si era sempre fregiato, continuasse imperterrito a svolgere la delicata mansione di sovranità monetaria, dopo che il bluff era stato smascherato, rivelando che i nostri soldi erano maneggiati da un club privato?

I governanti, tuttavia, erano troppo presi da altri problemi per occuparsi di una simile quisquilia. E Bankitalia poté così continuare indisturbata il suo conflittuale cammino. Finché qualcuno, forse Bankitalia stessa, a disagio per essere così platealmente fuorilegge, sollevò il problema e si decise di risolverlo. Come? Non già rendendo Bankitalia agli italiani, bensì modificando la norma dello Statuto, e rendendo così legittima la prassi di illegittimità sino allora seguita. Ciò avvenne il 16 dicembre 2006, pochi mesi dopo l’insediamento di Prodi al Governo e di Napolitano al Quirinale; ossia dei due firmatari del provvedimento di legittimazione. Si tenga presente che il Presidente della Repubblica è, o dovrebbe essere, il supremo custode della Costituzione: la quale sancisce la Repubblica essere fondata sul lavoro e ne attribuisce la sovranità al popolo.* Ora, è fuor di dubbio che la sovranità monetaria è la base su cui può prosperare o languire ogni attività della nazione, insomma il frutto del lavoro di tutti. Trasferendo questa sovranità dal popolo, e cioè dalla Repubblica, ad una lobby di banchieri privati, si violano in un sol colpo i due suddetti principi costituzionali: centralità del lavoro e sovranità popolare.

I guasti di questa abdicazione dei due Capi, dello Stato e del Governo, non si sono fatti attendere, grazie anche alla capitolazione di precedenti vertici istituzionali all’abbraccio soffocante della moneta unica europea: tagliata su misura per il marco tedesco, non già per la lira italiana. Oggi ci troviamo così ad essere governati da una “Repubblica delle Banche” **, le quali ultime si appropriano di tutta la ricchezza prodotta dal lavoro degli italiani, incassandola sotto forma di “prestiti”, definiti successivamente “debito pubblico”. E la BCE, dall’alto della sua torre, ci rimprovera per non essere abbastanza bravi a pagarle una media di 80 miliardi l’anno di interessi su foglietti colorati di varie pezzature denominati “euro”, stampati dalla sua tipografia e poi addebitatici come fosse oro colato. Che lavoro ha fatto la BCE per produrli? Nessuno. Che lavoro deve fare lo Stato italiano per ripagarli in Titoli del Tesoro? Quello di tutti gli italiani che lavorano per pagare le tasse, ossia i tassi sul debito pubblico che la BCE medesima, ossia la destinataria degli stessi, stabilisce a suo insindacabile arbitrio.

Ma forse una nuova stagione si sta aprendo; e finalmente nei tribunali i tipi in doppiopetto e cravatta, che hanno sinora folleggiato sul lavoro degli altri, ci sfileranno in misura maggiore di tanti poveracci che ci finiscono per motivi legati all’impossibilità di far fronte agli impegni con le banche: ieri per l’auto o una vacanza, oggi per beni di prima necessità, i cui prezzi galoppano ben più dei loro magri introiti. Non solo a Savona, ma anche a Milano, per non dire di New York, le banche non dormono più sonni tanto tranquilli. Ma non, si badi, grazie a provvedimenti legislativi (Berlusconi ha altre priorità per la testa), bensì a seguito di esposti e denunce di persone truffate.

Intanto, gli eurocrati di Francoforte, con Jean Claude Trichet in testa, frustano gli italiani a lavorare di più e senza aumenti salariali (quando in realtà salari e stipendi sono diminuiti o scomparsi, grazie alle porte aperte ai mercati asiatici), onde “combattere l’inflazione”. Insomma, se guadagna di più un operaio, un impiegato, un precario, ciò comporta inflazione. Se invece salgono le tasse (per pagare le banche) l’inflazione scende. Ingegnoso, no? Ma, per colpa di leggi varate da nostri governanti senza nessuna consultazione popolare, di fronte ai diktat dell’Eurotower possiamo solo “obbedire e tacere”. Un binomio che evoca tempi lontani; ma oggi, per giunta, il duce è straniero: francese germanizzato. E medita nuove strette monetarie, che ci sveneranno ancora di più, già dal prossimo mese. Il collasso della nazione per anemia non è così lontano.

  Marco Giacinto Pellifroni                29 giugno 2008

  

* Scrissi a Giorgio Napolitano una lettera nel gennaio 2007, per allertarlo su questo tema, ricevendo come risposta il silenzio.

** Elio Lannutti, “La Repubblica delle Banche”, Arianna Editrice, 2008, uscito in questi giorni.

 

P.S. Questo articolo era stato scritto per la pubblicazione su Trucioli del 29 giugno, ma ciò non fu possibile per un errore nella trasmissione in redazione via e-mail. Voglio qui aggiungere un commento a quanto successo nella settimana intercorsa, durante la quale Trichet ha alzato il tasso di sconto di un quarto di punto con la previsione di ulteriori rialzi. Auguri ai mutuatari.

Dal canto suo, Mario Draghi ha esortato il governo: (1) a ridurre il carico fiscale e (2) il debito pubblico. Due manovre di cui l’una esclude l’altra. Buona parte delle tasse, infatti, il governo le preleva proprio per ridurre il c.d. debito pubblico e per pagarne gli interessi (ossia per pagare le banche stesse, Bankitalia in testa). Draghi dovrebbe avere la pazienza di spiegarci come si possono fare entrambe le cose: pagare di meno e insieme pagare di più all’unico collettore dei nostri sudati risparmi: la cupola bancaria.