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UN PUNTO SFUGGITO
AI PROGRAMMI

di Sergio Giuliani

 

Per combinazione (e per disperazione sanremasca!) sono capitato in un angolino di “Ballarò” che non seguo perché mi viene a noia il vociare multiplo, le rumorose ed ammiccanti claques degli onorevoli e il saltabeccare del conduttore che, all’americana, gode di più a provocare che a far ragionare.

Ma la sociologa Chiara Saraceno ha posto un problema enorme tra gli enormi: la società italiana, sia la colpa di chi sia, non è più ripartita in “classi” dalle quali è lecito e meritorio spostarsi, ma in caste medievali da cui non si risale.

Tutti gli strumenti costituzionali (il lavoro, la scuola, le “carriere”) hanno perduto qualità, si sono come rappresi: non sono più scale da salire, ma strutture crudeli e insufficienti che albergano dispersione e dequalificazione scolastica, precariato a singhiozzo con remunerazione, quando c’è, incommensurabile con quanto serve per attrezzarsi al vivere odierno e condanna a mansioni o banalmente ripetitive o, peggio, (è di poche ore fa l’ultimo – ma solo in ordine di tempo,purtroppo! – morto sul lavoro nel porto di Genova lasciate volutamente in balia del pericolo.

In pratica – dice la sociologa – oggi chi nasce operaio condanna il figlio ad essere operaio anche lui, perché la mobilità sociale, conquista sancita nella Costituzione (“I capaci e i meritevoli…”) si inizia dalla parte alta della piramide, dai ceti di un certo privilegio e non dal basso, come pur avveniva, sia pure con sacrificio e con un’idealità “operaia” che poneva al primo punto dello sviluppo (non della semplice crescita) la scolarizzazione seria e la cultura professionale.

Sono le verità enormi e quasi banali che sconcertano: sono davanti agli occhi e non ci si pensa neppure! Tutti i leaders lanciati nel forcing elettorale discutono di regolamentazione delle imposte o di aumenti salariali (cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non muta), di “assistenza” statale (!!!), di “scala mobile” (senti senti! Ma non c’era la “globalizzazione”?) quando non di “federalismo” che riporterebbe piccoli Lichstenstein, piccole patrie e piccoli, nani, pensieri.


Chiara Saraceno

Con economica sapienza risaliamo alle cause della “miserizzazione” dell’Italia e le ritroviamo giustamente in tre parametri indiscutibili: assenza di materiale energetico sul nostro suolo, tsunami statunitense per cui troppo s’avvalora l’euro e le economie rampanti di Cindia. Tutto giusto, ma...

Ha ragione la Saraceno:

una nazione che deprime le proprie umane risorse, le cancella per tenere aperta soltanto una porta stretta (è di oggi la notizia che, in un’Università italiana, tutti i docenti sono figli o di politici o di docenti dello stesso incarico) non ha tempo e luogo per inchiedersi sulle ragioni della decadenza e della perdita di tono del polso della vita associativa.

Il giovane si sente compresso e depresso da una situazione vischiosa che non gli consente supporti per avanzare secondo legittime ambizioni, che sono il sale e il condimento di uno stato agile, moderno, dalle strutture dinamiche e velocemente disposte alla metamorfosi.

E’ a lui che bisogna pensare,al giovane che deve essere messo in orbita,dotato di meccanismi di osservazione, di sopravvivenza e di avanzamento. E’ alla ricchezza-giovane che s’ha da pensare; non al ponte sullo stretto!

Curiamo pertanto la scuola, l’orientamento,l’avviamento al lavoro. Conviene a tutti liberare i giovani dall’emergenza, facendo loro assaporare il gusto sano della competizione e dell’emulazione sociale secondo meriti e predisposizioni e serietà d’impegno. Un giovane deve poter giocare la partita da cui si sente attratto nel ruolo per cui si è seriamente preparato e non esser costretto alla “panchina”.

Non facciamo discorsi di egualitarismo anonimo per cui c’è il rischio di creare un insieme di uomini tristi, banali e senza accensioni di estro.

Non è dando “salari minimi garantiti” (“ma anche…”), ma è dando carte che si rinnova il gioco. Ci vuole progettualità nuova e decisa. Urgente! Primo e solo punto di un programma. Lasciare che i giovani producano ricchezza per sé e per la cosa pubblica significa stimolare l’inventiva, il coraggio di cambiare strada spesso e radicalmente, premiare l’insistenza; aprire il cielo!

Lo sappiamo noi anziani che abbiamo usufruito delle mobilità offerteci come si fa grigio e pesante il panorama, oggi. Pertanto, scure sugli sprechi, sulle evasioni, sui costi sociali gonfiati dal parassitismo; avanti con l’attuazione del dettato costituzionale che concepiva la nostra nazione come un’entità dinamica da proteggere, certo, ma soprattutto da stimolare in libero confronto.

E’ l’unico modo serio per “celebrare” non a suon di chiacchiere il sessantesimo dell’entrata in vigore della nostra Legge Fondamentale.

Grazie, prof.ssa Saraceno; ha proprio ragione!

             Sergio Giuliani