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Questa settimana vi presento l’inizio del mio ultimo romanzo, ancora inedito per causa di forza maggiore. Eh, le grandi case editrici: se non sei già noto, se non sei parente di… oppure hanno capito la mediocrità dell’opera meglio dell’autore? A voi truciolanti giudicare se il lavoro vi sembra o no meritevole di pubblicazione, anche se 8 pagine scarse di computer son poche per capire. Buona lettura.

 

ROMANZO di

Massimo Bianco

CAPELLI

(Perché sto bene solo quando uccido: dentro la mente del serial killer!)

  

PROLOGO

…Sente la mia presenza alle sue spalle e accenna a voltarsi. Aziono il meccanismo di apertura delle portiere e lei dirige lo sguardo sulla sinistra, distratta dall’inaspettato lampeggiare delle luci della mia auto.

E’ mia! La colpisco alla testa e la abbranco prima che possa afflosciarsi al suolo. Mentre la sorreggo con il braccio destro, con la mano sinistra apro la portiera posta sul lato opposto rispetto al guidatore, quindi la deposito sul sedile. Giro rapidamente dall’altra parte e monto in auto. È stato un attimo. Nessuno ha notato nulla, sono pronto a scommetterci. Un respiro e sono già in viaggio verso il casello autostradale.

Stavolta so con chiarezza quello che voglio e mi sono preparato per bene. Una volta entrato in autostrada accosto. Le pratico un’iniezione e poi le infilo la cintura di sicurezza. Per un po’ dormirà tranquilla.

Non ho con me spiccioli per pagare alla cassa automatica… ma… non… importa. Quando giungerò al casello d’uscita il casellante vedrà semplicemente un automobilista come tanti, con la compagna di viaggio serenamente addormentata al suo fianco e in futuro certamente non si ricorderà di me…

…Sono a… destinazione. Mmf, La sollevo… ecco. Mi carico il corpo sulle spalle e lo trascino indisturbato nel capanno di caccia. Come al solito il luogo è deserto. Una volta entrato la distendo sul tappeto… Resto seduto di fronte a lei a guardarla. … Il bel volto deciso e un po’ troppo truccato è magnificamente incorniciato da quella sua chioma incredibilmente folta. Per lunghezza e sovrabbondanza credo proprio che i suoi capelli battono quelli di Annalisa, ma naturalmente quanto a bellezza gli stupendi capelli di Annalisa restano inimitabili. Li guardo da vicino… Tinti, sì…come avevo già capito sono tinti, ma li trovo lo stesso notevoli.

Vediamo i suoi documenti. Alessandra Sassarino. Ha quarantasei anni… e mezzo. Non avrei detto, pensavo ne avesse qualcuno meno… di mia madre… Ha un volto giovane, li porta bene proprio come a suo tempo… mia… madre. …Anche lei si aiutava con una tintura. Me la ricorda sempre di più. …

…Maledetta. …Stronza bastarda. Ho voglia di aggredirla immediatamente, prenderla per i capelli, farle male e sentirla gridare e poi colpirla e colpirla e…e poi… ghignarle in faccia mentre muore e…e  poi… poi … ma non c’è fretta, non c’è fretta…

 ***

 L’uomo tarchiato ode delle voci ma non riesce a capire cosa dicano. Sono voci estranee, collegate a confuse visioni. Parole indecifrabili, aliene, luoghi sconosciuti e gesti incomprensibili, in rapido dissolvimento. Sbatte gli occhi, confuso. Sta già dimenticando. Ben presto non è più certo di nulla. Non è la prima volta che accade ma si tratta di un problema molto recente. Si verifica da poche settimane e in maniera assai sporadica, per quanto gli riesca di ricordare. Per fortuna nessuno altro si ne è ancora accorto. Prova queste bizzarre sensazioni da qualche tempo. È un po’ come se si trovasse altrove, in luoghi non appartenenti alla sua memoria. Le visioni sono indistinte ma suoni e voci li ode in maniera assai chiara, anche se non sempre sa interpretare cosa gli venga detto.

Semplici sogni a occhi aperti, si augura. Espressioni inconsce del suo desiderio di cambiar vita, forse? Non può però fare a meno di trovare la faccenda preoccupante. Meglio non parlarne con nessuno. Tanto trascorsi pochi secondi comincia già a non ricordare più. Cancellato.

Ode vociare. Fa caldo, la finestra è aperta. Sente parlare dalla saletta di controllo al piano di sotto. Tende le orecchie. Sente parlare di sfilata in costume, uomini in armatura, tradizione, benedizione dei cavalli? Una telecronaca. Il palio di Siena, alle fasi iniziali. L’uomo tarchiato perde interesse. Osserva quindi la vecchia foto d’una modella, ritagliata dalla copertina di un giornale. Per intere settimane ha tirato fuori l’immagine ogni volta in cui si sentiva troppo teso e ciò è stato sufficiente per rilassarlo, ma adesso ammirarla non gli basta più e si sente frustrato. È scosso da un leggero tremito, come se fosse affetto dal morbo di Parkinson. All’improvviso la visione di un’altra donna si sovrappone all’immagine del ritratto. Non ne distingue bene i lineamenti ma sa di conoscerla personalmente e che è bellissima. La vorrebbe con tutta l’anima ma lei lo rifiuta e di fronte alle sue avance si ritrae indietro, sdegnata. La vede a stento ma la sente bene e può facilmente intenderne l’ostilità. Allora l’assale in un impulso rabbioso. D’istinto l’afferra per i lunghissimi capelli chiari fino a farla gemere, poi con gesto brusco le strappa la veste. Lei grida, terrorizzata. Nello sguardo allucinato l’uomo ne legge l’orrore per colui che le sta di fronte, perciò la colpisce con cieca ferocia, più e più volte, utilizzando un oggetto acuminato. Il sangue schizza ovunque, mentre l’ancor giovane donna crolla esamine sul pavimento…

…L’uomo tarchiato sbatte gli occhi, sconvolto e torna, tremante, a focalizzarli sulla fotografia…

…Fantasie davvero spiacevoli. Ma saranno fantasie? Perché ha la sensazione di essere stato altrove e di aver davvero vissuto un’agghiacciante scena di violenza. Eppure è tuttora nella stanza, da solo. Respira a fondo, più e più volte…. Bene, cancellato. Stavolta gli resta però una sensazione amara, una spezzettata rimembranza, impossibile da riassemblare. Forse perché non gli era mai accaduto due volte a distanza ravvicinata.

Un impulso lo spinge a trarre di tasca il temperino. Loro non sanno che ne possiede uno. Si guarda intorno, la porta è ben chiusa. Stende la vecchia fotografia sul tavolo, vi piazza sopra il temperino e con gesti rabbiosi ma precisi ritaglia con attenzione la capigliatura biondo oro della bella star tedesca della moda, fino a lasciare l’immagine priva dello scalpo.

Dio quanto vorrebbe quella donna. Non ha avuto occasione di vedere sue immagini recenti ma è convinto che sia sempre magnifica. Se adesso ce l’avesse davanti farebbe, farebbe… al diavolo, non sa quel che farebbe. Un sospiro profondo, poi infila in tasca il ritaglio dei capelli e fa a pezzi e getta via il resto del ritratto.

Ha smesso di tremare. Si sente meglio, adesso, appena un poco, invero, ma è già qualcosa.

L’uomo è come diviso in due, a un tempo pacifico e rabbioso. I due sentimenti normalmente si trovano in un provvisorio equilibrio che gli permette di atteggiare l’espressione del volto a compassato distacco, ma da qualche settimana l’animosità cresce e qualcosa dentro di lui pare sul punto di spezzarsi.

Tutti lo credono guarito, convinti che le sue violente pulsioni di morte siano state cancellate per sempre. Nessuno ha intuito che sono ancora presenti e si stanno incanalando lungo strade diverse e più tortuose. Quando hanno cominciato a riemergere, circa sei sette mesi prima, ha architettato degli escamotage per darvi sfogo. Grazie a questi fino ad oggi si è mantenuto tranquillo, ma le pulsioni stanno inesorabilmente risalendo in superficie e non è più in grado di trattenerle.

Nessuno se ne dovrà accorgere. Deve andarsene da lì al più presto, altrimenti potrebbe accadere l’irreparabile. Poi starà bene attento a non ripetere gli errori del passato.

Lui era stato eternamente insoddisfatto. Gli sembrava che nulla andasse mai secondo i suoi desideri e si sentiva sempre più frustrato, senza capire il perché né trovare soluzioni. Eppure non poteva essere di continuo colpa sua, ragionava, evidentemente era il mondo stesso a non funzionare. E intanto la sua rabbia montava, lentamente ma inesorabilmente, fino ad essere pronta a fuoriuscire incontrollata alla prima occasione. Infine aveva inconsciamente voluto suicidare il mondo, liberarsene al completo cancellandolo da sé, a partire da chi riteneva avergli fatto torto.

In seguito gli hanno insegnato che sbagliava e ora lo ha capito, sì. Non tutto il mondo è sbagliato, no, lo è solo una parte ed era il suo approccio ad essere errato. Non poteva affrontare di petto tutto e tutti.

Hanno bucato la muraglia di odio che lo separava dalla realtà sociale e così ha imparato a controllare la propria animosità. Mai più esplosioni incontrollate. Troverà la maniera per restare in pace con se stesso e con gli altri. Incanalerà rabbia e frustrazione per scaricarle solo sugli autentici colpevoli della sua sfortuna. Non sa ancora esattamente come farà, ma è sicuro di riuscirvi. Per trovare un nuovo equilibrio gli è occorso quasi un lustro, di cui ben quattro lunghi anni trascorsi in ricovero coatto in una casa di cura, ma alla fine ce l’ha fatta. Negli ultimi tre mesi ha ottenuto di uscire ogni giorno feriale, tra le otto e le sedici, e tutto è andato bene. Presta alcune ore di servizio presso un centro specializzato nel reinserimento di chi, come lui, ha avuto problemi.

Ora deve concludere l’internamento in maniera definitiva, prima che i suoi sforzi vadano sprecati.

 

La giovane donna passeggia nervosamente avanti e indietro nella hall dell’albergo, sotto lo sguardo affascinato del portiere e di un paio di clienti. Lei non passa mai inosservata. Il fisico notevole, armonicamente distribuito in centosettantatre centimetri (e mezzo) di statura e il bel viso volitivo, incorniciato da una massa di magnifici e fluenti capelli naturalmente ondulati, calamitano l’attenzione di qualsiasi uomo.

Peraltro i due clienti non devono intuire la tensione sotterranea che l’anima e la spinge a tenersi in movimento. Basandosi sull’espressione del volto potrebbero soltanto immaginarla vagamente annoiata. I suoi stessi movimenti risultano fluidi e morbidi, come di chi sia la serenità fatta persona. Soltanto scrutandola con estrema attenzione si noterebbe il lieve corrugamento che ne rivela l’autentico ribollire interiore. Lei è sempre stata abile a dissimulare le proprie apprensioni. Un dono affinatosi con gli anni come forma di difesa dal prossimo.

Dopo qualche minuto torna a sedersi sulla poltrona di fronte all’ingresso, sempre apparentemente rilassata. Invece aveva calcolato che l’amica sarebbe giunta almeno una mezz’ora prima e non può fare a meno di domandarsi il perché del ritardo. Non ha motivo per preoccuparsene, in effetti. È solamente ansiosa per natura.

Non vede la vecchia compagna di scuola e università da circa quattro anni. Quattro anni durante i quali non ha incontrato nessuno del suo vecchio mondo. È stata all’estero fino a poco tempo prima e una volta rientrata in Italia, eccettuate un paio di rapide incursioni, non ha più messo piede nella sua città, bloccata dal timore di scontrarsi con il proprio passato. Perfino durante la pausa estiva del suo nuovo lavoro ha preso tempo, rimanendo a proprie spese nell’hotel, fino ad allora pagato dalla ditta. Non ne comprende appieno il perché.

Infine ha pensato che ricevere lì, tra gli smisurati e innevati picchi della Val D’Aosta, la visita di una persona a cui si sentisse legata l’avrebbe aiutata. In precedenza ha ospitato madre e fratello, ma i tre non si sono mai davvero capiti. Ha bisogno di qualcuno con cui vi fosse autentica sintonia e la persona giusta è l’amica in arrivo. Eppure l’attesa le ha messo ansia, come se costei giungesse allo scopo di rimproverarla. Si passa inconsciamente una mano sulla lunghissima chioma, rigorosamente sciolta sulla schiena, che fin da quando era ragazzina svolge per lei la medesima funzione svolta per il “peanutsiano” Linus dalla mitica coperta. Così facendo si tranquillizza un poco e recupera in parte il buon umore che l’ha costantemente accompagnata durante la permanenza in quel luogo.

Infine la porta d’ingresso della hall si spalanca dinanzi a una affusolata figura femminile e l’inquieta si alza per accogliere l’amica, dischiudendosi in un gran sorriso. Sorriso che evidenzia l’angolosità del volto e le gengive sporgenti, l’una e le altre non così appariscenti da guastarne il fascino, ma abbastanza da offuscarlo un poco.

“Lidia!”

“Oh, Lisa, finalmente di persona. Quanto tempo è passato!”

Si abbracciano, liete di rincontrarsi.

“Fatti guardare. Non sei cambiata di una virgola, hai un aspetto splendido.”

“Anche tu, Lisa. Sì, sei davvero splendida, hai un’aria raggiante. E come sei abbronzata! Ma lo sapevo già che dovevi essere in gran forma. Lo capivo dalla voce.”

“Davvero?”

“Certo, la voce è il riflesso dell’anima, non lo sapevi? …Mi sei mancata in questi anni. Neppure t’immagini quanto sono felice di rivederti.” Conclude la nuova arrivata.

Quest’ultima si sistema in camera, si rifocilla e ridiscende dopo circa una mezz’ora. Le due ancor giovani donne siedono vicine, in un angolo della saletta comunitaria dell’hotel. Sul lato opposto alcuni ospiti si sono sintonizzati sulla telecronaca del palio di Siena. Sono ancora alle fasi della sfilata in costume e la “padrona di casa” ogni tanto vi rivolge un’occhiata. Affascinata dagli uomini in armatura pesante, si domanda come costoro riescano a sopportare il caldo. Da ragazza aveva un debole per il palio, non ne perdeva uno. Da quando è andata oltreoceano non ha più avuto occasione di vederlo per cui ora se ne sente attratta e non resiste alla tentazione di seguire gli sviluppi.

In attesa della cena trascorrono oltre due ore a chiacchierare, immerse nei tanti ricordi comuni. Da ragazze erano state inseparabili, le due grandi amiche del cuore. Vicine di casa e compagne di banco ai tempi del liceo, quindi colleghe d’università fino allo scadere del secondo anno accademico, quando l’una aveva preso la decisione di lasciare giurisprudenza, campo di studi trovato troppo sterile e freddo per potersene davvero appassionare. Si sarebbe laureata in Storia e filosofia, facoltà ricca di materie più consone alla sua personalità, senza per questo dimenticarsi dell’amica. Avevano dunque continuato a frequentarsi intensamente, al di fuori dall’ambiente scolastico, senza segreti l’una per l’altra. Nulla però è immutabile. Quando la donna chiamata Lisa decise di chiudere con il passato e di sfruttare un occasione per trasferirsi all’estero, finì per perdere i contatti anche con l’amica del cuore. Ora l’ha finalmente ritrovata.

Lisa spiega, forse anche a se stessa, i motivi per cui decise di andarsene e racconta la sua vita in Canada, poi Lidia l’aggiorna sulle conoscenze comuni. Intanto in tv i cavalli scalpitano e si agitano, senza volerne sapere di lanciarsi oltre i canapi. Quando già i monti valdostani si avvolgono della luce del tramonto e le due amiche si recano nella sala da pranzo dell’albergo, il palio non sembra prossimo alla partenza. Sta a vedere che salta, si sorprende Lisa.

 

Luca Conti se ne sta spaparanzato sul divano del salone, davanti alla tv. I grossi piedi, avvolti da un paio di pantofolone numero 47, riposano sul pouf di fronte. Una lattina di coca cola, ancora gocciolante della brina formatasi dentro il frigo, lo attende sul tavolino a fianco. Una bandiera vivacemente colorata di giallo e verde e listata d’azzurro riposa sul suo grembo.

Il bambino non è altrettanto paziente e si alza di continuo. La moglie gira per casa, guardando di continuo l’orologio. Vorrebbe veder finire la faccenda presto affinché si potesse finalmente cenare. Lei è sarda e non ha mai capito questa passione così sfrenata e condizionante per il marito e per tutti i suoi concittadini. Oltre la porta finestra spalancata il traffico di Piazza di Porta Maggiore scorre intenso come sempre. I pedoni si destreggiano in mezzo al caos di automobili sfreccianti lungo l’asfalto e attraverso le mura, mentre ai semafori e sulle strisce pedonali gli autisti strombazzano spazientiti. Sullo schermo piatto da trentadue pollici del televisore al plasma i cavalli scalpitano nervosi, così grandi e profondi da suscitare l’impressione di poter entrare in casa con un balzo. All’improvviso la donna ode un doppio botto e istintivamente volge lo sguardo alla tv. Alcuni cavalli hanno forzato i canapi e questi ultimi sono stati abbassati dal mossiere, dichiarando falsa partenza. Quasi tutti i mezzosangue si agitano più che mai. Sono già passate le sette e mezza e questo dannato palio pare non volerne sapere di partire nemmeno oggi.

Luca Conti non si perde una battuta. Osserva ogni particolare. Controlla i movimenti dei fantini. Tenta di decifrare gli eventuali accordi. Studia il comportamento dell’animale. Cerca d’intuire le reazioni della folla. Ascolta i commenti del telecronista e dei suoi ospiti. Erano anni che non si trovava costretto a seguire il palio da casa, addirittura dall’epoca in cui prestava servizio alla questura di Nuoro.

Il mossiere ricomincia a chiamare la contrade. Giraffa, grida, e poi, Pantera… Tartuca…Bruco.

Eccolo lì, una magnifica bestia, muscolosa, imponente. Ha la fierezza e la bellezza di un purosangue e la potenza e solidità del mezzosangue quale invece è. Un buon cavallo, che l’anno precedente ha vinto il palio di luglio proprio con il Bruco. La posizione di partenza sorteggiata tutto sommato è discreta, poteva andare peggio. Il giorno prima era stata solo l’ottava, chissà che il rinvio non si riveli vantaggioso, dopotutto. Infine anche l’ultimo fantino spinge il proprio destriero all’interno dei canapi. Ora resta solo il Liocorno, sorteggiato a partire di rincorsa. Il Drago, posizionato subito di fianco al Bruco, è però ancora nervoso, scalpita, si agita, esce dal proprio posto scompaginando l’ordine di partenza. Quando finalmente sembra rientrare in posizione, il Liocorno non ne vuol sapere di lanciarsi.

Ma che diavolo aspetta a entrare, viene da pensare a Conti, irritato, osservando il Bruco pronto allo scatto. Intanto il vicino Drago esce nuovamente dai ranghi e si spinge verso il verrocchino fino a chiudere il varco d’ingresso al Liocorno.

A questo punto il mossiere è costretto a far uscire ancora tutti. I cavalieri prendono a girare in tondo dando un poco di sfogo ai propri palafreni e poi si ricomincia con la solita trafila. Giraffa… Pantera… Tartuca…

I giorni precedenti la famiglia Conti era presente al completo in piazza del campo, trascinata come ogni anno dal capofamiglia. Purtroppo la mossa è stata particolarmente sofferta e il palio è andato talmente per le lunghe da far sopraggiungere il buio e costringere l’organizzazione, evento assai raro, a rinviare la tratta all’indomani. Così per via d’una riunione improrogabile ha dovuto lasciare Siena e accontentarsi di seguire il palio da casa.

“Ma quando partono!” - Si spazientisce la signora Conti. - “Qui la corsa salta anche stasera.”

“No, è impossibile.” – Spiega il marito mentre gli animali rientrano all’interno dei canapi. - “Oggi non c’era la sfilata e i tempi sono stati anticipati, sarebbe la prima volta nella storia del palio se saltasse per due giorni di fila.”

“Ma se continua così…”

“In effetti le hose vanno di  nuovo per le lunghe, ma ormai dovremmo esserci.”

Detto fatto, qualche istante dopo, spronato dal fantino, il cavallo del Liocorno si lancia dentro i canapi e stavolta la partenza viene considerata regolare.

“Sono partiti, ragazzi, venite.” Chiama il capofamiglia e moglie e figlio accorrono. Perfino la bimba di quattro anni trotterella fino in salotto per capire quanto accade.

Conti osserva, teso, la corsa e ascolta la voce concitata del telecronista. Sono stati Aquila, Giraffa, Drago e Pantera i più lesti a scattare, ma già alla prima curva quest’ultimo sorpassa il rivale dell’Aquila, partito a sorpresa in testa da posizione svantaggiosa, e prende il comando in solitudine.

Ecco la Pantera, la Pantera conduce, passa ancora in testa alla curva di San Martino, dietro Drago e Aquila appaiate…seguono la Giraffa e il Bruco… l’Aquila  affianca la Pantera, cerca di passare all’interno, si stringono… sbandano… cade, cade il fantino dell’Aquila, cadono anche il Drago e la Giraffa… Ne approfitta il Bruco che rinviene fortissimo e adesso insegue da vicino…

Conti s’alza in piedi, ergendosi nei suoi 186 centimetri di statura, stringendo nella mano enorme il drappo giallo verde. Incita l’animale e urla al fantino di lavorare di frusta.

“…Alla curva del Casato passa ancora in testa la Pantera seguita dal cavallo scosso del Drago e  dal Bruco, ma il Bruco rimonta, rimonta. Supera il Drago. Affianca la Pantera. È  l’ultimo giro, ormai il palio si decide tra Bruco e Pantera… e il Bruco passa, la Pantera cerca di recuperare ma non c’è più niente da fare, è il Bruco…il Bruco è irresistibile, all’ultima curva del Casato conserva la testa e va a vincere d’ una lunghezza sulla Pantera. Il Bruco vince il palio dedicato alla Madonna di Provenzano…[1]

E il vicecommissario Luca Conti, dell’U.A.C.V. di Roma, cioè Unità d’Analisi del Crimine Violento di Roma, dimentica ogni contegno consono al suo ruolo ed esplode in un irrefrenabile tripudio. Ride e piange a un tempo, stralunato, mentre goccioloni enormi gli scivolano giù dagli occhi.

Il bambino, che a Siena non ci ha mai vissuto, ha seguito la corsa prendendola più come un gioco che come l’evento atteso e preparato per un anno intero e in grado di condizionare in un solo minuto l’anno di tutti i senesi ma, trascinato dall’entusiasmo del padre, si rallegra pure lui.

La gioia dell’uomo, all’inizio travolgente, poco alla volta va però trasformandosi in uno sgradevole magone. È giubilo, certo, perché la sua contrada è tornata alla vittoria, ma è anche malinconia, perché gli impegni di lavoro lo hanno costretto a rientrare in sede di prima mattina, impedendogli di essere sul posto a festeggiare insieme agli altri contradaioli. Colpa dell’incontro urgente fissato all’ultimo momento dal questore di Roma proprio per quel giorno alle 11,30. Per fortuna nonostante parte del personale sia già in ferie per l’ufficio è un periodo tranquillo. Assicuratosi a metà pomeriggio che la sua presenza non era più necessaria, ha lasciato la questura ed è rientrato in casa per prepararsi con comodo alla tratta.

Conti osserva i contradaioli urlare e scatenarsi fino a quando il collegamento televisivo non viene interrotto. In mezzo alla folla scorge anche il fratello minore di sua madre, lo zio Andrea Grazi, priore della contrada, pazzo di gioia e festeggiatissimo, beato lui. Alle sue spalle gli pare di riconoscere anche un vecchio amico d’infanzia.

Lacrime di gioia continuano a inondargli il viso. E’ felice eppure con suo disappunto questo assurdo magone continua a crescere dentro di lui.

Durante l’infanzia e l’intera giovinezza aveva vissuto a Siena, attendendo invano una vittoria. Con il trascorrere degli anni il Bruco era divenuto la nonna del palio e lui era stato costretto a sopportare gli sfottò dei contradaioli vincenti finché il lavoro non l’aveva portato lontano.

Dieci anni prima era finalmente giunto l’agognato successo, accolto affettuosamente dall’intera città ma purtroppo neppure in quell’occasione aveva potuto assistervi di persona, per il medesimo motivo di oggi. Da quel giorno aveva però sempre presenziato e si era goduto appieno il trionfo successivo dell’agosto 2003, un’emozione per lui fortissima, la sua autentica prima volta, giunta addirittura a trentotto anni di età. Era poi tornato per i quattro pali successivi festeggiando anche la vittoria del 2 luglio scorso. Dopo anni di astinenza il Bruco stava ripagando i suoi brucaioli delle antiche delusioni con tanto d’interessi.

Ora lui non si era aspettato veramente di tornare subito a vincere, proprio quando era lontano dalla piazza. Chissà quanti anni passeranno prima del prossimo successo, pensa con rammarico, ah, volesse il cielo che trionfassimo già all’Assunta.

 PRIMA PARTE

  CAPITOLO 1

 ANNALISA E FLAVIO TORNANO A CASA

 L’Eurostar Roma - Ventimiglia sbuca dall’ultima galleria e continua a procedere tra gli edifici periferici dei quartieri settentrionali di Savona. Un’ancor giovane donna osserva sfilare dal finestrino il Centro marmitte, tante volte intravisto nel passato da un treno ma mai visitato di persona. Scorge quindi via via altre entità familiari, per tanto, troppo tempo dimenticate. Luoghi e costruzioni magari di per sé insignificanti, ma la cui vista la emoziona. Non è sola nello scomparto, il primo della penultima carrozza, ma è solo vagamente cosciente di essere a sua volta apprezzata da un paio di viaggiatori di sesso maschile. 

Savonese purosangue, Annalisa Guglielmi, la donna seduta nel primo scomparto, si era sempre ritenuta troppo pigra e indolente per lasciare la propria città, finché tristi ricordi non l’avevano spinta verso nuovi lidi. Approfittando di una borsa di studio biennale era approdata in Canada, trascorrendo il suo periodo di studi in un campus, per poi trattenersi nel nuovo mondo ben oltre il termine previsto. Al rientro dal continente americano, aveva accettato al volo un offerta di lavoro avuta grazie alle conoscenze materne in sostituzione di una professoressa in gravidanza e aveva immediatamente lasciato Savona per le nuove sedi di Sondrio e Aosta. Si trattava di corsi post diploma organizzati in quelle località sfruttando fondi dell’unione europea, non continuativi ma assai ben remunerati. Non conoscendo nessuno in loco, aveva sentito la necessità di guardare dentro se stessa, come negli anni trascorsi nel campus non aveva quasi mai potuto fare. Durante i successivi tredici fine settimana non era mai rincasata. Studenti e professori tornavano alle proprie famiglie più o meno lontane mentre lei trascorreva le giornate in solitaria introspezione. L’aria di montagna le faceva bene. Ogni giorno si alzava la mattina presto, si affacciava sul balcone, respirava a pieni polmoni e ammirava le verdi colline boscose di fronte e i più elevati complessi montuosi ancora imbiancati che si stagliavano più lontani. Rientrava in camera e si preparava con calma. Quindi faceva una forte colazione a base di latte, pane, burro e marmellata, come usa da quelle parti, prendeva un buon caffè e mezz’ora dopo si recava a lezione.

Il primo giorno di insegnamento era preoccupata. L’idea di parlare a venti ragazzi già adulti e pronti a giudicarla la inquietava. Al dunque invece si era trovata a proprio agio e aveva condotto la giornata senza difficoltà. Aveva così scoperto di amare il mestiere d’insegnante. Trovarsi di fronte ai ragazzi le risultava congeniale, anche se non la convinceva la maniera in cui i corsi erano impostati, con numerose e faticose giornate consecutive di otto ore filate di lezione su una singola materia trascorse insieme al medesimo gruppo, seguite a giornate completamente libere. Si era inoltre aspettata un maggior impegno da parte di questi ventenni, a volte perfino già laureati, che pagavano, seppur poco, per assistere ai corsi e ciononostante si comportavano sovente come svogliati ragazzini delle superiori.

La primavera era stata climaticamente instabile ma Annalisa non per questo si era persa d’animo e aveva sfruttato ogni momento di bel tempo per rimanere all’aria aperta. Benché in passato non avesse mai svolto attività fisica impegnativa, durante quei tre mesi aveva preso l’abitudine di trascorrere in mezzo alle montagne i sabati, le domeniche e molti dei numerosi giorni liberi concessi dalla sua attività. Si recava in auto sul luogo di partenza prescelto e poi s’inerpicava lungo scoscesi sentieri montani, con un voluminoso zaino sulle spalle e il pranzo al sacco, dedicandosi a lunghe e impegnative marce solitarie fino a rifugi distanti anche diverse ore di cammino. E aveva finalmente imparato a sentirsi in pace con se stessa, dimenticando ogni forma d’ansia e raggiungendo un soddisfacente equilibrio psicofisico.

Negli ultimi tempi aveva stretto amicizia con dei colleghi e perfino con alcuni alunni. Costoro l’avevano sporadicamente accompagnata nelle escursioni, faticando letteralmente a starle dietro, ma condividendo con lei l’incanto del paesaggio montano. Con almeno un paio dei nuovi amici le sarebbe piaciuto mantenersi in contatto.

Ora sente finalmente di aver fatto pace col proprio passato. È giunto il momento di tornare a casa, da donna matura e indipendente, svincolata dai trascorsi condizionamenti familiari o di altro genere. Si sente inoltre felice di essere sentimentalmente libera, senza né uomini né marmocchi ad assillarla.

Dopo tre mesi di costante e intensa attività fisica le sue splendide gambe sono sode e muscolose e il fondo schiena è perfino più ben tornito e perfetto di quanto già non apparisse nell’adolescenza. È abbronzata, sorridente e rilassata, addirittura radiosa. Rifulge di tutta l’antica avvenenza. In effetti si sente più bella e affascinante oggi, pur prossima ai trentatre anni, di quando era ventenne, perché lo spirito sereno si riverbera sull’aspetto e viceversa. Numerosi studenti di sesso maschile trascorrono le notti a sognarla, perfino ora, a lezioni terminate.

L’Eurostar si sta fermando in stazione. Lei, Annalisa Guglielmi, Lisa per gli amici, si alza e tira giù le valige, aiutata senza necessità da un galante passeggero che per l’intero viaggio ha vanamente tentato di abbordarla. Esce nel corridoio, dove sembra quasi partecipare emotivamente alle manovre del convoglio in rallentamento. Infine le porte vengono aperte, lei posa i piedi a terra e s’incammina a passo deciso verso l’uscita della stazione. Ha rinviato il ritorno per tanto tempo, ma adesso si sente pronta e ne avverte l’urgenza. Savona in fondo è soltanto una cittadina, eppure ci saranno mille luoghi da visitare, tanta gente da rivedere. (…)

 Scusate ma m’interrompo qui. Il resto mi auguro che prima o poi possiate leggerlo in volume.

A risentirci. Massimo Bianco
 

[1] La descrizione della corsa non ne rispecchia il reale andamento perché il paragrafo è stato scritto prima del luglio 2006 in cui si svolge, non volendo documentare quel particolare palio ma solo ricrearne idealmente il clima e nel contempo rivolgere un omaggio alla contrada del Bruco. (N.d.A.)