versione stampabile

L' adultera

Sergio Giuliani


Giuseppe Conte  

Con una regolarità che testimonia la sua fede (e la sua fiducia) nella comunicazione scritta di alto livello e nei valori della cultura, Giuseppe Conte, che alterna ottimo dire poetico ad ottimo e sicuro ritmo prosastico, affida a noi lettori il suo romanzo “L’adultera”, testè uscito per le cure della casa editrice Longanesi.

Come accaduto da anni, i romanzi dello scrittore imperiese si leggono, meravigliati, tutti d’un fiato, attratti dalla sapiente mèscida di contemporaneità e di fantasia, quest’ultima validamente sospesa a una tramatura storica che sa essere , al tempo stesso, solidissima ed incantata.

Tutti i suoi romanzi albergano nella assetata curiosità di Conte, studioso ed entusiasta di suggestivi ed importanti nodi storici; ultimi in ordine di tempo la morte di Shelley, la tratta dei negri, il “celtismo” di Cornovaglia. Sempre il primo scatto alla composizione assai complessa di un romanzo muove da un sentiero culturale approfondito per studio e sentito con la “passione” necessario ingrediente, e primo, per la sicura fondazione dell’architettura e della struttura romanzesca.

Questo lavoro che precede la scrittura vera e propria, a livello di una fantasia sorvegliata e corretta sempre dalla sapienza è la garanzia che si ritrova nel prodotto: libri, come  “L’adultera” che si leggono d’un fiato e un poco stupiti per come sempre la suggestione funziona ed ammalia.

Il lettore – ancora ne esistono – stuccato dalle strategie del libro soltanto commerciale e massmediatico si riposa nel flusso avvolgente della narrazione magistralmente condotta e sorprendente per bravura di controllo delle emozioni, di scenari risentiti con accortezza e di moderno, vorrei dire spregiudicato, teatro di sentimenti, d’allora e di ora, senza fratture temporali. Pare di entrare nella “Notre Dame” di Hugo per sicurezza suggestiva del dire di storia, ma siamo di fronte al personaggio più compiuto, non più apparizione fra e con altri, nota del coro, ma protagonista a tutto tondo.

“Gerusalè” è una donna del nostro, di tutti i tempi, squassata piacevolmente e rovinosamente dall’amore come ci hanno detto, da secoli, i versi scheggiati di Saffo. Mi ricorre alla mente una definizione di Baudelaire ripresa da Flaiano:”La voluttà unica e suprema dell’amore risiede nella certezza di operare il male” e, leggendo il romanzo, mi sono chiesto se e fino a che punto l’adultera sia consapevole di far “peccato”, concetto molto impreciso per lei che è nata e vive libera come un mare (quanto è vasto,il mare,nello scrivere di Conte: quello delle pagine descrittive di “Equinozio d’autunno”, quello indiano de “Il ragazzo che parlava col sole”, quello navigato da “Il terzo ufficiale” e quello massimamente adorato e sentito da Shelley-“Serpente” ne “La casa delle onde”!)  che s’alza e riposa da nient’altro animato se non da libero e fisico giostrar di venti.                                                                    

E la parola del “Maestro” (“Non peccare più”) per lei è minacciosa e scarsamente possibile. Amare è il respiro, è la verità dell’esser nati: una vita dove amore non scuota le sartie della “curbita” romana fino a schiantarle è impossibile,contro natura.

“Gerusalè” è sempre autentica: quando s’innamora del giovane pescatore, quando si lascia maritare all’uomo ricco e posato, quando rifiuta di cedere al mascalzone amico del marito, quando ama, irriducibilmente, il centurione Lucio e, dopo la tragedia della morte di lui, a Roma,il bibliotecario Fedro.

Fedele, dunque, ad un solo amore, il mare,amore non estetico, ma voluttuoso (’”Esterina”, la ragazza tuffatrice di Montale si “abbatte tra le braccia/del suo divino amico che l’afferra.”) e pieno, ricercato per una vita intera nel corpo di ogni uomo.

Giuseppe Conte ha creato una figura di donna indimenticabile; schiava assoluta della propria…libertà, e non sembri un calembour! Capace com’è di lavorare le infinite possibilità di una lingua ricchissima come l’italiano per descrivere, ovvero portare alla luce della coscienza che sa il gran nodo di sensiblerie di cui sono costituite le grandi anime, ha perseguito, non inventato, come si legge in tanta, troppa letteratura di comodo, la creazione di un personaggio a tutto tondo, senza nulla mai interdire, degli essenziali deuteragonisti e dell’ambiente storico, il primo secolo dopo Cristo, quello del nascente scontro-incontro tra cristianesimo e impero, toccato con sapiente leggerezza di uomo colto e studioso e di viaggiatore sempre incuriosito e mai “turista”. (i turisti viaggiano assai meno anche dei sedentari!). La Gerusalemme, quinta di molta parte del romanzo, par di toccarla .

Conte è affascinato dal nodo vitale dello scontro tra “L’impero e l’incanto”, come titola uno dei suoi esiti letterari più alti e convinti. Là il tema era la soppressione violenta del mondo mitico ad opera di una pratica alleanza (ma si era nel quarto secolo dopo Cristo) fra trono ed altare; qui domina l’anelito alla libertà, la vera dea cui Conte sacrifica in ogni sua opera, versi o prosa che sia, del mondo ebraico, benissimo ricostruito nel suo ribellismo (Zeloti, Qumran e, soprattutto, Cristo) all’ottusa e soltanto pratica conquista romana, ovvero l’Atene di Tucidide che stermina i Melii).

Dal romanzo, oltre alla “perfetta” vicenda d’amore, matura anche una lezione per il presente: quando l’occupante ha paura, spesso perde il controllo di sé e compie massacri che rendono insanabili i contrasti e che avviano a una risoluzione soltanto crudele. E’ la lezione del vecchio Seneca che apre e chiude, anta di finestra, la storia raccontata e che ne piange, commosso. Piange le sofferenze della sua schiava e la sua prossima morte, per mano di un impero che ha perduto,e per sempre, il linguaggio del dialogo; si sente posseduto dal “nemico” cristiano e, con la crudeltà, affretta il proprio tracollo.

Giuseppe CONTE  “L’adultera”    Longanesi   € 16,60

Sergio Giuliani