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  L’”ARCHITETTURA PAESAGGISTICA”:
ANCORA UNA SFIDA?

“Architettura: una ” joie de vivre” espressa nello spazio” Frank Lloyd Wright - 5/11/1924

Antonia Briuglia

Frank Lloyd Wright

Dobbiamo aver chiaro il significato del termine per discutere della sfida, ancora attuale, o delle sconfitte già incassate sul nostro territorio.

L’”architettura paesaggistica” si ha quando geografia e architettura sono una cosa sola.

Se osserviamo il territorio delle nostre città ,questo concetto ci porta a provare, inevitabilmente, un sentimento di angoscia.

Un architetto è, da sempre, qualcuno con grande volontà di trasformazione o per lo meno questo è sempre stato da secoli.

Se, nelle scuole, nello studiare Brunelleschi, Michelangelo, Borromini, Wright, le Corbusier si trascura la loro volontà rivoluzionaria, che sta alla base del genio creativo, si omette una funzione importante delle scuole stesse.

Omettere, inoltre, che mentre le linee progettuali di Brunelleschi, Michelangelo e Borromini dopo qualche decennio sono state dimenticate, mentre il linguaggio di Wright rimane illeso per la sua versatilità, per la sua poesia polidirezionata, vuol dire offrire un cattivo servizio a chi vuole capire cosa sia successo dall’’architettura moderna in poi.

Dal prevalere della modernità alla vittoria dell’imperfezione. 

Paradossalmente quindi sarà poi l’imperfezione, del linguaggio  decostruttivista a ritornare a concludere un ciclo architettonico iniziato nelle costruzioni nuragiche della preistoria.

Il circolo sembra ora essersi chiuso e si può ripartire.

La sfida riprende e noi, qui, barricati nelle nostre “provincie” non possiamo ignorare quel che accade nel mondo.

La casualità con cui edifichiamo cartesiane torri adiacenti al centro cittadino o la determinazione con cui progettiamo “fari” e “nuvole” sul mare devono essere almeno oggetto di un dibattito articolato e perché no: un Convegno.

Con l’occasione della redazione del Piano Regolatore di Savona, un vero Convegno che possa discutere della liberazione di un paternalismo progettuale nella ri-definizione di quella che si può chiamare, con chiarezza: architettura paesaggista. 


Giuseppe Samonà
Uno scambio d’idee tra gli architetti che vogliono e possono riscrivere, in maniera anti- autoritaria e antitetica a quella del potere, una probabile e nuova stesura della città.
Cinquant’anni fa Samonà accusava l’urbanistica di fermarsi a indirizzare strade, traffici, anelli circolatori,spazi verdi e lottizzazioni, dimenticando il valore dell’edificio. Oggi l’attualità delle sue accuse può partire dagli edifici- fantasma nel porto, come la torre Bofill: capolavoro di frattura tra un piano organico e il suo nucleo fondamentale.

Che fare? Non un Convegno fine a se stesso, ma un’occasione per ridare la precedenza all’architettura come parte integrante dell’urbanistica, un’architettura che nasca veramente dal basso, democraticamente, senza più distinzioni conflittuali tra istanze collettive e private o fughe evasive che sembrano pretesti per edificare occasioni “di profitto”, aggrappandosi ad un’inutile autoproclamazione.

Anche Savona deve agire come una città europea e può partire da un dibattito sperimentale.

Non un convegno istituzionale, accademico o professionale: sbadiglioso e sonnifero, dove tutti recitano monologhi preconfezionati.

Non dibattiti su relazioni che nessuno ascolta, come dialoghi tra sordi.

Non deve servire a far carriera o vetrina a questa o a quell’Università di Architettura o Ingegneria, diventando un inutile e soporifero incontro.

Non deve servire agli ordini Professionali per far bella mostra di sé ,davanti a questo o a quell’Ente , né servire a questa o a quella Ditta o associazione a trovare clienti.

Un Convegno senza formalità e ordini del giorno, in un’atmosfera d’inquietudine e di curiosità.

Un Convegno, ammetto, anche rischioso, perché destinato a cambiare situazioni a modificare una politica pianificatoria e progettuale ormai radicata da qualche tempo.

 Una nuova cultura. 

La cultura legata ai temi estetici, espressivi e linguistici è una cultura che anticipa una nuova lettura del panorama sociale e l’architetto deve essere preparato e soprattutto pronto a confrontarsi.

Purtroppo a Savona, come in Italia, siamo ancora troppo indietro.

La classe dirigente è impreparata sulle fide del territorio, della città e dell’architettura.

I nostri politici si appassionano di tutto, ma nessuno di architettura, come succede, invece, in Francia e in Spagna.

In Regione, ma soprattutto a Savona, quando si vuole proporre qualcosa di nuovo ci si rivolge all’architetto “guru” che nell’intento di ribadire la sua liberta personale di progettare, perde di vista il territorio e il soggetto stesso, facendo qualcosa senza, apparentemente, sapere il “perché”!!!

La responsabilità dell’architetto consiste, prioritariamente, nel prendersi cura dell’ambiente, che diventi parte integrante dell’edificio in un rapporto reciproco.

Voglio pensare che Savona possa e voglia essere un punto di partenza per nuove prospettive che possano veramente definirsi tali, per una ricerca sulla tradizione contemporanea e sulla vivibilità,  per un’ intelligente riflessione sul  presente e il futuro della nostra  città.                 

ANTONIA BRIUGLIA