TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni

  

Contanti, good-bye

 

Cos’è una banca?

E cos’è una banconota? Domande banali, a primo acchito. Allora vediamo di dare dapprima le risposte che la maggioranza darebbe; e poi verifichiamo se ad esse corrisponde la realtà.

Una banca è un istituto di credito, o di debito, a seconda da che parte ci si pone. Questo istituto dovrebbe di norma avere un proprio capitale, versato dai suoi azionisti, che viene dato in prestito ad aziende e privati, che si impegnano a rendere quanto loro anticipato, più un interesse. Questa sarebbe la condizione ideale, applicabile a chiunque altro. Ma per le banche non è mai esistita.

Procediamo allora per tentativi verso la situazione logicamente successiva; che è poi quella impressa nella maggioranza delle persone lontane dal campo finanziario.

La banca allora sarebbe una società di azionisti che raccolgono danaro dai cittadini (depositanti) e lo ridistribuiscono ad altri cittadini lucrando sulla differenza dei tassi attivi (concessi ai depositanti) e passivi (dovuti alla banca dai suoi mutuatari).

Neanche questa situazione, che pure parrebbe logica, corrisponde al vero. O forse lo corrispondeva solo in un remoto passato; ma quand’anche così fosse, i conti non tornerebbero. Infatti, supponiamo che la banca (considerando l’insieme delle banche un unico sistema di supporto reciproco, come in effetti è) decida di rientrare dei capitali prestati, per qualunque motivo: una guerra, un’epidemia, una catastrofe naturale, ecc., o comunque per motivi suoi, di cui non è tenuta a render conto. I suoi debitori risulterebbero perlopiù insolventi, almeno per quanto riguarda gli interessi: se la banca aveva prestato 100, all’interesse del 5%, quest’ultimo manca all’appello, in quanto non è mai stato emesso e non può quindi esser pagato. Da questo “piccolo” particolare ha origine il debito che non si riesce mai a sanare; in primis, il debito pubblico, che si genera proprio in virtù di questa “svista”, all’atto della consegna da parte dello Stato alla banca centrale di titoli del Tesoro maggiorati, appunto, di quegli interessi rispetto all’equivalente importo in banconote cartacee fabbricate dalla banca centrale e cedute allo Stato per le sue esigenze di spesa. Per far fronte a quegli interessi, lo Stato è costretto ad ogni scadenza a contrarre un nuovo prestito, su cui gravano nuovi interessi, tassando i cittadini; e così via, all’infinito. Per questo motivo il debito pubblico non potrà mai essere estinto e lo Stato debitore sarà per sempre succube dei banchieri.

In questo discorso è venuto alla luce un altro tipo di banca: quella centrale, che ha la facoltà esclusiva di stampare denaro. Esclusiva che una legge, voluta dai banchieri, nega allo stesso Stato, che deve così chiedere in prestito quanto gli serve ad un organismo privato, quale la banca centrale, anziché ad una sua propria tipografia, quale  l’Istituto Poligrafico.

Ma torniamo alla nostra banca, quella commerciale. Abbiamo detto che non è vera neppure la seconda supposizione, e cioè che essa si limiti a prestare a terzi quanto riceve dai suoi depositanti, lucrando sul differenziale degli interessi. Perché?

Perché un’altra legge, variata innumerevoli volte, sempre a vantaggio della banca, permette che essa conceda prestiti in misura ben superiore a quanto ha ricevuto in deposito: la riserva obbligatoria è così scesa via via fino ad un infimo 2%, peraltro aggirabile anch’esso sino ad azzerarsi. In tal modo la banca può prestare oltre 50 volte i liquidi che ha in cassa (neppure questi di sua proprietà, bensì dei suoi depositanti).

Qualcuno a questo punto si alzerà per obiettare: ma allora dietro i prestiti delle banche non c’è dietro niente di solido, a garanzia e tutela del risparmiatore e a giustificazione della pretesa restituzione di quanto prestato dal nulla al contraente del prestito (mutuatario)? Ergo, la situazione tra banche e clienti non è speculare: la banca ti chiede garanzie per concederti un titolo di credito, ma a sua volta non te ne offre alcuna?

In realtà, sino a qualche decennio fa, le cose non stavano in questi termini. Dietro le banche stava la banca centrale, che garantiva con i suoi lingotti che chiunque avesse chiesto la conversione delle banconote cartacee in oro o argento era libero di farlo. L’istituto bancario nel suo complesso garantiva il valore di tutto il denaro circolante con un equipollente deposito in oro nei suoi caveau. Dal 1971 in poi all’oro si è sostituito il dollaro, assurto a valuta di riferimento mondiale; e nei forzieri delle varie banche centrali ai lingotti sono venuti sostituendosi i dollari. Ciò ha determinato una caduta di valore dell’oro, espresso in dollari, via via che veniva ceduto al mercato, generando così l’abbaglio di un maggior valore di questi ultimi.

La tentazione, da parte della banca centrale americana, la Federal Reserve, di stampare sempre più dollari, vivendo in tal modo alle spalle del resto del mondo, è stata talmente forte che il mondo è venduto riempiendosi di dollari, mentre i caveau si svuotavano d’oro.

Pur non essendo la situazione uguale agli USA in termini quantitativi, anche su questa sponda dell’Atlantico la Banca Centrale Europea ha stampato moneta in quantità eccedente rispetto alla crescita economica europea; e quindi la sua banconota, l’euro, non rispecchiando quest’ultima, ha soltanto una velocità di caduta inferiore rispetto al dollaro, ma pur sempre di caduta si tratta, come stanno a dimostrare i prezzi in crescita accelerata, ossia la perdita di potere d’acquisto anche dell’euro. Per giunta, alle banche commerciali dell’area euro è consentito comportarsi come le loro colleghe d’oltre oceano, prestando soldi che non hanno e di cui non possono proclamarsi garanti.

 

Cos’è una banconota?

E, avendo nominati i soldi, torniamo al secondo interrogativo iniziale: cos’è una banconota? Da quanto detto sinora, dovrebbe esser chiaro che una banconota è una falsa cambiale, il cui traente è la banca centrale. Ė falsa in quanto non indica una scadenza, il che significa che non potrà mai essere messa all’incasso, se non ricevendo un’altra banconota di uguale importo di facciata. Il “pagherò” che un tempo appariva sulla banconota stava a significare, sia pur in linea teorica, che poteva essere convertita nel suo equivalente in oro; mentre oggi l’euro ha almeno avuto il buon gusto di eliminare quell’impegno, anche formalmente (salvo caricarci un copyright per la grafica: a cosa non arriva l’avidità dei banchieri!). Se io pagassi un mio debito con un assegno, a condizione che esso non venisse mai messo all’incasso, che valore avrebbe? Zero. E tale è il valore intrinseco di ogni banconota; anzi, lo sarebbe, se non fosse per il fatto che la gente l’accetta come se fosse incassabile. L’accetta perché sa che chiunque l’accetterà a sua volta, senza che mai si arrivi allo show down: come in una partita a poker, dove nessuno può mai dire “vedo”! Quindi il suo valore non è dato dall’emittente (la BCE), ma dalla gente. E ciò non varrebbe, a maggior ragione, se il garante fosse lo Stato?

Ma passiamo dalla banconota, che perlomeno è qualcosa di tangibile, alla moneta scritturale, ossia a quella congerie di titoli di credito che le banche commerciali emettono, a fronte di nulla, come abbiamo dianzi visto: carte di credito o di debito, libretti di risparmio, assegni circolari, bonifici, mutui, cui corrispondono scritture contabili, ossia numeri su un computer, che formalizzano il dare e avere nei confronti di terzi. In questi casi i clienti non hanno in mano neppure più la banconota, che fa capo alla banca centrale, bensì soltanto numeri su carta o su PC. In sostanza, tutte queste forme di credito non possono venire tesaurizzate in quanto tali, come nel caso delle banconote: il loro valore corrispondente non sta nelle mani del cliente, è invece nella disponibilità della banca, e quindi anche dello Stato.

La differenza non è di poco conto. Infatti, l’alleanza tra Stato e banche esige che il cittadino/cliente sia alla mercé dell’uno e dell’altra: dev’essere pignorabile. Stato e banche detestano i nullatenenti, o coloro che possono comportarsi come tali, nascondendo i propri soldi o portandoli in Stati esteri compiacenti; vogliono gente “spremibile”, positiva al test (perquisizioni) della GdF o dell’Agenzia delle Entrate. Vogliono che i suoi soldi non siano in banconote, occultabili, ma in conti bancari ai quali sia la banca stessa che lo Stato possano attingere in caso di qualsiasi inadempienza. Quindi non fungono neppure le cassette di sicurezza, che ci difendono dai ladri comuni, ma non dai furti legalizzati.

 

Perché condoni e indulti sono l’unica salvezza

Proprio per questo i vari governi, specie di sinistra, hanno sfornato a gettito accelerato obblighi e direttive in buona parte non rispettabili: per potere poi cogliere in flagranza di reato pressoché chiunque (che non faccia parte degli amici della Casta) e spogliarlo a dovere dei suoi beni, cominciando dalle ganasce sulla sua auto. Ma il bene più appetibile è la liquidità, che non richiede lungaggini burocratiche, aste, cadute di valore in caso di roba usata o di un surplus di pignoramenti (come succede per le auto e moto confiscate, e per gli immobili mutuati, di cui le banche stanno facendo incetta).

Ecco spiegato perché il governo Prodi, notoriamente una filiale bancaria (ma il cui esempio è stato seguito da un’orda di enti locali), s’è affannato, da un lato ad inasprire tasse e sanzioni per il mancato rispetto di una pletora di norme inadempibili, e dall’altro a togliere il più possibile dalla circolazione il denaro contante, che ha il brutto difetto, come abbiamo visto, di sapersi sottrarre alle fauci del fisco e della miriade di organismi pubblici autorizzati a multarci (potendo in tal modo chiedere di meno allo Stato).

In questa luce, scagliarsi contro l’unico governo, quello di Berlusconi, che ha avuto il fegato di fregarsene delle critiche “di sinistra” ed ha varato un condono fiscale, è fare esercizio di farisaico moralismo. E, sia detto en passant, idem vale per l’indulto, che ha cercato di attutire le conseguenze di un codice penale continuamente arricchito di nuovi, spesso irrilevanti reati, sbagliando forse solo nella scelta dei reati da “indultare”.

Il regalo “postumo” di Prodi, varato in questi giorni, riguarda gli assegni, d’ora in poi obbligatoriamente non trasferibili, e le restrizioni all’uso dei contanti. Come se il denaro sporco seguisse i canali ufficiali, e non quelli opportunamente predisposti per convogliarlo verso lontani paradisi fiscali senza lasciar tracce. Senza questi canali, infatti, sarebbe inutile mietere i frutti del signoraggio bancario, ossia quei proventi che, sempre grazie a leggi pro-banche, sfuggono al tritacarne fiscale. Solo il cambio di governo può farci sperare che non si arrivi ad ulteriori restrizioni e che anzi certe assurde rigidità vengano allentate.

Per motivi di spazio non posso procedere oltre e occuparmi, per completezza, di una categoria speciale di banche, apparse loro malgrado ai disonori delle cronache negli ultimi mesi: le CIB (Corporate Investment Banks), che hanno un modo tutto loro di operare, ancora più torbido di quello delle loro banche madri, e che sono responsabili dello sconquasso di cui tutti siamo, chi più chi meno, vittime, soprattutto a partire dalla data del 9 agosto 2007: economicamente assai più fatale del già famigerato 11 settembre 2001. Ne riparleremo al prossimo appuntamento.

 

 

Marco Giacinto Pellifroni                                               4 maggio 2008