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Lo Stato-mafia, usurpatore della Repubblica Italiana

    Marco Giacinto Pellifroni


Marco Della Luna

Si definisce stato-mafia l’apparato di potere, basato su trame illecite per la legge ufficiale, che infiltra e sostituisce lo Stato legale, rilevandone le istituzioni e i poteri, e piegandoli ad ogni abuso per fare i propri interessi. Quale obbedienza e quali tributi sono moralmente e giuridicamente esigibili da uno stato-mafia che nella sua realtà è contrario e illegittimo rispetto alle sue stesse leggi e alla sua stessa costituzione?[…] Lo Stato italiano, quale di fatto si è realizzato, non è la Repubblica italiana voluta dalla Costituzione del 1948: ne è l’usurpatore.

Così stigmatizza Marco Della Luna nella sua ultima fatica *.

L’autore appoggia queste sue considerazioni sulle ruberie dei vari privilegiati di Stato, pescando anche dall’ormai celebre “La Casta” di Stella e Rizzo, e approdando poi nei 75 miliardi di euro che i nostri governanti elargiscono agli azionisti privati della Banca d’Italia in cambio di impulsi elettronici e di pezzi di carta stampata senza alcuna copertura, detti “banconote”. Uno scandalo che prosegue da decenni, senza che le “istituzioni” si degnino di affrontarlo: è il signoraggio, su cui sono tornato più volte sulle pagine di questo sito.

Abbiamo appena attraversato due anni angoscianti nei quali l’uscente governo Prodi-Visco ha dedicato ogni energia a criminalizzare le forze sane della nazione:

Gli imprenditori (veri) e i lavoratori autonomi devono ingegnarsi e innovarsi, e imparare incessantemente, per sopravvivere nella concorrenza, mentre gli uomini della Casta non hanno concorrenza, e dall’alto di questa posizione di rendita parassitaria pontificano dicendo agli imprenditori che devono competere, rischiare e pagare le tasse. […] Come risultato, ricercatori, scienziati, imprenditori, professionisti, se ne sono già andati o se ne stanno andando.

Ma è da oltre 3 lustri che Lorsignori sono all’opera per svendere l’Italia al capitale straniero e orbarla di gran parte delle sue funzioni pubbliche, a vantaggio di monopolisti privati che le rilevano in società con politici, sindacalisti e pubblici amministratori, e le gestiscono in regime monopolistico, senza quindi alcun incentivo all’efficienza e con la massima possibilità di sfruttare il cittadino: si pensi alle tariffe dei rifiuti, ai pedaggi autostradali.

Quanto al rispetto delle leggi, è sotto gli occhi di tutti quanto esse valgano per i comuni mortali, ma non per i membri dei vari club di Casta. I vari organi pubblici sono rigidissimi nel perseguitare i cittadini indifesi, ma lasciano correre quando vengono toccati i potenti.

La giustizia è soprattutto un servizio per i deboli: i forti hanno altri mezzi.

Due referendum del ’93 hanno reso legge la volontà popolare di abolire i finanziamenti pubblici ai partiti e l’irresponsabilità dei magistrati. Una volontà resa lettera morta dalla casta politica, che ha rincarato la dose, esigendo rimborsi elettorali di molto superiori alle spese sostenute nelle campagne elettorali stesse.

Per la Casta la volontà dei derubandi non conta niente; conta solo che paghino. I falsi rimborsi elettorali, dal ’93, non fanno che crescere (europee del 2004: 88 milioni spesi, 249 rimborsati), al ritmo di 200 milioni l’anno, che si sommano ai 60 milioni per la stampa dei partiti-mafia.

Quanto all’irresponsabilità dei magistrati, Della Luna, a differenza di Marco Travaglio e, naturalmente, dell’ex-magistrato Di Pietro, che propendono per una sorta di loro infallibilità, fa riferimento a non pochi magistrati, come Caianello, Tinti, Nordio, Misani, Imposimato, Livatino, De Magistris, Forleo e molti altri, che percepiscono con orrore la profonda autodistruttività, l’anticiviltà, la barbarie, l’abiezione finale inerente a un sistema che vive di illegalità, e cercano di difendere, per quanto possono, aree di legalità, o di dissociarsi da esso, soprattutto scrivendo libri di testimonianza, analisi, denuncia, per svegliare le torpide menti degli assuefatti ai media di regime, al politically correct.

Circa il tanto pubblicizzato bando dei condannati dal Parlamento, Della Luna ha idee opposte a quelle di Travaglio e Di Pietro, in quanto ciò significherebbe conferire alla magistratura un potere di “veto” in campo politico, accrescendo in tal modo il suo già immenso potere.


 

Come semplice cittadino, e certamente in buona compagnia, io guardo ai tribunali come ad un luogo che sgomenta chiunque deve entrarvi. Di lì si può uscire vincitori o soccombenti; ma l’alea è sempre molto alta. E libri come quelli di Della Luna e di altri che ormai stanno uscendo a ritmo serrato instillano un senso di smarrimento, constatando quanto la propria libertà individuale, o come minimo la propria serenità, dipenda dal giudizio di una corte, o più spesso di un singolo giudice. Il pensiero allora corre, in una estrapolazione mentale, ai regimi totalitari e ai loro tribunali, capaci di piegare il capo a chiunque dissenta dal potere costituito.

Il nostro sistema non è riconosciuto come totalitario; ma leggendo quei libri viene da chiedersi se non ci siamo ormai da lunga pezza incamminati in quella direzione.

Del resto, l’ossessivo accento sulla sicurezza dai criminali, anche micro, è uno dei classici pretesti per l’instaurazione di misure eccezionali, per le quali i cittadini si vedono sottrarre, in forme brutali o “diplomatiche”, le proprie libertà, i propri diritti civili e, paradossalmente, le proprie sicurezze; ma non a causa dei delinquenti comuni, bensì dei suoi stessi governanti, trasformatisi in tiranni.

La libertà, come tutti i beni, cresce di valore in proporzione alla sua scarsità. Gli USA, che fino a pochi lustri orsono potevano vantarsi di essere il Paese più libero del mondo, oggi sono oberati da regole sempre più nemiche della libertà, nella sbandierata ricerca della sicurezza assoluta. Credo che sia noi che gli americani siamo vessati da un volume crescente di regole e sotto-regole, nonché dal conseguente prosperare di un’altra casta, come è certamente quella degli avvocati, che sulla lievitazione legislativa fondano la propria fortuna economica (per inciso, leggo che la nostra provincia vanta il maggior numero di avvocati pro capite d’Italia). Che dire poi del loro Ordine, che certifica la debenza di parcelle che nulla hanno da invidiare agli stipendi dei politici e degli alti magistrati (viaggianti a braccetto) e che sono ben lungi dal rispettare i redditi della gente comune che essi sono chiamati a difendere, spesso proprio dai soprusi di uno Stato famelico? Quanti si trattengono dal difendere i propri calpestati diritti per non incorrere nei gorghi di onorari ben maggiori delle spese di tribunale? Onorari cresciuti addirittura più del cambio dell’euro fatto uguale a mille lire, con la beffa finale, al termine di una ridda di voci a debito, di un “rimborso forfettario” del 10% (!), su cui grava il 2% di CPA e il 20% di Iva. Analogo discorso vale per le parcelle di altri professionisti, tutelati dai rispettivi Ordini, cui è delegata la taratura, ossia la conferma, della congruità delle parcelle. Anche questo contribuisce al senso di precarietà che il cittadino prova di fronte al moltiplicarsi di esazioni di crescente esosità, contro le quali si sente indifeso.

Chiudo questa mia personale, ma credo opportuna, divagazione, per accennare in chiusura ad alcuni dei sette punti in cui Della Luna rende conto del titolo, a prima vista contro-intuitivo, del capitolo “L’evasione nuoce agli onesti, ma le tasse giovano ai ladri” (dove i ladri sono quelli istituzionali), ribaltando uno slogan meccanicamente ripetuto in ogni pubblico dibattito o dichiarazione:

Per molte imprese evadere il fisco è la condizione oggettiva per restare competitive rispetto a Paesi con tasse e contributi minimi, per non chiudere, per non licenziare. […]  non è vero che se pagassero tutti le tasse, la pressione fiscale potrebbe scendere. Sarebbe vero, se il fabbisogno dello Stato fosse determinato oggettivamente e onestamente. La Casta, infatti, usa i soldi delle tasse per arricchire se stessa e  per comperarsi il consenso elettorale […] e perché quanto più toglie alla gente e alle imprese, tanto più le rende dipendenti dalla redistribuzione (incentivi, sussidi, assistenza, etc.), cioè dalla benevolenza della Casta stessa.[…] Chi usa meglio i soldi: il piccolo imprenditore, che li usa per far andare avanti la sua azienda, mantenere i posti di lavoro, competere con la concorrenza cinese, rumena, marocchina; o la Casta? In mano a chi dei due i soldi sono più produttivi? Il libro di Stella e Rizzo non lascia dubbi.

Avendo organizzato due volte nella nostra provincia la presentazione di €uroschiavi ** da parte dello stesso autore, gli ho sottoposto questa mia recensione per averne un parere preventivo. Riporto parte della sua risposta, così da integrare quanto egli rileva sia stato da me “scordato”:

-          l’Italia è uno Stato unitario accozzato con la violenza e la rapina per volere e intervento del-

la massoneria deviata londinese e parigina;

-          i voti dei parlamentari eletti nei collegi mafiosi sono indispensabili per qualsiasi maggioran-   

za, quindi la mafia è sempre al governo;

-          il meccanismo principale del mantenimento del potere politico da parte della Casta è quello di mantenere nell’arretratezza il Sud, usare questo pretesto per saccheggiare alcune regioni e categorie produttive e usare i soldi così raccolti per comperare il consenso del Sud povero, della mafia, dei fannulloni di Stato, e per remunerare gli sponsor [i banchieri];

-          specializzandosi esclusivamente in questo meccanismo, i nostri politici non hanno mai avuto bisogno di imparare a risolvere i problemi (hanno sempre ottenuto i voti comperandoli coi proventi delle tasse e con le concessioni di privilegi, mai risolvendo i problemi).

 Marco Giacinto Pellifroni                                   18 maggio 2008

 

* “Basta con questa Italia”, Arianna Editrice, 2008

** “€uroschiavi”, Arianna Editrice, 3° Ediz., 2007