versione stampabile

WANTED!

€URO CASH

    Marco Giacinto Pellifroni


 

I nostri governanti, quale che sia il loro colore partitico, si adoprano in ogni modo per reprimere la detenzione e l’uso di soldi in contanti e privilegiare l’uso di moneta scritturale ed elettronica (assegni, bonifici, carte di credito, ecc.). Questo pressing ha avuto un suo vistoso precedente nei primi anni Trenta, in piena recessione economica, quando il governo Roosevelt proibì ai cittadini di fare incetta di oro, considerato dalla gente l’unica forma di ricchezza affidabile, imponendo la sua consegna forzosa alle autorità monetarie, in cambio di dollari cartacei (pagandolo $ 20,67 l’oncia, per poi, a confisca avvenuta, alzarne la quotazione a $ 35!).

Oggi si sta, con minore perentorietà e quindi più gradualmente, perseguendo un analogo fine, osteggiando anno dopo anno l’uso e il possesso fisico di contanti, costringendo tutti i cittadini ad aprirsi un conto in banca, non potendo altrimenti eseguire le operazioni di pagamento di vari tributi e contributi, da farsi esclusivamente per via telematica, ossia attraverso il circuito bancario. Inoltre, dapprima si sono vietate operazioni in contanti agli sportelli in misura superiore a € 12.500. Poi, ultimo regalo del governo Prodi, si è ulteriormente ristretto l’importo a € 5000. per non dire dei limiti risibili, scesi da € 500 a € 100, per i pagamenti cash ai professionisti.

Le motivazioni ufficiali sono la lotta al terrorismo, al riciclaggio e all’evasione fiscale. In precedenti articoli, ho mostrato come terroristi, trafficanti e grandi evasori abbiano ben altri canali per far sparire i loro proventi illeciti che non gli sportelli delle banche commerciali: gli stessi canali usati per incanalare tangenti di politici e imprenditori, questi ultimi spesso vittime di concussione per necessità, onde non perdere appalti pubblici. E ho anche sottolineato come i governanti siano disturbati dal fatto che i contanti si possono occultare, sfuggendo, specie nei casi di nullatenenti, alle sempre più diffuse pratiche di pignoramento e sequestro a carico di chi con altrettanto crescente frequenza è costretto a violare leggi pletoriche e in gran parte inosservabili.

Un’ultima notizia di questi giorni sarà probabilmente usata per buttare ulteriore benzina sul fuoco, specie in un clima in cui si parla, ad nauseam, di sicurezza. La notizia riguarda un’indagine sulle rapine in banca, nel nostro e in altri Paesi dell’UE. Ne emerge un’Italia afflitta da rapine in misura grosso modo decupla che in Germania, Spagna, Francia. Un motivo in più per spingere verso lo zero l’uso e la detenzione di contanti. Il ragionamento è: se in banca di soldi non ce ne fossero più, che senso avrebbe rapinarla?

Questo sarebbe il sogno dei banchieri: non avere più quel fastidioso obbligo di tenere una riserva liquida a fronte dei loro prestiti, già oggi possibili, ma solo ufficialmente, in ragione di 50:1; ma soprattutto non avere l’obbligo di dover cedere contanti su richiesta da parte di clienti o di permuta di assegni da parte di loro creditori. Questo genere di eventi è talmente raro e minuscolo in termini percentuali da non costituire un problema oggi, ma potrebbe diventarlo nel caso di vistosi e ripetuti default da parte delle banche stesse: un pericolo sfiorato a partire dall’estate scorsa, e sinora evitato solo grazie a poderose iniezioni di “liquidità”, peraltro sottratta al sistema produttivo, da parte delle banche centrali. E sottolineo sinora, pensando ai clienti in coda davanti alle filiali della britannica Northern Rock lo scorso autunno.

La carta delle banconote, a differenza di oro e argento, ha un valore intrinseco vilissimo; ma costituisce comunque un documento fisico nelle mani di chi le possiede, pur rappresentando soltanto il 10% ca. del denaro in circolazione. A differenza del denaro virtuale creato dalle banche commerciali, però, la banconota è garantita dalla banca centrale e risulta più arduo moltiplicarla come i pani e i pesci della parabola evangelica (anche se i numeri che vi appaiono non sono di serie e non permettono un calcolo del totale messo in circolazione, come avveniva per la lira). Il denaro virtuale può invece godere di questo miracolo e pompare inflazione nel sistema monetario senza darlo troppo a vedere. Come?

Tizio chiede in prestito un milione di euro alla sua banca per costruire un impianto industriale. Detto fatto, la banca, pur non avendo in cassa che € 20.000, grazie al moltiplicatore finanziario permessogli per legge, concede il mutuo, diciamo decennale al 5% annuo di interesse, e chiede a Tizio garanzie ipotecarie sui suoi immobili per un valore doppio: 2 milioni.

La banca non ha ceduto niente, visto che non disponeva del capitale mutuato, se non in infima misura (e forse neppure quella), e quindi nulla ha rischiato; tuttavia, pretende dal mutuatario una garanzia reale e addirittura doppia della somma “prestata”. Questi usa il milione virtuale per pagare il costruttore dell’impianto, il quale lo deposita in un’altra banca, che considererà questo deposito come contante (!), in base al quale potrà concedere un mutuo a Caio, o a vari Cai, per 49 volte tanto: terrà a disposizione 1 milione virtuale e concederà mutui per 49 milioni, sempre con l’interesse del 5%. E così via, in una moltiplicazione effettiva di soldi virtuali, che le banche aggiungono al loro patrimonio (asset), più gli interessi.

Si dirà: è vero, la banca non ha prodotto ricchezza in prima persona, ma ha permesso a Tizio e ai vari Cai in cascata di produrla, stimolando così l’economia. Quindi è giusto che ne ricavi un interesse, in virtù del servizio prestato (il famoso “servizio del debito”, che echeggia sulle bocche dei nostri politici, quando il presunto debitore è lo Stato).

Questo sarebbe vero se la banca prestasse soldi che ha, ossia garantiti dal proprio capitale o da una riserva aurea. Sarebbe parzialmente vero, se la banca usasse per i prestiti soldi reali, ossia banconote, depositate dai suoi clienti, e non soldi fittizi, frutti di moltiplicazioni altrettanto fittizie fatte al computer. Inoltre, non è rispettata la norma costituzionale della parità, in quanto richiede garanzie ai mutuatari che essa stessa non è in grado di fornire in egual misura, in quanto non le sarebbe possibile tramutare tutti i suoi prestiti virtuali in denaro contante, se gliene fosse fatta richiesta. Quindi, è illecita la richiesta di interessi su un capitale che essa non ha potuto prestare, essendone sprovvista. E gli interessi giocano un ruolo cardinale nel rendere asfittico il mercato dei capitali, in quanto sono il distillato di soldi già in partenza virtuali: virtuali “al quadrato”.

Però, dirà ancora l’avvocato difensore della banca, la ricchezza prodotta dall’impianto di Tizio è un frutto tangibile dell’investimento fatto grazie ai soldi che la banca gli ha dato e che gli hanno permesso di comprare l’impianto.

Il fatto è che la banca, erogando il mutuo a Tizio, non ha attinto a suoi capitali, bensì a quelli della comunità: ha attinto al patrimonio di tutti, indebolendone il potere d’acquisto in proporzione all’ammontare del mutuo, e quindi è stata la società che ha permesso la costruzione dell’impianto, rischiando insieme a Tizio, nel caso l’impianto si rivelasse fallimentare, con l’impossibilità di Tizio di ripagare il valore dell’impianto stesso. In tal caso, ammesso per comodità di calcolo, che l’impianto valesse 1/1000 della ricchezza reale nazionale, espressa in moneta altrettanto reale, la società vedrebbe tale ricchezza diminuire di 1/1000, a causa della diluizione monetaria creata dall’immissione del milione virtuale, perdendo altrettanto in potere d’acquisto, con l’inflazione in salita di 1/1000.

In tale deprecato caso, sarebbe la banca, e non la società, a goderne, incamerando i beni reali posti da Tizio a garanzia del prestito fasullo. Alla fine, la società avrebbe perso 1/1000 della sua ricchezza e Tizio ci avrebbe rimesso i suoi immobili.

In caso di successo dell’iniziativa industriale di Tizio, invece, ammesso per semplicità che l’impianto produca ricchezza per 1 milione, quest’ultimo passerebbe dalla sua forma virtuale originaria in ricchezza concreta; non già per merito della banca, bensì della imprenditorialità di Tizio. In questo caso, la banca non esproprierà i beni dati in garanzia da Tizio, ma vedrà tramutarsi i soldi fasulli a suo tempo erogati in soldi buoni, veri, frutto del lavoro di Tizio. Alla banca va bene in ogni caso, sia pur per strade diverse, senza nulla aver dato e senza aver corso rischi.

Con questo meccanismo, e non solo, come vedremo in futuro, le banche si accaparrano subdolamente la ricchezza delle nazioni, indebitando sempre più i cittadini, costretti a lavorare sempre di più per passare poi alle banche i frutti del proprio lavoro. E in questa criminosa operazione di esproprio le banche godono dell’appoggio dei governi, quali che siano, mediante l’emanazione di leggi a loro protezione e a detrimento dei cittadini che lavorano, in un chiaro processo parassitario di spoliazione di chi lavora a vantaggio di chi specula sul lavoro altrui. Alla faccia della Costituzione italiana, fondata sul lavoro, art.1.

L’alto numero di rapine in banca, guarda caso maggiori proprio nel Paese più impoverito di tutta l’UE, servirà da ulteriore pretesto alle “autorità monetarie”, leggi Banca d’Italia, a criminalizzare ancor più l’uso e il possesso di contanti; e non mi stupirei di vederne alla fine la proibizione con tanto di sanzioni. In tal caso, il proverbiale materasso quale contenitore dei sudati risparmi sarà equiparato ai proventi illeciti di mafie e tangentisti, mentre sarà lasciato all’arbitrio del sistema bancario controllare ogni nostro movimento, svolto d’imperio attraverso il suo circuito.

Ormai ci siamo: “Affondo della Vigilanza. Bankitalia crea un’anagrafe unica con tutti i dati dei soggetti segnalati negli archivi creditizi. Al via un supercervellone per tenere sotto controllo tutti i rapporti e le esposizioni degli istituti”. *

Insomma, un’operazione, che già sarebbe deprecabile e contraria alla stessa  strombazzata privacy, se svolta da un organo pubblico, lo è mille volte di più se affidata a un falso istituto di diritto pubblico, quale Bankitalia pretende ancora di essere, pur essendo una SpA (con capitale € 156.000, cioè il valore di un monolocale di periferia), posseduta dalle banche private che vorrebbe farci credere di controllare. Un’intera nazione nelle mani di un istituto privato che non può che perseguire interessi privati: quelli dei suoi azionisti. Peggio ancora, una lobby privata il cui interesse è quello di impoverire sempre più i cittadini, in modo da renderli viepiù dipendenti dai suoi prestiti fasulli e trasferire così gran parte della ricchezza prodotta dalla società nella proprietà delle imprese in precedenza fagocitate con questo stesso meccanismo. In tutto ciò confortata da uno Stato sempre più prono ad alzare le tasse, immiserendo ancor più i cittadini e devolvendo gran parte delle tasse stesse al famelico sistema bancario per pagare un fantasioso debito pubblico. Un circolo vizioso, in cui godono i politicanti e i banchieri e soffrono i cittadini “normali”, che più sono poveri, più necessitano della benevolenza dei potenti, diventandone sempre più succubi e sostenitori al momento del voto. **

Ma di tutto questo, che pure è ormai alla luce del sole, il nostro Parlamento non parla; neppure quel Dipietro che sembrava così deciso a farlo, tanto da candidare e far eleggere nelle sue file Elio Lannutti, presidente della combattiva associazione dei consumatori Adusbef. Ora che Lannutti è senatore dell’IdV, ci aspettiamo che passi dalle parole alle azioni, a cominciare dalle class action.

Marco Giacinto Pellifroni                                                      1° giugno 2008

  * “Libero Mercato” del 4 maggio 2008.

** Cfr. “Basta con questa Italia” di Marco Della Luna, Arianna Ed., 2008; nonché, dello stesso autore ed editore, “€uroschiavi”, 2007, 3° Edizione. Insisto su questo autore, in quanto è a mio parere un fine analista della tragedia economico-bancaria che ci opprime; e invito caldamente quanti mi hanno seguito sin qui a leggere i suoi illuminanti libri. Guarderanno la realtà con ben diversi occhi.