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POLITICA ANCELLA DELLA FINANZA

di Marco Giacinto Pellifroni

 

Oggi l’Italia è andata al voto nella speranza di scegliere il minore dei mali, pur nell’intima consapevolezza che il minore di tutti sarebbe quello di spazzare via la maggioranza di coloro che si candidano alla guida del paese: ossia, ancora quelli che hanno finto di guidarlo negli ultimi lustri, coi risultati purtroppo sulla pelle dei ceti medio-bassi, impoveriti da un’inflazione sul fronte delle spese, congiunta ad una deflazione sul fronte dei redditi.

Per loro stessa definizione, le banche centrali hanno il compito precipuo di difendere il valore, ossia il potere d’acquisto, della moneta che emettono; mentre i governi sono chiamati a mettere in atto tutte le misure che ritengono idonee a questo stesso scopo, cosicché salari, stipendi e pensioni rimangano al passo con i prezzi di mercato. Al coordinamento tra questi due organi, finanziario e politico, è affidato il benessere del paese.

Se questo coordinamento aveva una sia pur decrescente validità fintanto che la Banca d’Italia vigilava sugli interessi italiani, insomma era “di parte”, e aveva regole compatibili con questo obiettivo, le cose sono drasticamente cambiate da quando si è, in una sorta di “68 dei vertici”, pensato in termini europeistici e, peggio ancora, globalistici. D’un tratto tutte le vecchie regole sono state bollate come grettamente nazionalistiche, mentre ci attendeva, rinunciando alla nostra antiquata visione, un fulgido progresso assieme a tutte le altre nazioni europee.

Con la regia del vate Carlo Azeglio Ciampi, tutti gli steccati difensivi della nostra autonomia monetaria, industriale e commerciale sono stati eroicamente abbattuti, consegnandola a remoti poteri transnazionali con sedi a Bruxelles, Strasburgo, Francoforte e soprattutto a Basilea, sede della potente BIS (Bank of International Settlements). Se prima l’Italia aveva il problema del Sud, ora era diventata lei stessa un problema, in quanto Sud d’Europa. Nacque così l’idea di “europeizzarla”, procedendo verso massicce privatizzazioni, perlopiù xenofile, nell’illusione che, lasciando la direzione della nostra economia a entità straniere, il miracolo della sua de-provincializzazione si sarebbe verificato. Per spingere le cose ancora più a fondo, si favorì la penetrazione, anzi la commistione, della finanza nell’economia reale, rimuovendo i saggi divieti che sino allora avevano impedito alle banche di diventare socie, ossia di entrare nei CdA, delle imprese, acuendo gli appetiti delle prime verso le seconde e farne un sol boccone.

La finanza riuscì così a impossessarsi dell’economia, concentrando le imprese e accorpandole in multi-nazionali, sempre nello spirito di togliere quanto più possibile i connotati d’origine sia alle imprese che alle banche stesse, col capolavoro finale della resa totale di Bankitalia al giogo di una banca centrale, la BCE, che, sottratta ad ogni controllo della politica italiana e composta di persone scelte dal gotha finanziario e non in base ad elezioni di popolo, al quale render conto, praticamente legifera in materia monetaria, finanziaria e, quindi, economica. In un sol termine, fa politica al di sopra dei governi. Le sue decisioni sono prese in sedute secretate e non soggette ad approvazione da parte di nessuna nazione dell’euro-zona.


      Ciampi e Draghi

Questa magistrale svendita di ogni nostro potere a una lobby di finanzieri stranieri è stata voluta ed effettuata sotto la direzione di due personaggi provenienti dal mondo bancario, naturalmente: oltre al succitato Carlo Azeglio Ciampi, venerato maestro del passato quindicennio e oggi finalmente in pensione (tranne quando vota in Senato), va menzionato Mario Draghi, attuale autorevole governatore di Bankitalia e contraddistinto da un pedigree in Goldman Sachs, primaria banca d’affari americana, al cui servizio milita anche, dall’estate scorsa, Gianni Letta, futuro ministro berlusconiano in pectore. (Ma non si configura come conflitto d’interessi questo ripetuto passaggio di funzionari da pubblici a privati e viceversa?).

Con una simile regia, c’era da aspettarsi il varo di norme agevolanti l’insinuazione, graduale ma decisa, del sistema bancario nella vita collettiva; e così è stato.

Quanto alla politica, o che tale presume di essere, l’appiattimento sulle esigenze bancarie non poteva essere più servile. Il governo uscente ne è stato ulteriore conferma, ad es. con le limitazioni alla circolazione di denaro liquido, col pretesto dell’anti-terrorismo. Ma anche l’attuale presidente della repubblica non ha voluto esser da meno: lo statuto di Bankitalia imponeva che essa fosse di proprietà pubblica, e invece da decenni non lo era più? Poco male, assieme al neo-eletto presidente del consiglio Prodi, varò una legge che modificava quello statuto, facendo scomparire la clausola scomoda. Ci vuol così poco a fare un piacere agli amici. E non posso che condividere quanto Berlusconi pensa e dice di lui.

Ma l’esondazione delle banche nella nostra vita, ovviamente, non finisce qui. Infatti, sono state lasciate libere di fare prestiti fino a 50 volte le loro disponibilità liquide, fino allo zero in cassa. Prima il fattore era di 5. Ora, dopo le onde lunghe della tempesta perfetta, originata dai mutui subprime americani e dai relativi collaterali, si sono fatte molto più caute, persino nei prestiti interbancari. Anche se, a onor del vero, le banche italiane, almeno quelle non di profilo internazionale, ne sono state assai meno contagiate, grazie a idee e comportamenti considerati sino all’anno scorso “arretrati” dai grandi banchieri d’affari: gli inventori, appunto, della finanza strutturata, di cui avrebbero dovuto a buon diritto essere le prime vittime.

Ma, ancora una volta, mentre la presunta politica tace, le banche centrali sono state e sono chiamate a grandi operazioni di salvataggio delle banche mediante poderose iniezioni di liquidità; del resto basta far andare le rotative e zac! scaturiscono dollari ed euro a volontà; o meglio ancora, basta il tocco di tasti su un computer e i poveri banchieri sono al sicuro. Quando però qualcuno obietta che, mentre i banchieri, responsabili di enormi bancarotte, si salvano con tanto di milioni di $ o € di “premio”, ai comuni cittadini, in affanno per il crescere dei tassi sui mutui e per il lievitare dei prezzi dei beni essenziali, non si va altrettanto in soccorso, la BCE ribatte che i tassi non si toccano e le retribuzioni vanno bloccate, sennò cresce l’inflazione! E se qualche imprenditore medio-piccolo aggiunge che non ce la fa più con un cambio dell’euro così alto e con la libera concorrenza di paesi come la Cina (che non vuole tariffe doganali sulle sue esportazioni, ma li applica sulle importazioni!), la BCE ancora ribadisce che il cambio non si tocca e il libero mercato neppure, perché questa è la nuova sfida che tutti (tranne loro, i banchieri, e i politici al loro servizio) siamo chiamati a fronteggiare nel nuovo millennio.

E, a proposito, i politici? Stanno a guardare: non devono mai contraddire il mondo della finanza, ossia la sfera improduttiva della nazione -tra improduttivi si intendono bene- grazie al quale loro sono dove sono. Quanto alla popolazione che arranca, beh, in qualche modo si ingegnerà, l’Italia è un paese che ha sempre saputo arrangiarsi; l’importante è che non si tocchi la spesa pubblica (che include tutte le loro prebende), per il resto, a dispetto degli umanitari discorsi pre-elettorali, chi se ne frega. Funziona così anche nei regimi totalitari, dove stanno bene solo in alto; noi però abbiamo il bene della democrazia, andiamo a votare e possiamo lamentarci: un articolo come questo ad Haiti o in Cina mica me l’avrebbero lasciato scrivere! Ma dategli tempo, prima o poi il bavaglio della censura arriverà, con qualche pretesto, che so, della sicurezza, dell’anti-terrorismo, del rispetto delle istituzioni, ecc.: un po’ l’equivalente delle “attività anti-sovietiche” d’oltrecortina.  

Marco Giacinto Pellifroni                                             13 aprile 2008