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Quale verità?

Margherita pira

 

Alcune sere fa mi sono trovata con una mia vecchia classe che – cosa unica nella mia carriera - si riunisce tutti gli anni , da trent’anni, per la cena di classe.
E’ una cosa molto belle che ci tiene legati da un filo fatto di ricordi e di rimpianti per una scuola, l’ ITIS “G. Ferraris”, che è stata un punto fermo per generazioni di savonesi e per l’intera città che poteva vantare una forte realtà industriale e quindi era orgogliosa di un posto in cui si formavano le maestranze richieste da mercato del lavoro.

Ma non è di questo che volevo parlare, bensì di una conversazione casuale che si è trasformata in una discussione problematica.

Questi, giovani ancora, ma non più ragazzi sono ormai dei tecnici affermati che hanno percorso la via di carriere di successo.

Ci trovavamo allegri in un ristorante confortevole del centro storico e il discorso è andato per caso sugli incidenti nei luoghi di lavoro.

Io ho parlato di questi esprimendo orrore, disgusto e dando la colpa del tutto alle imprese che non tutelano a sufficienza la sicurezza dei lavoratori.

Stranamente non mi sono sentita approvata.

Ricordo che parlavo a persone affermate proprio nel campo di imprese, spesso controllate da multinazionali.

Mi sono sentita rispondere che la sicurezza è il primo punto degli impegni dei responsabili del lavoro, che vengono rispettate tutte le leggi, che vengono fatti dei corsi proprio sulla sicurezza ai nuovi assunti prima di immetterli nel circuito produttivo, che gli strumenti contro il pericolo ( tipo elmetti protettivi, agganci sicuri… ) vengono imposti e poi non utilizzati dai lavoratori per non esserne infastiditi.

Mi è sembrato che si tendesse a colpevolizzare i lavoratori stessi e considerare la causa degli incidenti l’errore umano.

Uno dei presenti mi ha detto che la sua azienda è collegata in rete con tutte quelle esistenti nel mondo dello stesso gruppo e che l’incidente anche minimo capitato ad esempio in Giappone viene conosciuto nel giro di un’ora in tutto il mondo ed un ispettore di alto livello si preoccupa subito di analizzarne le cause e di predisporre gli accorgimenti perché non si ripeta in futuro.

Mi sono trovata davanti ad una realtà che non conoscevo o meglio a conoscere l’altra faccia della verità, cioè quella degli staff dirigenziali.

Ho ribattuto, ma poi non abbiamo approfondito oltre il discorso che avrebbe sciupato un incontro piacevole.

A casa però ho riflettuto e ho ripensato ai più di mille incidenti all’anno sul lavoro, che sono una verità inconfutabile, che suscitano orrore e sdegno nell’opinione pubblica, solidarietà tra i colleghi delle vittime, scioperi spontanei e poi tutto resta così. L’unica cosa che rimane, ma non più da prima pagina, è la realtà di una vita rubata e la disperazione dei familiari dei quali spesso ci si dimentica.  

Ora credo ora di essermi trovata davanti alle due facce della medaglia. Esistono due mondi lavorativi paralleli: quello delle grandi industrie e quello delle ditte che appaltano i lavori da eseguire a cottimo.

Ciò che mi è stato detto a quella cena è sicuramente vero, ma riguarda una fetta parziale del mondo lavorativo. In Italia, come per tante altre cose, esiste un mondo sommerso e oscuro del mercato del lavoro che spesso sfugge ad ogni controllo

E’ quello delle piccole imprese a conduzione quasi familiare in cui lavorano persone legate da vincoli di parentela o comunque del luogo che non rispettano le norme di sicurezza elementari perché clandestine e difficili a rintracciare anche dai più abili agenti della Finanza o comunque delle forze dell’ordine.

Un esempio può essere quello delle fabbriche clandestine di fuochi artificiali dove spesso lasciano la vita  o almeno qualche arto gli stessi proprietari.

Poi le società che prendono in appalto un lavoro.

Anche queste spesso non sono regolari e assumono lavoratori occasionali, molto giovani o extracomunitari che accettano l’offerta per disperazione.

Mi ritornano in mente alcuni versi di una vecchia canzone di protesta di cui non ricordo né il titolo né l’autore. E’ databile all’incirca attorno agli anni settanta.

I versi dicevano “Sono apprendista manovale/ vivo meno per campare”

Siamo ancora a questo punto ed è triste che in tanti anni le cosa non siano cambiate.

Le cose sono diverse però se gli incidenti avvengono in grandi fabbriche, come ad esempio la Fiat.

Qui i perché si fanno più incalzanti e non sono ancora riuscita a trovare una spiegazione proprio tenendo conto di ciò che mi era stato detto alla cena.

Anche la Fiat disattende le norme sulla sicurezza, almeno nel Sud?

La risposta degli industriali al decreto legge sulla sicurezza che inaspriva le sanzioni alle aziende colte in inadempienze ha lasciato veramente esterrefatti per il cinismo con cui metteva in secondo ordine di fronte al profitto la vita di esseri umani.

Qui il problema diventa politico e vedremo il Governo che uscirà dalle prossime elezioni come affronterà la questione.

Anche su questo si giocherà la propria credibilità. 

Margherita Pira