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INFLAZIONE E RISPARMIO

 In tutti i Paesi del mondo –credo- l’avarizia

e l’ingiustizia dei principi e degli Stati sovrani,

abusando della fiducia dei sudditi, hanno

diminuito gradualmente la quantità reale di

metallo originariamente contenuta nelle

monete.

Adam Smith (La ricchezza delle nazioni, 1776)

     Marco Giacinto Pellifroni


 

Nelle sue Confessioni, sant’Agostino esclama, a proposito del concetto di tempo: “Se nessuno me lo chiede, so cos’è; ma, se me lo si domanda, ne perdo la nozione”.

Forse la stessa riflessione dovrebbe valere per l’inflazione, che incide sulla vita di noi tutti assai più di un astratto concetto filosofico. Eppure, la citazione di Smith ne fornisce una lampante visualizzazione, alla portata di tutti. Anche se, dopo di lui, il metallo ha ceduto il posto alla carta, prima, e ai numeri su un computer, poi.

Inflazione è, per molti, semplicemente l’aumento dei prezzi. Ma la domanda che viene subito dopo è: quale ne è, o ne sono, le cause? Le risposte cominciano a divergere: alcuni diranno che la causa prima è l’eccesso di moneta in circolazione, che deprime il potere d’acquisto dell’unità monetaria, nel nostro caso l’euro. A maggior ragione sosterrà questa versione un nostro cugino americano, vista la prodigalità con cui la sua banca centrale (Fed) s’è data a stampare (o digitare) dollari, specialmente nell’ultimo anno. Quindi, più soldi nelle tasche dovrebbero tradursi in maggior propensione al consumo, maggior domanda e prezzi in salita.

Ma, fermi tutti, le banche centrali stampano a rotta di collo, quelle commerciali prestano enormi quantità di moneta scritturale ed elettronica grazie ad una risibile riserva frazionaria, il che dovrebbe tradursi in consumatori zeppi di soldi e propensi alla spesa. Invece, tutt’al contrario, i soldi in tasca sono sempre meno, e ciononostante i prezzi, specie dei generi di prima necessità, non cessano di crescere.

Qualche mano si alza e dichiara che la colpa è del petrolio e delle materie prime, preda di una speculazione internazionale, col conseguente rincaro di ogni altra merce, per cui propugna (Tremonti in testa, con la sua Robin Hood tax) una tassazione di petrolieri e multinazionali agro-alimentari; tesi contrastata da chi sostiene che è la diminuzione delle riserve naturali la causa prima del loro rincaro. Ma uno ribatte che dire che sale il petrolio o che cala il dollaro è la stessa cosa, visto che l’uno può esprimersi in funzione dell’altro; tant’è che se esprimiamo il prezzo del petrolio in grammi od once d’oro, non ci sono questi grandi cambiamenti. Qualcun altro ribatte che il maggior responsabile della scarsa capacità di spesa sia l’ancoraggio dei redditi fissi (stipendi, salari, pensioni) al vecchio cambio della lira, mentre l’euro è rimasto idealmente ancorato al vecchio marco tedesco. Altri ancora obiettano che il maggior responsabile sia il prelievo fiscale, contributivo, sanzionatorio; quest’ultimo per la crescente impossibilità di conformarsi a un groviglio di norme emesse da una pletora di enti impositori ormai fuori controllo. A questo punto non si capisce bene se siamo in inflazione o deflazione; c’è chi lo definisce un mix, e lo chiama stagflazione. In aggiunta a tutte queste plausibili cause ci sono i calcoli degli economisti che, in ossequio a modelli matematici, formulano complesse equazioni che pretendono tener conto di tutti i suddetti fattori, più altri partoriti dalle loro fervide menti.

Quello che sfugge un po’ a tutti è che l’economia è una disciplina “indisciplinata”, in quanto non è una scienza esatta; e non lo è perché dipende in misura preponderante dalla psicologia umana. Infatti, i mercati, ossia l’espressione concreta dell’attività economica, sono dominati da due sentimenti squisitamente umani e soggettivi: l’avidità e la paura.

Due sentimenti contrastanti e coesistenti in miliardi di cervelli, che si sommano in ogni istante in quella che è la quotazione del momento di ogni singolo bene, in forma diretta o tramite le imprese che lo estraggono o coltivano, lo lavorano, lo immettono sui mercati.

Adam Smith
L’avidità porta a premere sull’acceleratore, la paura sul freno. In ogni istante nel mondo miliardi di piedi premono simbolicamente sull’uno o sull’altro pedale, e l’ingordigia di John viene soddisfatta dalla paura di Rossi o di Mustafà, che gli cede ciò in cui comincia a credere meno, vendendolo ai primi declini. Le borse sono una continua scommessa sul futuro in base a sentimenti presenti e plasmati da fatti, notizie, rumor, veri o falsi. Ma è soprattutto sulle indiscrezioni o presunte tali (rumor) che, quasi fossero sfere di cristallo, si prendono le decisioni di acquisto o di vendita.

Le borse sono il monitor dei sentiment della gente, includendovi anche i trader professionisti: anch’essi teste pensanti né più né meno dei loro clienti, con l’asserito vantaggio di godere di notizie immediate e/o riservate, che anticipano i movimenti delle quotazioni successive, magari grazie a un insider trading. In borsa si cerca di giocare d’anticipo, spiazzando gli avversari, ossia tutti gli “altri”, vista come una massa becera (parco buoi) che arriva quando i giochi sono già fatti, con ciò esponendosi a vistose quanto improvvise ritirate dei primi arrivati. Così sono i futures, ossia i pronostici di qui a qualche mese, a determinare i corsi odierni delle azioni, nonostante il 95% di queste operazioni non si concludano, alla fine, con uno scambio effettivo di merci, sui cui prezzi al consumo, tuttavia, incidono in misura determinante.

Sullo sfondo di questo gioco al massacro crescono le bolle speculative, che nascono quando le banche centrali, per rimediare allo scoppio di una bolla precedente, magari sulla scia di eventi traumatici, ne innescano una nuova mediante la distribuzione di denaro facile, creato senza alcuna garanzia che non sia quella della corrispondente perdita di potere d’acquisto da parte di tutti i cittadini, in primis la maggioranza che non ha partecipato al gioco ma che ne subisce tutte le conseguenze in termini di capacità di spesa. Questa ingente fabbricazione di fiat money equivale al prelievo di altrettanto denaro dalle tasche dei cittadini a reddito fisso e/o di quelli che, per non correre rischi, hanno preferito depositare i loro risparmi in obbligazioni, BTP, ecc., a tassi ovviamente ben inferiori all’inflazione reale. Quanti vogliono sottrarsi a questo prelievo inflazionistico usano il surplus di denaro per speculare in borsa, contribuendo, appunto, al nascere e crescere, e infine allo scoppiare, delle bolle, quando la paura ha il sopravvento sull’ingordigia.

Le creatrici primarie delle bolle sono dunque le banche centrali, quei templi della finanza che parlano in termini incomprensibili ai più, come ai tempi delle messe in latino, per ammantare di arcano ed accessibile ai soli chierici le loro formule, che pretendono essere matematiche, ma in realtà sono psicologiche, in quanto partorite da, e destinate a, menti umane.   

“Circolano sulle banche centrali molti luoghi comuni […] ma forse il più grossolano di tutti è che esse governino i prezzi e l’economia tramite l'aumento o l'abbassamento lungimirante del tasso ufficiale di sconto.

Nessuna formula può calcolare il tasso d'interesse, perché i tre addendi che ne formano il valore sono legati alle umane pretese di colui che deve prestare e alle umane attese di colui che riceve il prestito. Queste componenti sono:

·  il rischio di non rivedere, dopo il tempo pattuito, né il prestito né l'interesse

·  la perdita di potere d'acquisto durante il tempo pattuito

·  il premio alla rinuncia alla disponibilità di oggi per la disponibilità dopo il tempo pattuito, cioè a dire la preferenza temporale.

Questi tre valori, sono maggiori di zero per definizione e uguali a zero solo per i santi. Essi sono calcolabili solo mediante un giudizio da parte delle due parti coinvolte. Infatti nell'epoca del supercalcolo a bassissimo costo (e a minimo ingombro…), le migliaia di miliardi di sofferenze ogni anno, indicano che non esistono algoritmi statistici che possano sostituirsi al giudizio imprenditoriale elaborato dal prestatore sul prenditore. Inoltre, in questa stessa epoca di statistica statale dei prezzi, anche con i più avanzati software ad apprendimento non parametrico, non è possibile prevedere il potere d’acquisto della moneta, ed è necessario che prenditore e prestatore ne stimino personalmente l’andamento futuro. Infine, la preferenza temporale, la più importante e la più sconosciuta dei tre elementi del tasso d’interesse, non può, per definizione, che essere personale.” (*)

Ergo, nessun computer, e a maggior ragione nessuna banca centrale, è in grado di sostituirsi ai pronostici sul futuro da parte di cervelli pensanti, in un entanglement (groviglio) tra cause ed effetti che non è possibile dipanare in base alla semplice constatazione che il futuro può anche essere previsto se gli oggetti d’indagine sono inanimati, ma ogni previsione è da escludere se la presunta conoscenza del futuro diventa possesso di chi, in base a tale conoscenza, può agire per modificarlo. La borsa “valori” ne è l’esempio più lampante, in quanto i suoi “valori” mutano ad ogni istante in base a quanto i suoi attori  presumono muteranno in futuro, cercando di attualizzarlo.

Tutto quanto sin qui detto implica che quanti non vogliono, fermo restando il sistema vigente, vedere i loro risparmi sgretolarsi giorno dopo giorno, sono costretti a entrare nel gioco, a puntare sui titoli che immaginano più promettenti, per cavalcare l’onda montante dell’inflazione, col rischio costante di restare travolti dall’onda di riflusso, che può falcidiare quanto scommesso con velocità pari o superiore all’onda in salita, a causa di una qualsiasi notizia o dichiarazione autorevole proveniente da qualsiasi parte di questa economia globale. Non miglior sorte è riservata a quanti hanno puntato su investimenti in solido, come una casa, vittima essa pure del crollo di valore dovuto ad un eccesso di offerta, a sua volta dovuto a previsioni troppo ottimistiche da parte dei costruttori edili. Evidentemente, il crollo del 1992 non ha insegnato niente a nessuno, se non che i valori degli immobili crescono, sì, nel tempo, ma ad intervalli magari di decenni; mentre la durata della vita umana è quella che è.

“Fermate il mondo, voglio scendere” recitava un musical anni addietro. Non è mai stato possibile, e oggi meno che mai. Nel suo stile roboante, Mussolini declamava: “Se avanzo seguitemi, se mi fermo lasciatemi, se indietreggio uccidetemi”. Il triste è che l’avanzamento forzato è verso il disastro economico ed ecologico; e quindi sarebbe da variare la formula in questi termini: “Se avanzo uccidetemi, prima che l’avanzamento uccida anche voi.”

 Marco Giacinto Pellifroni                                           8 giugno 2008

  

(*) Alessandro Catanzano, “La leggenda del santo bevitore”, su: http://www.finanzacomportamentale.it/usemlab0000013.html