TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni

Diciannovesima punta del “ciclone Teardo”/ A  25 anni dagli arresti

IL MARESCIALLO RACCONTA:

<L’AIUTO DEI MIEI CONFIDENTI>

Moretti, per la prima volta, parla di quei giorni con Trucioli Savonesi

 

Il sottufficiale dei carabinieri in pensione è rimasto 22 anni alla squadra di polizia giudiziaria. Era stato incaricato di svolgere le prime indagini dopo l’esposto di Bailini. Parla di come scoprì la “talpa”, dei 21 telefoni sotto controllo, del nascondiglio dove Leo Capello custodiva la contabilità segreta del “clan”, del coraggio del colonnello Bozzo, della task-force dei giudici Granero e Del Gaudio. Infine Moretti ricorda la sua esperienza in Sicilia, ai tempi del bandito Giuliano, di Pisciotta, Brusca. Poi a Ventimiglia Alta, seconda Montelepre. A Genova, Torino. Tanti sacrifici, soddisfazioni, elogi e qualche amarezza

di Luciano Corrado

 

Savona -  Il “ciclone Teardo”. Chi sono gli inquirenti mai comparsi sui giornali o in tivù ? Operavano dietro le quinte, pur avendo un ruolo delicato nelle indagini. Le cronache portarono alla ribalta magistrati, giudici, ufficiali con le stellette. Oppure difensori di imputati e di parti lese. In questa diciannovesima puntata parleremo di un maresciallo dei carabinieri, Pietro Moretti. Un servitore dello Stato riservato e rimasto lontano dai riflettori. In pensione dal luglio 1987, dopo aver comandato, per 22 anni, la squadra di polizia giudiziaria.  Il primo a citarlo, nel febbraio 2007, è stato l’ex generale dei carabinieri, Nicolò Bozzo, nel libro “Nei secoli fedele allo Stato”. E ancora, ha “scoperto” il maresciallo Moretti, con un’interessante intervista, Massimo Macciò autore del libro “Le bombe di Savona- Chi c’era racconta”.

Per la “Teardo story” è stato Pietro Moretti che prese a verbale l’esposto-denuncia di Renzo Bailini, con l’avvio formale dell’indagine (ottobre 1981).  E’ Moretti che nei due anni precedenti ai primi clamorosi arresti (14 giugno 1983), seguì passo, passo la fase preliminare.

Toccò a lui scoprire, in tribunale, la “talpa”, che passava notizie riservatissime ad un avvocato. E’ Moretti  che “coordinava” i 21 telefoni sotto controllo nella “sala d’ascolto”, ospitata al piano terra del vecchio tribunale, a palazzo Santa Chiara. Fu Moretti a vanificare, grazie ad un prezioso informatore, il nascondiglio-fienile dove il cassiere del “clan”, Leo Capello, custodiva gran parte della “contabilità segreta”, il libro-mastro della spartizione delle tangenti, scampato ad una prima perquisizione. Fu un’intuizione di Moretti a sventare il tentativo di  Alberto Teardo di far sparire la “24 ore” al momento dell’arresto e perquisizione domiciliare. Era Moretti che, in sella ad un motorino, si spostava da un angolo all’altro di Savona per verificare incontri e spostamenti dei “pedinati”.

Oggi il maresciallo Moretti ha raggiunto le 77 primavere. Padre di due figli, quattro nipoti, vive con la moglie, insegnante in pensione, un riposo fitto di ricordi, aneddoti. Alle sue spalle una montagna di fascicoli, rapporti giudiziari, interrogatori. La cronaca nera e giudiziaria di un quarto di secolo. Casi risolti e misteri insoluti.

Non  è stato facile convincerlo che era utile, a fini storici, anche la sua testimonianza. Proprio lui che, in divisa o meglio in borghese per il suo ruolo, non aveva mai “voluto parlare” con i cronisti che incontrava quasi tutte le mattine, a palazzo di giustizia o al comando di Corso Ricci. In centinaia di occasioni arrivava sull’auto dei magistrati: delitti, rapine, interrogatori di arrestati, inchieste. E’ Moretti che riceva, dai magistrati inquirenti o dai giudici istruttori, i fascicoli relativi <a indagini e rapporto>. Custodiva, insomma, molti segreti di una provincia. Ha lavorato quando alla Procura della Repubblica si sono avvicendati i “procuratori capo” Torres, Tartuffo, Boccia e Russo.

Maresciallo, nessuno ha mai raccontato le ore immediatamente precedenti il primo “blitz” antiteardiano…

Moretti: <Dopo quasi due anni di accertamenti, riscontri, acquisizioni, testimonianze, arrivammo alla vigilia. Com’era abitudine, mi recavo quasi tutte le mattine nel vecchio tribunale a conferire con Granero e Del Gaudio. Sapevo che eravamo agli sgoccioli, ma non ero certo io a decidere. Quella mattina mi dissero che erano pronti, bisognava preparare la retata, senza farsi scappare nessuno. L’allora comandante del Gruppo di Savona, Nicolò Bozzo, si era recato a Milano per una riunione di lavoro. Gli telefonai e si precipitò a Savona...>.

Chi teneva d’occhio Teardo ed amici, allora era presidente della Regione…

Moretti: <Ricordo come fosse oggi, la vigilia. La sera prima avevano organizzato una cena elettorale nella trattoria a Madonna del Monte. L’informatore mi descrisse persino come erano seduti ad un tavolo a ferro di cavallo. Erano presenti quelli che sarebbero stati arrestati, ma anche altri…>.

Teardo era candidato al Parlamento, si parlava sui giornali, come lui stesso poi confermò, di un incarico governativo, sottosegretario. Non “pesava”? Timori?

Moretti: <Dico soltanto che si parlò, come ovvio, delle elezioni. Ricordo che Del Gaudio era il più determinato, ripeteva “dobbiamo fare il nostro dovere fino in fondo, nessun rinvio”. In parole povere, lui dell’inchiesta è stato, come si è già scritto, la “mente”, la “penna”, Granero il “braccio”, un ottimo organizzatore, coordinatore. Entrambi scrupolosi, meticolosi, riservati>.

 

Come organizzaste la retata? C’erano rischi di fuga…di talpe…

Moretti: <Con Granero, Del Gaudio e mi pare Giuseppe Stipo  in caserma, il colonnello Bozzo alla scrivania, si organizzò nei dettagli l’operazione arresti e perquisizioni, mobilitando tutti i comandi della provincia, assegnando compiti e ruoli…C’era un logistica: dove trasferire i detenuti, provvedere alle perquisizioni. Un lavorone. Ognuno un compito, una mansione e massima riservatezza >.

Le intercettazioni telefoniche, non si disponeva ancora della tecnologia di oggi, vi furono di aiuto?

Moretti: <Granero e Del Gaudio disposero che la sala d’ascolto che era divisa tra polizia, carabinieri e guardia di Finanza, fosse unificata e concentrata. Eravamo in tre, 12-14 ore al giorno di lavoro. Io continuavo a spostarmi in motorino…verificare gli incontri, riferire ai giudici>.

 

Quale fu la sorpresa, tra le intercettazioni, che più le restò impressa?

Moretti: <Ci sono aspetti delicati di cui non intendo parlare, alcuni sconfinano anche nella sfera della vita privata. Si è già scritto di una “talpa”, anzi ce ne fu pure una seconda…Nel primo caso mi occupai personalmente. Tra i 21 telefoni controllati, emerse che tale Panero conversando con tale Pregliasco  disse che avrebbero dovuto incontrarsi in quanto era in programma un interrogatorio di Teardo…informai subito Del Gaudio e Granero; avevo un piccolo registratore e feci loro ascoltare… la cosa creò disagio ed interrogativi perché solo un “addetto ai lavori” poteva essere informato.  Si scoprì che era una segretaria del tribunale, non c’era un problema di bustarelle, ma di cuore. Aveva una relazione con un giovane avvocato…>.

Ci furono altre conseguenze? E’ vero che in un caso si finì per intercettare anche il Quirinale, ai tempi di Pertini?

Moretti: <I giudici parlarono con il colonnello Bozzo e decisero di trasferirsi nella caserma di Corso Ricci. Devo ammettere che per Bozzo fu una decisione coraggiosa, perché nel frattempo mi pare che Craxi fosse diventato presidente del consiglio e in più occasioni fece sentire la sua voce…Sul Quirinale nessun segreto, ci sono atti pubblici>.

A proposito di aspetti inediti, ricorda come fu sventato il tentativo di Teardo di disfarsi della “valigetta” contenente materiale, diciamo “scottante” e poi finito tra gli elementi probatori dell’accusa e delle motivazioni di condanne?

Moretti: <L’esperienza è stata di aiuto. Nella fase preparatoria si pensò anche che all’esterno delle abitazioni, dove necessario, dovessero esserci dei carabinieri. E questo permise di scoprire che Teardo quando sentì il campanello e chi suonava, ancora  in pigiama nascose una valigetta, mi pare sul terrazzino dei vicini; i carabinieri notarono il maldestro tentativo…>.

E la storia della cassaforte nell’albergo di Leo Capello a Spotorno? Sorsero parecchi dubbi e dicerie…

Moretti: <Non mi sembra corretto, anche a distanza di anni, lasciare ombre, illazioni. Si era trattato di una banale dimenticanza, come può accadere in ogni operazione complessa. Chi si era recato in albergo dovendo pensare all’incombenza di “prelevare” l’arrestato e operare la perquisizione, una volta giunti in caserma ammise che la cassaforte non era stata aperta in quanto non si era trovata la chiave. Alla richiesta se avesse, provveduto a mettere dei sigilli e che questo non era accaduto, si è tornati a Spotorno, ma la cassaforte ormai era vuota. Conoscendo bene la zona e grazie ad informatori, risalimmo all’esistenza di un nascondiglio-pollaio in località Metti, sulla collina di Spotorno. E la perquisizione diede buoni risultati, si trovò un’ agenda, fogli, tanto materiale utilissimo. Ricordo che Granero mi fece i complimenti. Quel materiale era il “cacio sui maccheroni”. Impresse un’ulteriore svolta, oltre a confermare il certosino lavoro della guardia di Finanza nella banche>.

 

A proposito, c’era anche Renzo Bailini tra gli informatori più assidui?

Moretti: <Mai avuto rapporti con lui.  Ricordo come fosse ieri, la mattina che, per caso, lo trovai nell’atrio della Procura. Protestava perché, a suo dire, un precedente esposto era andato perso… lo invitai a seguirmi in caserma e qui che, secondo il linguaggio burocratico, feci un verbale di ricezione di denuncia…di lui, del suo passato non sapevo nulla>.

 

Il maresciallo Moretti ci tiene a ricordare che il suo ruolo è stato quello di un “lavoro di squadra”. Molti altri, vuole rimarcare, hanno lavorato, operato con impegno, dedizione, professionalità. E come lui, rimasti nell’ombra. Suoi colleghi dell’arma, ma soprattutto la Finanza, la polizia. L’unico momento di svago tra chi non contava orari, né straordinari, erano stati alcuni incontri conviviali. Momenti di raro relax, in giorni, mesi, in cui Savona era finita alla ribalta della cronaca nazionale. Con due magistrati, per la prima volta nella storia savonese, “sotto scorta”, con auto “blindate”, vetri degli uffici corazzati.

Quattro anni dopo gli arresti, Moretti andrà in pensione. Uno dei protagonisti di quelle pagine destinate alla storia, lasciava il servizio quasi nell’anonimato. Il suo nome non si trova nelle cronache e nelle pagine di quei giorni. Una sua abitudine: quando scorgeva i fotografi, faceva in modo di “nascondersi”.

E c’è da scommettere che senza la spinta di quel suo  ex ufficiale, con quelle citazioni nei due libri, Pietro Moretti avrebbe continuato a tacere.

Alle sue spalle una storia avvincente, di uomo in divisa che ha “sacrificato una vita per servire lo Stato democratico, i cittadini, la legge, la giustizia. Ha superato anche momenti da dimenticare.

Pietro Moretti è nato a Pareto (Cuneo). Si è arruolato nell’Arma nel 1948. Undici mesi di scuola allievi a Roma. Poi al battaglione di Palermo. Sei anni in Sicilia. La prima stazione dei carabinieri dove ha prestato servizio era a Piano dell’Occhio, una caserma isolata, sulla strada tra Palermo e Montelepre, il paese di Pisciotta. (<Quando uscivamo a fare la spesa – ricorda Moretti – dovevamo essere non meno di cinque e sempre armati>). Poi due anni alla stazione di Cinesi. In quel periodo il giovane carabiniere Moretti vede il cadavere di Salvatore Giuliano, a Castelvetrano. Era il 1951. Il bandito fu avvelenato, scaricato morto, fatto segno a colpi d’arma da fuoco alla schiena, da messinscena.

Moretti presta servizio pochi mesi a San Giuseppe Iato, il paese di Brusca, nelle “squadriglie”. Ricorda che dopo la morte di Giuliano le squadriglie (CFRB, comando forze repressione banditesca) al comando del colonnello Luca, furono ridotte. Ricorda il capitano Perez. Ricorda che tra i confidenti c’era Pisciotta (cugino di Giuliano) e girava col tesserino dei carabinieri.  Ricorda la rocambolesca fuga dello stesso Pisciotta che non fidandosi più del CFRB, preferì farsi prendere dalla polizia, in casa. Quel giorno Moretti partecipava ad un posto di blocco e vide prima arrivare, poi ripartire l’auto della polizia.

Dalla Sicilia alla Liguria. Alla stazione di Ventimiglia Alta. Ricorda quell’interminabile viaggio in treno, da Palermo. Obbligo ferreo di indossare la divisa. Alla stazione di Savona, Moretti, vede salire il controllore. Controllando il biglietto, le stazioni di partenza e arrivo esclamò: <Lei va a Montelepre…rimasi stipito..>.

In effetti a Ventimiglia Alta, in quegli anni, erano quasi tutti siciliani. Gente che cercava di emigrare in Francia e veniva rispedita oltreconfine. Una delinquenza da far spavento, poco da invidiare a quelle zone dell’isola che aveva lasciato. La stazione dell’arma era comandata dal maresciallo Briozzo, valente sottufficiale, originario di Calizzano, vissuto a Diano Marina.

<Un periodo duro, difficile – ricorda Moretti – alle prese con clandestini, ed almeno due o tre maxi rissa a notte. Molte armi in giro. Con una cinquantina di delinquenti della zona di Ramacca, Racalmuto, Palma di Montechiaro>.

Quindi due anni in servizio a Noli. <Indossavamo ancora la divisa di tela, zainetto e moschetto a tracolla, servizio in bicicletta, col caldo e col sudore>. E’ qui che Moretti conosce la persona che diventerà sua moglie. Fedele compagna di vita e di traslochi, mamma premurosa.

Da Noli a Finale Ligure, al comando della squadra di polizia giudiziaria, in pretura c’era il giudice Giuseppe Giordano, poi destinato al tribunale di Savona  e per anni presidente della Commissione tributaria di primo grado.

Dopo un anno e mezzo, a seguito di domanda di matrimonio, Moretti viene trasferito a Genova, al Nucleo di polizia giudiziaria che aveva giurisdizione sull’intero territorio ligure. Lo segue la moglie, insegnante di ruolo, al Turchino. E qui, sorpresa inattesa, col sì al matrimonio nuovo trasferimento, questa volta a Torino. C’è bisogno dell’esperienza di Moretti  e finisce al Nucleo di polizia giudiziaria, con un arretrato spaventoso. Pile di fascicoli inevasi sul pavimento.

Aneddoto curioso. Moretti nel nucleo torinese ha tre “superiori”: Troia, Vacca, Capra. Altro che stalla! Umorismo a parte, lavora sodo, conquista la stima di tutti. Esaurisce l’arretrato.  Lui a Torino, la moglie a Genova. <E’ stata una donna eccezionale, mi ha sempre aiutato a superare anche i momenti difficili…>.

Pietro Moretti  conquista, con pieno merito, il grado di brigadiere e riesce a tornare a Genova che definisce <una bellissima città, rispetto a Torino>. Cinque anni nel capoluogo ligure, poi di nuovo a Savona, nella squadra di polizia giudiziaria, con competenza a livello provinciale, prendendo il posto del maresciallo Amico.

A Savona ha vissuto il periodo delle “bombe” del ’74-‘75 (ha seguito a fondo solo l’attentato al traliccio di Madonna degli Angeli, da qui il suo intervento raccolto nel libro di Macciò). L’inchiesta su Teardo e tantissime altre vicende, grandi e piccole, note e meno note. Con l’avvento del procuratore Michele Russo sorsero problemi. Negli ultimi mesi, fu il comandante del Gruppo, Massimo Cetola, che preferì spostarlo al Nucleo operativo. <Di Cetola ricordo incoraggiamenti e solidarietà>.

E’ in quel periodo che Moretti si trova al centro di quella che può essere definita “disgrazia”.  A causa di una lotta intestina, spiacevolissima, per la cooperativa edilizia dei carabinieri, a Legino.

Moretti nel mirino di un’inchiesta, lotta con tutte le sue forze e non pochi dispiaceri (<E’ difficile dimenticare il trattamento che ricevetti da Russo, le sue parole…mi ferirono al punto che un giorno stavo perdendo le staffe mentre ero nel suo ufficio..>.

Lui che aveva servito la giustizia, la legalità, doveva difendersi da accuse da “ingiustizia”, bersagliato da esposti. Un’esperienza da dimenticare e che pesa nei ricordi. <Compresi – ripete – quegli articoli, quei titoli ingenerosi, proprio sul Secolo XIX, per me erano un vero e proprio colpo al cuore>.

E’ l’ingrato lavoro del cronista. Moretti e non solo, ricorderà le cronache che coinvolsero lo stesso procuratore Russo qualche anno dopo. Le locandine in mostra davanti alle edicole. Anche Russo non si stancava di protestare innocenza e “vittima”, a suo dire, dell’ingiustizia.

E’ sempre lo stesso cronista che oggi raccoglie inedite testimonianze di un servitore dello Stato entrato, di diritto, nella storia della provincia di Savona. Moretti  <cammina a testa alta>, coltiva in buona salute (un occhio l’aveva perso in servizio) i suoi hobby: il miele, le api, l’orto, l’operosità. 

Lunga vita, caro maresciallo!

Luciano Corrado