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Cacciali, Italia! S’ha da fare

di Nonna Abelarda

Volevo scrivere un pezzo dedicato alla politica. L’avevo anche quasi già scritto, per la verità.

Ma poi ieri ho visitato a Genova la mostra Energethica, sullo sviluppo sostenibile (espressione per la quale, lo so, molti, soprattutto al centro-destra ma non solo, tirano fuori aglio e crocifisso e paletti di frassino).

E allora ho pensato che le cose importanti, in fondo, sono altre.

Lo so, purtroppo la politica ha influito e influirà eccome, su di esse, per lo più in peggio, ma intanto parliamone un po’.

La mostra riguardava le energie cosiddette alternative: dal sole, solare termico e fotovoltaico; dal vento, parchi eolici e aerogeneratori; dalla terra, biogas, per esempio da impianti collegati con allevamenti di bestiame,  biomasse, geotermico, con sonde che riescono a sfruttare le differenze di temperature fra superficie e sottosuolo sia per il raffreddamento, sia per il riscaldamento.

E poi, tutto quanto si sta sperimentando sull’idrogeno, come le celle a combustibile, l’azione di batteri,  e poi l’idroelettrico, con progetti che vorrebbero ricavare energia anche dalle onde del mare.

E naturalmente, non bisogna dimenticare ( e lo dimentichiamo spesso, ahimè) che la prima fonte di energia è il risparmio. Che non significa disagi o limitazioni dello sviluppo economico, ma solo, in primo luogo, eliminazione di sprechi e consumi sbagliati, in secondo luogo, efficienza. Prima ancora di pensare allo sviluppo di energie “pulite” e rinnovabili, solo  con l’utilizzo di appropriate tecniche, dalle lampadine a basso consumo ai led per illuminazione pubblica alla coibentazione degli edifici agli  infissi isolanti alla bioedilizia, si potrebbero senz’altro eliminare alcune centrali dannose e inquinare un bel po’ in meno.

Ho visto, per esempio, le case ecologiche che stanno costruendo ad Albenga, cooperative edilizie per i vigili del fuoco, dotate di accorgimenti che vanno dal fotovoltaico agli isolanti al riciclo parziale delle acque. Un progetto apprezzatissimo e ammirato.

Peccato che a Savona non si trovino spazi per iniziative di edilizia a misura d’uomo e biosostenibile. E già tutto occupato da palazzoni inutili costruiti e costruendi.

 Ho visto tecniche di coibentazione di muri, sottotetti con strati in fibre naturali, riscaldamento con tubi dal pavimento, impianti a pellets. Tecniche di mobilità cittadina con auto e moto elettriche, ricaricabili ad apposite colonnine, come ne stanno sperimentando mi pare a Milano, e strani veicoli basati su principi magnetici.

Ho visto il progetto Robinwood, della regione Liguria, per lo sfruttamento intelligente dei boschi, sia i residui di incendi o di taglio sia il sottobosco sia le risorse come i funghi. Ho visto le prime, promettenti piantagioni di erbe aromatiche in Val Bormida per ricavare oli essenziali. Prima tutti ridevano scettici, ora si registrano adesioni entusiaste e iniziative di emulazione. Chissà come mai.


Varese Ligure

Ho visto lo stand dedicato al bellissimo esempio di Varese Ligure, un paese che per l’iniziativa coraggiosa di un sindaco, di opporsi allo spopolamento delle valli, è diventato un fiore all’occhiello. Non ha fatto il percorso cialtrone di molti, cercare la certificazione ambientale a scopo pubblicitario e fare qualche iniziativa di facciata, no, loro ci hanno creduto veramente, e solo dopo, a conti fatti e risultati raggiunti, si sono certificati

Lo stand Enel era affollato, anche perché regalavano lampadine a basso consumo, oltre a promettere futuri radiosi fra fiorellini e cieli limpidi, che neanche le sette religiose più deliranti. Lo stand Tirreno Power, con le sue belle vedute di ciminiere, era un pochino meno frequentato, chissà come mai.

I visitatori erano soprattutto addetti ai lavori, più che pubblico generico. Comunque, si notava una presenza estesa di giovani e giovanissimi, tecnici, studenti.

Guardandoli, mi si riscaldava il cuore: sono il nostro futuro, pensavo, è tutto in mano loro, e speriamo abbiano le forze, l’entusiasmo, le capacità e la speranza per risollevare questa terra devastata, per ritrovare un equilibrio e una vita più sana e felice.

Provavo insieme malinconia e speranza.

Speranza, per i loro sorrisi, i loro sguardi ancora curiosi, non inaciditi e aridi: malinconia, per la pessima eredità che stiamo loro lasciando, e anzi, siamo persino restii a lasciare, tenendoci egoisticamente tutto, potere e leve di comando.

Malinconia, per la visione di quei ricercatori che continuano a essere entusiasti e motivati nonostante i loro posti siano precari, il loro stipendio risibile, le possibilità di carriera un miraggio.

E pensavo, ecco l’unica cosa che può salvarci, riscattarci da malafede, ignoranza e mediocrità, sconfiggere l’avanzata del cialtronismo trionfante: le tante persone coraggiose, a volte anche isolate, che ci credono, che vogliono crederci, che vogliono fare, che hanno lungimiranza, disinteresse, passione, come quel sindaco, come qualche piccolo imprenditore di belle speranze che ama la sua terra, come questi giovani ricercatori.

Finché abbiamo tutto questo, non siamo sconfitti del tutto. E’ quasi un miracolo, ma esiste.

Poi sono uscita dal padiglione, in un pomeriggio freddo e piovoso, e ho ritrovato i manifestoni, i faccioni,  gli slogan iperbolici sugli argomenti che “tirano”, trattati in modo superficiale e demagogico, per far presa sulle “masse”.

I cialtroni, insomma. Sarà stato il clima, ma mi è subito tornata la depressione.

Pensavo alla sinistra, quasi tutta molto benevola verso inceneritori e carbone e “sviluppo insostenibile” per promuovere lavoro, precario, malpagato, intossicante e pericoloso, al punto da boicottare le ricerche epidemiologiche su aumento dei tumori correlato all’inquinamento.

Al ritorno del nucleare invocato dall’arcoriano, che considera le rinnovabili al più un innocuo e divertente trastullo, per sottrarci alla dipendenza dall’estero. Come se l’uranio fosse da noi così abbondante, che lo regalano con le merendine. Senza indagare su pericolosità e rifiuti radioattivi, ci si rende conto cosa vorrebbe dire avviare oggi un programma dal nulla, in termini di tempo e costi? No, non ce ne rendiamo conto. Neanche vogliamo saperlo. L’importante è catturar voti soddisfacendo la chiacchiera da bar sport, che fra un bianchino e una discussione sulla Juve intercala anatemi contro quel “maledetto referendum antinucleare”, che ha lasciato indietro la nostra economia.

E’ così piacevole, così appagante, trovare sempre capri espiatori a buon mercato, bersagli facili e univoci da individuare. La complessità del reale annoia, lasciamola ai filosofi. De resto, non è su queste illusioni e semplificazioni che si sono costruite le fortune del Cavaliere? E ora altri vorrebbero seguirlo a ruota su questa promettente strada.

Finché dominano l’economia fine a se stessa e la gerontocrazia, ottusa, miope, egoista, in possesso dei mezzi di informazione e della politica, non abbiamo speranze. Finché abbiamo questi ottantenni e settantenni e giovani cinquantenni un po’ “blasè”, non aspettiamoci novità o cambiamenti.

E quei giovani tanto promettenti ed entusiasti che ho intravisto a Genova, sono destinati a girare in tondo per quelle fiere di belle speranze come topini nel labirinto.  

Liberiamoli, liberiamoci per carità. Non so ancora come o quando, ma mandiamo via una volta per tutte queste facce impresentabili, facciamo entrare persone massimo quarantenni, e persone vere, non finti giovani dal look accattivante o i nobili natali pudicamente nascosti, addestrati alla bisogna e pronti a non mordere la mano che li nutre.

Il futuro, l’ambiente non dovrebbero essere argomenti di destra o di sinistra, ma di chiunque abbia a cuore la sorte dei suoi figli e nipoti, la sorte del suo mondo. Chi propala idee in malafede, pensi a cosa si ritrova sulla coscienza.

Non so ancora come o quando, ma so che questo cambiamento radicale, questa svolta epocale e generazionale e di mentalità  va fatta, e che dipende da noi, da tutti noi. Pena, il declino totale o il collasso ambientale. Quello vero, non lo spauracchio che amano citare. Liberiamocene, liberiamoci.

Lo slogan dovrebbe essere uno solo: cacciali, Italia. Tutti quanti, questa generazione di politici. Non si può fare, ma si deve fare.

Nonna Abelarda