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Se Marx avesse studiato ad Harvard
- ovvero: della perenne contrapposizione tra capitale e lavoro |
![]() Carlo Marx |
E’
opinione sempre piu’ largamente condivisa che la concorrenza faccia bene
al Paese perche’ aumenta l’efficienza e la competitivita’ dell’economia.
Naturalmente su cio’ si puo’ dissentire o meno, salvo preventivamente
accordarsi su che cosa debba intendersi per economia. Se essa e’ intesa
come una serie di numeri, assoluti o relativi, che esprimono valori
macroeconomici aggregati, come ad esempio il PIL e la sua crescita,
allora molto probabilmente si’, la concorrenza puo’ giovare
all’economia; se invece intendiamo l’economia come l’insieme delle
famiglie e delle imprese, allora gli effetti che la concorrenza ha su
costoro non sono necessariamente favorevoli.
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A questo
riguardo mi sovviene il signor TPS, ovvero Tommaso Padoa Schioppa per
molti, Totalmente Pericoloso e Scriteriato per me. Costui, con molesta
insistenza amava ripetere la frase
“... i conti
del Paese sono in ordine” alla quale io
rispondevo, seppure rivolgendomi allo schermo del televisore
“... un bel
fico secco, signor TPS!” Semmai i conti
in ordine erano soltanto quelli dell’Erario, mentre quelli delle
famiglie e delle imprese erano devastati, come tutt’ora sono. Bisognava
soltanto mettersi d'accordo sul significato delle parole e, nella di lui
accezione di “Paese”, evidentemente le imprese e soprattutto le famiglie
non avevano alcuna rilevanza. Per inciso, TPS mi ha sempre ricordato
quel tipo di burocrate ottuso ed insensibile, incapace di comprendere
che dietro ai numeri ed ai regolamenti ci sono delle persone, con i loro
problemi e le loro esigenze; questa tara cognitiva lo ha reso ai miei
occhi molto pericoloso fin dal primo momento in cui e’ stato investito
di una delle piu’ alte cariche pubbliche; all’ex Ministro dell’Economia
mando quindi un saluto a casa, pregandolo di restarvi il piu’ a lungo
possibile. |
![]() Tommaso Padoa Schioppa |
A ben vedere, di tutte le strategie d’impresa possibili ve ne sono solo due dai connotati veramente concorrenziali: quella di price competition e quella di cost-leadership. Ma impegnarsi a fare concorrenza sui prezzi oppure riducendo drasticamente i costi richiede all’impresa sacrifici enormi e protratti per lungo tempo, nonostante i quali l’esito finale resta con tutta probabilita’ modesto e comunque molto incerto, perche’ esso dipendera’ anche dalle reazioni dei concorrenti. Di conseguenza la concorrenza sui prezzi e quella sui costi vengono adottate dalle imprese solo in ultima battuta, cioe’ quando nessun’altra strategia risulta piu’ attuabile. |
Cio’ e’ ben
comprensibile, poiche’ essendo noi tutti dei soggetti economici
tendenzialmente razionali e massimizzatori dell’utilita’, miriamo a
conseguire il massimo del risultato col minimo sforzo; e lo sforzo che
decidiamo di profondere e’ sempre calibrato in funzione del risultato
atteso: in altre parole, i soggetti
economici non amano spendere grandi energie e risorse se il
tornaconto atteso e’ modesto. E’ per questo motivo che tutti noi,
benche’ in misura differente e anche quando diventiamo imprenditori,
siamo alla ricerca di rendite che siano il piu’ possibile stabili e
durevoli. La rendita infatti massimizza la nostra utilita’, mentre la
concorrenza la svilisce; per fare un esempio, se riuscite a guadagnare
5.000 euro facendo e rischiando poco o nulla allora l’utilita’ di quello
che fate e’ altissima; ma se a causa della concorrenza, per la stessa
cifra dovete sudare sette camicie rischiando anche in prima persona,
allora l’utilita’ di cio’ che state facendo e’ svilita proprio dalla
concorrenza, e siete automaticamente tentati di
cercarvi qualcos’altro da fare. |
![]() Giulio Tremonti |
Sulla carta, i due fattori cosi’ come coloro che li apportano sembrerebbero allineati da necessita’ simili: entrambi hanno bisogno di unirsi per dar vita all’impresa; entrambi hanno poi bisogno che questa funzioni in modo tale da produrre un margine adeguato col quale essere adeguatamente remunerati; entrambi hanno l’esigenza che l’impresa cresca e lo faccia in modo sano, per dare continuita’ e stabilita’ alla propria posizione – anche in questo e’ ravvisabile la ricerca di una forma di rendita. In pratica, capitale e lavoro sarebbero d'accordo su tutto e sempre, tranne in particolari circostanze, come quando devono accollarsi la responsabilita’ di contribuire al benessere generale destinando una parte dei loro guadagni alle casse di un terzo incomodo, lo Stato; oppure come quando si tratta di offrire sacrifici sull’altare della dea concorrenza e della sua neonata figlia degenere, la globalizzazione. Ma vi e’ una circostanza in cui capitale e lavoro sono in perenne e storica contrapposizione: quando devono dividersi le spoglie della concorrenza, cioe’ gli utili netti d’impresa. |
A prima vista parrebbe un po’ la storia dei due somari
legati tra loro da una corda troppo corta, che non riescono a decidere
insieme su quale mucchio di biada dirigersi. La differenza qui sta nella
diversa voracita’ dei due protagonisti, determinata dall’esistenza di
leggi che favoriscono quella dell’asinello investitore, nonostante esso
sia notevolmente sovrappeso, mentre tengono a dieta di molto il ciuchino
lavoratore, nonostante la sua linea invidiabile e la sua fame atavica.
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