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Le colpe della sinistra intera
Non abbiamo saputo ascoltare le sofferenze della nostra gente

 Domenico Maglio

L’Italia uscita dalle elezioni politiche della settimana scorsa presenta per le forze di sinistra, di centro sinistra, riformiste, progressiste, radicali o come si vogliono chiamare in una incomprensibile inflazione di aggettivi, un quadro sinceramente preoccupante, tanto per peccare di ottimismo.

Le planimetrie territoriali non lasciano dubbi sull’esito, poche macchie rosse sbiadite in un mare di blu profondo, e nello specifico la nostra provincia, dove il capoluogo e le zone confinanti sono letteralmente assediate e accerchiate.

A parte qualcuno forse più onesto di altri o impossibilitato a mimetizzare l’evidenza, come in un film già visto, tutti in qualche modo hanno vinto, nonostante tutto, chi ha aumentato i consensi, chi ne ha perso meno del previsto, chi doveva scomparire e invece ha ancora il lumicino acceso, chi è stato disintegrato ma dice che l’idea era giusta.

La realtà invece appare ben diversa a chi la vuole vedere, il centro destra, la destra, i conservatori anche qui ognuno usi l’aggettivo preferito, insomma “lo schieramento alla sinistra avverso”non solo ha vinto ma ha devastato come un uragano tropicale tutte le rosse isole felici estirpando la maggior parte delle speranze anche per i più assatanati.

Tutti fanno le loro analisi del voto e tutti hanno la loro verità.

Anch’io ho la mia ma eviterò di gettarmi nel calderone matematico lasciando ad altri più esperti le considerazioni del caso, segnalo soltanto che la corsa alla conquista del centro che era nelle aspirazioni di qualcuno ha fallito clamorosamente, ma non perché l’elettorato del centro si è spostato verso destra anzichè verso sinistra, ma perché è la destra che si è spostata al centro con felice e preventiva intuizione.

Mossa astuta? Assolutamente no, è nella natura che il centro moderato, cattolico o meno, non possa guardare a sinistra, può  stabilire qualche patto qua e là, ma mai allearsi in una politica nazionale di scelte strategiche.

Spero che questo si sia finalmente capito alla luce di quanto è successo.

Non vedo in giro per i palazzi ne eredi di Enrico Berlinguer, ne di Aldo Moro, neppure dei Craxi o di altri protagonisti di allora, nonostante ci si affanni a strattonarli da tutte le parti.

Chi pensa che questa propensione centrista sia la linea da seguire delineando forzatamente la nuova forza riformista appena nata come la nuova DC, fa soltanto un atto puerile di isolato autoincoraggiamento, smentito da tutti ad ogni occasione, leaders del “caminetto” in testa, per non parlare dei militanti.

Non ho notizie di centristi in Europa che militino nell’unica forza riformista progressista e di sinistra esistente, il PSE, ma ne conosco come tutti noi molti che militano invece nel PPE con forze di destra, e cioè tanto per restare in tema “nello schieramento al PSE  avverso”.

Detto questo io credo si debba ripartire con onestà dal risultato delle urne, senza far tanto di conto su flussi e numeri, cercando di mitigare la sconfitta perché tale è e anche piuttosto pesante.

Ora, capirne le ragioni vere, non è cosa semplice e servirà un analisi profonda, non sulla matematica, ma sul perché si sia potuta realizzare tale situazione politica dopo 60 anni dalla Liberazione e dalla Resistenza, dopo il periodo della ricostruzione, dopo la conquista di molti diritti, Statuto dei Lavoratori in testa.

Consegnare un paese che ha dato tanto per la conquista della sua libertà, della sua democrazia in mani che tali conquiste hanno storicamente osteggiato ieri e vogliono cancellarne la storia anche dai testi scolastici oggi, dovrebbe far riflettere non su questo o quel candidato sbagliato (e ce ne sono stati molti che sarebbero invece stati cancellati in presenza della preferenza anche dalle nostre parti) ma su cosa sia successo da circa 20 anni nel nostro paese.

Io avevo detto tempo fa proprio su questo blog un paio di cose, tra le altre, che qui vorrei ricordare.

La prima è che per avere una forza progressista in grado di essere maggioritaria nel paese non basta fare qualche partito che unisce, ma serve un percorso culturale ponderato, deve nascere un nuovo pensiero politico nella società, un pensiero che non può prendere corpo nel rabberciamento frettoloso che si è voluto imporre, nonostante tutte le buone intenzioni degli attori in campo.

Resto ancora di questa opinione e sinceramente mi auguro prossime evoluzioni, anzi sono certo che ci saranno se vogliamo davvero unire il paese, percorso sul quale concordo pienamente, ma aggiungo per i più distratti che tale percorso qualcun altro lo sta già facendo ed è riuscito a permeare anche quella roccaforte del lavoro peraltro già traballante da qualche anno a questa parte.

Quando forze politiche dichiaratamente secessioniste annunciano di essere il nuovo PCI e dichiarano, supportati dal concreto consenso operaio, che saranno loro a rappresentare il mondo del lavoro, lo vogliamo ammettere che un problema esiste? O facciamo finta di niente nascosti dietro i tabulati dei flussi elettorali?

La seconda cosa che sottolineavo e sulla quale sarebbe bene fare delle riflessioni era il bipartitismo, da mettere in atto con la riforma elettorale e tutto ciò che ne consegue come tutti sappiamo, ognuno è grossomodo al corrente di cosa si tratta, chi in modo più approfondito chi in modo più superficiale, chi non capendo assolutamente nulla della questione ma che lo appoggerà perché “lo dice il partito e il partito non sbaglia mai”.

A tal proposito, del bipartitismo, direi che se la condizione che prima ho sottolineato non si realizzerà, e cioè un nuovo pensiero politico, una simile legge elettorale condannerebbe la sinistra, o le sinistre, o i progressisti all’opposizione per tempi che azzarderei indicare come indefiniti.

I risultati elettorali ultimi, una sorta di tale prova bipartitica coatta, dovrebbero dirlo in modo ben chiaro, e questo nonostante l’impegno di chi aveva a disposizione anche i mezzi mediatici ed economici più adatti.

Sinceramente 8 e più punti percentuali di differenza (3-4 milioni di voti) tra destra e sinistra non si colmano solo con una nuova legge elettorale e con le riforme istituzionali in ogni caso necessarie.

Direi che ora per riflettere su tutto questo il tempo non mancherà, e nessuno si illuda o speri, i cinque anni del “leader avverso” saranno completi, perché insisto sul concetto della differenza tra le due parti : la sinistra segue l’ideale, la destra l’interesse.

Quando il primo crolla si porta dietro anche chi lo sostiene e lascia campo libero al secondo che diventa collante fortissimo, talmente forte da far superare ogni diatriba.

Non illudiamo quindi noi stessi, perché sappiamo bene che sarà così, e non illudiamo neppure tutto quel mondo che alla sinistra, riformista o meno, fa riferimento.

Dobbiamo cominciare a scavare a fondo in noi stessi, nella nostra politica, nella nostra visione della società, nel modo di proporre un’alternativa, io per esempio indico un’Alternativa di tipo Socialista, Riformista, Socialdemocratica, chiamiamola come meglio crediamo, altri indicano percorsi diversi ma affini, bene parliamone ma diciamo in modo chiaro l’approdo che vogliamo e guardiamo chi lo condivide.

Non credo possa esistere e avere lunga vita una forza politica che ambisce ad essere catalizzatore di una società più vasta che non dichiari espressamente da che parte sta, perché alle elezioni Europee il “ma anche” non funziona e tali consultazioni sono alle porte, oppure anche lì si resta nell’indefinito per non scontentare nessuno e tenere serrati i ranghi?

Non credo che una cosa simile sarebbe compresa.

Personalmente sono sicuro, per lunga vicinanza politica con molti aderenti, che tale forza vorrebbe gridare ai quattro venti la sua vocazione Socialista e Socialdemocratica, vorrebbe saltare a piedi uniti nella grande famiglia europea socialista e socialdemocratica, ma non lo fa per convenienza unitaria, pratica nobile ma non credo più dilazionabile oltre.

Una scelta, una scelta finalmente dichiarata, con coraggio, senza timori di perdere qualche pezzo perché ne acquisterebbe molti altri che farebbero pendere la bilancia in attivo, riconquistando quel consenso che oggi parrebbe definitivamente perduto.

Bisogna perciò scavare in noi stessi, e questo vale per tutte le forze politiche della sinistra, dichiarata o soffusa, valutare le prospettive possibili, e bisogna farlo in fretta per non cancellare anche le poche macchie rosse rimaste a resistere stoicamente, sole come una bistecca che galleggia in un mare di squali affamati.

L’armata “del leader avverso” non si fermerà certo per una telefonata di cortesia e schiaccerà ridacchiando come un rullo ogni ostacolo sul suo cammino se non si mette in campo un progetto reale e condivisibile, a partire dalla nostra Provincia oramai inquadrata nel mirino dei generali del luogo.

Prendiamo quindi i picconi e iniziamo a cercare da subito nel profondo della società, forse troveremo delle sorprese amare ma forse capiremo ciò che oggi non si è capito, alcuni dicono “meno salotti e più mercati”, altri “meno convegni e più bar”,  altri ancora “meno televisioni e più fabbriche”.

Tutti in ogni caso -  e sono leader politici navigati che dicono questo non solo io - seguono un filo chiaro che indica un distacco dal mondo reale che la sinistra stava percorrendo e che non ha compreso.

Probabilmente nello scavare troveremo il bandolo che serve, se saremo bravi, ma di certo dopo un pò sentiremo il dolore alle mani e alla schiena.

Allora ascolteremo le sofferenze dell’Italia che non abbiamo capito, l’Italia che lavora, che studia, che fatica, che è umiliata nel precariato, che muore sul lavoro per quattro soldi, sentiremo le sofferenze dei giovani e degli anziani, delle donne sole e delle madri  che non possono dare ai loro figli ciò che vorrebbero.

Queste sofferenze non le abbiamo sentite e abbiamo deluso le speranze della nostra gente, perché è questa la nostra gente.

Questa è la grande colpa alla quale dobbiamo rimediare. Bisogna rompere l’assedio.

Insieme, senza esclusioni, uniti in quella che sarà, temo, una nuova e moderna Resistenza.

DOMENICO MAGLIO