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Ciclone Teardo/Dodicesima puntata a 28 anni dai fatti

MAURO TESTA, 2 ANNI DI CARCERE

POI UNA CONTRASTATA ASSOLUZIONE

Era sindaco di Albenga e funzionario Iacp, oggi segretario politico del Psi ingauno. Dagli atti processuali il suo ruolo negli appalti, vicende edilizie, la confessione di un collega sulle tangenti, i versamenti su tre conti correnti bancari, la cassetta di sicurezza, la mai chiarita scomparsa di schede, la doppia iscrizione a due obbedienze massoniche. Ma nessuna prova contro l’imputato Testa, solo una condanna a 6 mesi (prescritta) per un reato minore. Nell’aprile scorso tornò alla ribalta quale convinto fautore delle quattro torri al posto del vecchio ospedale, con un progetto di Arte&Nucera.

di Luciano Corrado

 

Mauro Testa durante
il Processo Teardo

SAVONA – Nella lista dei 26 imputati (inizialmente 42) rinviati a giudizio e processati dal tribunale di Savona nel 1985, il nome di Mauro Testa occupa il numero 19. Un personaggio, noto e discusso, già all’epoca. Sindaco di Albenga, seconda città della provincia per numero di abitanti, ma anche  esponente di primo piano del Psi e funzionario dello Iacp allora definito a torto o a ragione l’ente più corrotto della provincia (ora Arte).

Mauro Testa, 59 anni compiuti proprio il 17 febbraio, ha in buona parte seguito la stessa sorte di Paolo Caviglia (di lui ci siamo occupati nella scorsa puntata della “Teardo story”) ed attuale vice sindaco di Savona, oltre ad essere al vertice savonese del Psi.

Entrambi arrestati il 2 settembre 1983, entrambi assolti (per Testa c’è un’assoluzione ampia dal capo d’accusa più grave, una condanna a 6 mesi dichiarata prescritta per un reato minore ed un’insufficienza di prove). Entrambi scarcerati l’8 agosto 1985, il giorno della sentenza di primo grado. Testa era detenuto nella casa circondariale di Fossano

Entrambi rivestono, a 25 anni da quei giorni, ruoli pubblici, con un impegno diretto in politica. Mauro Testa è segretario ingauno dei socialisti democratici, direttore dell’Agenzia regionale territoriale per l’edilizia.

TESTA FAVOREVOLE

AL PROGETTO DELLE TORRI

Nell’aprile 2007 fu tra i protagonisti della durissima polemica per le quattro torri (20 mila metri cubi) che, secondo un progetto di massima, si vorrebbero costruire al posto del vecchio ospedale (...vedi articolo….). Testa, con il gruppo socialista (Vincenzo Damonte e Tullio Ghiglione), si schierò per il “sì”, a favore del progetto Arte-gruppo Nucera .

Il capostipite Giovanni Nucera era tra i più votati esponenti del Psi albenganese, dal 1982 iscritto alla sezione “Balletti” ed alla sua prima esperienza elettorale alle comunali, nel 1988, ottenne 486 preferenze personali,  subito dopo il capogruppo Danilo SandiglianoTesta. Giovanni Nucera venne coinvolto e arrestato, difeso dagli avvocati Vernazza e Mazzitelli, nell’ambito dell’inchiesta del 1996 del Pm, Landolfi su Viveri ed altri 54 indagati. L’epilogo non fu proprio esaltante per la giustizia. Sempre Giovanni  Nucera risultò acquirente di tre alloggi di proprietà di  Alberto Teardo e della moglie Mirella Schmid a Palo di Sassello. I sussurri di allora asserivano che durante un periodo di latitanza, Teardo potè contare proprio sull’amico e finanziatore del partito, Nucera. Che non tradì mai, come fece con Angioletto Viveri.

Oggi i tre figli di Nucera,  capeggiati da Andrea con un’esperienza di pubblico amministratore a Ceriale, dopo la morte del papà, hanno potenziato un piccolo impero non solo nel savonese.

Vasti gli interessi in attività edilizie, immobiliari, terriere e nel settore alberghiero, anche fuori dai confini della Liguria. Da Ceriale, alla Valbormida, da Alassio a Borgio Verezzi, a Varigotti, dalla Sardegna a Roma, alla Costa Azzurra, all’Africa. La principale sede operativa resta ad Albenga,  poi Milano, con appendici societarie e finanziarie in Lussemburgo.

Un’importante risorsa, insomma, di cui si potrebbe dare un giudizio positivo, se non fosse annebbiato da alcuni buchi neri per un legame fin troppo chiacchierato con alcuni esponenti politici, compresi parlamentari e pubblici amministratori (progettisti e consulenti a vario titolo, dunque a libro paga).

E’ utile aggiungere che la seconda generazione dei Nucera non ha nulla da spartire con il “ciclone Teardo” (sia prima edizione, sia la Teardo-bis archiviata dai  nuovi giudici inquirenti) per il quale Trucioli Savonesi si propone di offrire ai lettori una “rivisitazione storica”, quasi interamente documentata con materiale d’archivio. Destinata soprattutto ai molti cittadini, politici e non, giornalisti compresi, che sono affetti da “memoria corta”.

Si aggiunga il mai abolito principio che l’assenza di responsabilità penalmente non riconosciute, non significa ignorare i principi, i valori di opportunità morale-etica soprattutto per chi è chiamato a svolgere funzioni pubbliche, elettive o attività politica.

 

Maria Teresa Cameli all'epoca che prestava servizio a Savona e si occupò dell'inchiesta sullo scandalo delle aree di Salea d'Albenga, cioè "Cuneo Polli", mentre conversa con il giudice Francantonio Granero (fotoGallo).

ITER DELL’INCHIESTA

E DEI VARI PROCESSI

Mauro Testa dovette  attendere il 12 giugno 1989 per uscire definitivamente dal  tunnel, dall’inferno processuale. Nei suoi confronti c’era l’accusa di associazione di stampo mafioso (contesta a 17 imputati e rimasta tale per 11 di loro, fino all’assoluzione con un secondo processo in Corte d’appello a Genova) ed interessi privati in atti d’ufficio per la “gestione calore” dell’Iacp di cui era allora coordinatore amministrativo Testa, già in primo grado, a Savona, fu assolto per “mafia” con formula ampia.

 Insufficienza di prove per uno di due episodi riguardanti gli interessi privati. Il pubblico ministero del dibattimento, Michele Russo, aveva invece chiesto la condanna a 5 anni, 6 mesi 1 milione di multa. Assolto con la stessa formula anche nel giudizio di secondo grado, a Genova. Poi l’appello del procuratore generale Michele Marchesiello.

La Suprema Corte di Cassazione, in quel lontano giugno1989, contrariamente alle richieste della procura generale, respinse l’estensione dell’accusa di associazione a delinquere di tipo mafioso, riproposta per lo stesso Testa e Caviglia. Ha inoltre annullato la condanna a 6 mesi di Mauro Testa in quanto il reato era estinto dalla prescrizione. Dispose, come accennato, un nuovo giudizio in Corte d’appello a Genova, per l’accusa di mafia, a carico di 11 imputati, ritenendo che sussisteva una “carenza di motivazione” nell’assoluzione.

Difensore di Testa era l’avvocato Antonio Chirò, già vice pretore di Savona. <Sono soddisfatto – dichiarava il legale al Secolo XIX  - per due motivi. Testa esce da questa brutta avventura senza condanne; personalmente non ho mai avuto dubbi sulla sua estraneità. Inoltre nessuno riuscirà mai a convincermi sull’esistenza di un reato di stampo mafioso nella vicenda Teardo>.

IL RUOLO DI TESTA

DESCRITTO DA FERRO

Come abbiamo fatto per Paolo Caviglia, è sicuramente utile ripercorrere il ruolo processuale di Mauro Testa seguendo la motivazione della sentenza di primo grado, a Savona,  considerata la più completa per farsi un’idea di quel “mosaico”, con le sue 120 mila pagine. Motivazione scritta dal giudice savonese Vincenzo Ferro al quale tutti riconoscevano un ottimo lavoro sia sul merito, sia in diritto-dottrina giuridica.

Ecco cosa è scritto nella sentenza di 463 pagine dattiloscritte e che analizzava la posizione dei singoli imputati a giudizio.

<Testa, pubblico amministratore, quale sindaco del Comune di Albenga, pubblico funzionario, quale dipendente dello Iacp di Savona, commetteva reati e consentiva all’associazione di perseguire i suoi fini, anche abusando delle sue rispettive funzioni>.

Motivazione dell’assoluzione: <Testa è stato rinviato a giudizio quale membro dell’associazione per delinquere e dell’associazione mafiosa perché, nelle suddette qualità, commetteva reati e consentiva all’associazione di perseguire i suoi fini anche abusando delle sue rispettive funzioni.

Dalle specifiche imputazioni relative ai soli reati di interesse privato in atti d’ufficio, di cui era chiamato a rispondere, il Testa viene prosciolto, in parte con formula ampia ed in parte con formula dubitativa.

Tra le altre ipotesi di reato, che sono state rimesse al proseguo dell’istruttoria, l’unica riferibile al Testa è quella relativa alla “gestione calore” dell’Istituto autonomo delle case popolari della provincia di Savona, per la quale, alla stregua del dispositivo istruttorio, si profila un’imputazione a carico di Marcello Borghi e Mauro Testa, ai sensi dell’articolo 324 (interesse privato ndr), pur non essendo ancora state formulate concrete contestazioni.

Senza bisogno di ripetere quanto si legge nel provvedimento di rinvio a giudizio a proposito di tale complessa vicenda, occorre qui soltanto osservare che l’ eventuale correlazione tra il Testa e gli altri imputati di associazione criminosa, in ordine alla gestione calore, passerebbe necessariamente attraverso un intento di favorire indebitamente l’impresa “Hot Casa” del gruppo di Federico Casanova, che sarebbe legato alle persone del Borghi, del Teardo e del Caviglia. In assenza di prove, allo stato non raggiunta, di specifiche forme di illegittimità nelle procedure adottate, l’esistenza di tali legami resterebbe affidata alle testimonianze di Pietro Bovero e Umberto Minuto, la cui estrema labilità, impedisce allo stato di dare corpo a quelle che appaiono solo vaghe congetture…

Resta quindi da esaminare – prosegue la motivazione della sentenza nel suo testo integrale -  se, ed in quale modo, all’infuori della commissione di reati, il Testa abbia altrimenti cooperato all’attività  associativa.  Appare superflua la introduzione nel capo d’accusa della congiunzione “anche”, poiché, alla luce della motivazione del rinvio a giudizio, non risultano addebitate al Testa  forme di condotta che non siano correlate con le sue funzioni. Resta da verificare, in particolare, l’affermazione secondo cui egli sarebbe stato “appositamente sistemato dal gruppo mafioso alle dipendenze dello Iacp di Savona per consentire il controllo degli appalti banditi da detto istituto”.


Il giudice Vincenzo Ferro
        (da La Stampa)

PERSONALITA’, CARRIERA

RACCOMANDAZIONI POLITICHE

Va detto – scrive ancora Ferro nelle motivazioni - che la personalità del Testa non è favorevolmente lumeggiata da una carriera professionale intrapresa e proseguita all’insegna della “raccomandazione” politica, anziché il pubblico concorso.

Ci si astiene, tuttavia, volutamente, da una più approfondita indagine circa la legalità formale dell’assunzione del Testa, poiché mentre, da un lato, non sono stati ritenuti dagli inquirenti  estremi di reato al riguardo, non risultano d’altra parte essere stati esperiti da eventuali contro-interessati gli opportuni rimedi amministrativi

Non si ravvisano quindi, circa le pretese occulte motivazioni dell’inserimento del Testa nell’organigramma dell’Istituto, se non generici motivi di sospetto.

L’affermazione di Nicola Guerci (l’unico tra gli imputati ad aver confessato e risarcito i danni ndr), secondo cui le tangenti venivano incassate dalle persone del gruppo che faceva capo al Teardo, quali Borghi, De Dominicis e il Testa, richiederebbe, relativamente al Testa stesso, più approfondita indagine e più convincente dimostrazione.

I TESTI CHE ACCUSAVANO

MA SENZA FORNIRE PROVE 

Al Testa i giudici istruttori addebitano, inoltre, le dichiarazioni del teste Adelio Venturino il quale considera il Testa, a tutti gli effetti, un membro del gruppo teardiano. Ma il Venturino incorre in errore quando afferma che il Testa, passato dalla sinistra del partito alla corrente teardiana, ne fu premiato diventando in breve tempo funzionario dello Iacp e sindaco di Albenga, laddove il Testa all’epoca dell’assunzione allo Iacp era legato proprio alla corrente di sinistra dell’avvocato Giovanni Isoleri che si poneva in contrasto con la corrente di Teardo, e quando sostiene che le tangenti dello Iacp passavano necessariamente attraverso l’asse costituito dal Testa e dai presidenti e vice presidenti del momento, mentre l’episodio di concussione ai danni dell’imprenditore  Stefano Cutino dimostra, almeno quanto al Testa, il contrario.

Che il Testa fruisse dell’autorizzazione ad assentarsi dalla sede di servizio per l’adempimento delle sue funzioni di pubblico amministratore, non solo non è illecito in se stesso, ma costituisce conseguenza del principio a cui è pervenuta la nostra civiltà giuridica (art. 51 della Costituzione)….che il Testa ne fruisse in misura eccedente i limiti del legittimo o del necessario, può essere vero, anche se non provato. Ma ove ciò fosse dimostrato, non varrebbe certo ad avvalorare l’ipotesi di una presenza assidua ed attiva dell’imputato nello Iacp a scopi di coordinamento dell’attività criminosa in esso attuata.

Infine, le notevoli disponibilità economiche del Testa hanno ricevuto una non inattendibile spiegazione nelle sue condizioni di famiglia>.

E qui si conclude la motivazione.

COSA DICHIARO’ A GRANERO

NEGLI INTERROGATORI

Il 3 settembre 1983, il giorno dopo l’arresto, Mauro Testa, presenti gli avvocati Tito Signorile e Antonio Chirò, così esordi nel suo primo interrogatorio da detenuto davanti al giudice istrutturo Francantonio Granero: <Sono coniugato, dirigente dello Iacp, non ho fatto il militare, sono laureato in giurisprudenza, sono già stato condannato per contravvenzioni al codice della strada. Fui assunto all’Iacp con contratto a termine nel novembre 1974 dopo che mi ero laureato a luglio  ed avevo fatto pratica nello studio dell’avvocato Giovanni Isoleri e fu lui a segnalarmi all’architetto Nino Gaggero. Non sono stato io, sia per la giovane età, sia per la mancanza di esperienza professionale, a gestire tutti gli appalti  per un importo globale di 10 miliardi nel corso del dicembre 1974. Non è vero che gestivo in prima persona l’elenco delle imprese da invitare all’offerta. Non sono io che decisi di gestirli col sistema della lecitazione privata. Né che fu possibile assegnarle col sistema del ribasso. Mai ho partecipato alle gare. Non riesco a spiegare perché sono sparite le schede segrete dell’Amministrazione dell’Iacp relative agli appalti stessi. Le ho cercate anch’io in quando ero fino al giorno del mio arresto coordinatore amministrativo dell’ente.  Posso aggiungere che ebbi dell’ostracismo dai colleghi….

LE PROPRIETA’ IMMOBILIARI

E I VERSAMENTI IN BANCA

Nel corso dello stesso interrogatorio, scritto dal brigadiere dei carabinieri Gaetano Parisi, il detenuto Testa dichiarava: <Le proprietà immobiliari di cui sono proprietario sono state da me acquistate con denaro prestatomi da mia madre, frutto della mia famiglia da oltre 30 anni. Tre dei conti correnti dei quali sono titolare, sono in realtà di mia madre ed io sono delegato per la firma.  Sono socio accomandante della società Agem, ma tale società, indipendentemente dagli scopi statutari, non ha mai svolto attività di compravendita immobiliare, ma soltanto amministrazione ed assicurazione di condomini.

E’ vero che sono socio dell’Atex, anzi lo ero. Io ho versato cinque milioni, 3 come capitale e 2 per fondo cassa. Era mal gestita e ho perso tutto. Ignoravo che questa società con sede a Roma, si identificasse con il Cad di Roma. Tra i soci c’erano Eraldo Ghinoi, Borghi, Siccardi, De Domenicis, Gregorio, funzionario della Camera dei deputati, Marina Zugnoni.

Prendo atto che da una telefonata intercettata presso l’utenza telefonica di Euro Bruno (altro imputato del troncone principale ndr), risulterebbe la mia amicizia con il noto pregiudicato Pietro Nalbone, detto “zu Pietro”, preciso però  che l’ho conosciuto esclusivamente in carcere ed ho avuto con lui normali rapporti tra detenuti.

I conti correnti intestati a me e mia madre contengono anche gli incassi del bar e del denaro regalato a mia madre dalla nonna. Prendo atto che si tratta sempre di cifre tonde e banconote di grosso taglio che mal si conciliano con gli incassi di un bar, non so fornire spiegazione in proposito.

Prendo atto delle distinte di versamento sulla Banca d’America e d’Italia…sulle distinte di versamento del Banco di Roma di Savona, in banconote da 50 e 100 mila lire, nel periodo 1980-1983. Sono soldi esclusivamente di mia madre.

E’ vero che ero titolare di una cassetta di sicurezza intestata a Massimo De Domenicis, lui mi chiese un favore in quanto non voleva che lo sapesse sua moglie.

Prendo atto del conto corrente  della banca San Paolo di Albenga, anche questi sono soldi di mia madre.

Prendo atto dei due libretti al portatore della Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, non so perché furono  aperti, ma credo per versare gli interessi dei Bot.

Circa la vicenda di Regione Frontero, con immobile della Rivierauto, mi riporto al parere che rilasciò al Comune, quando ero sindaco, il prof. Lorenzo Acquarone.

Circa la vicenda della “Cuneo Polli” e alle aree al centro delle polemiche mi riporto a quanto dichiarai all’epoca al sostituto procuratore Maria Teresa Cameli. Cosi pure per la costruzione di un edificio a Lusignano destinato a materiale agricolo...  Preciso che non ho mai interferito per la costruzione dell’immobile aggiudicato  all’impresa Filippone.

E’ vero che partecipai ad una cena elettorale, insieme a Teardo, organizzata all’Ariston di Andora della famiglia Pallavicino, suocero dell’attuale questore di Nuoro, Arrigo Molinari.

Ignoravo che Alberto Teardo o suoi emissari avessero versato soldi, in campagna elettorale, a noti pregiudicati….

IL RUOLO DI TESTA

NELLA MASSONERIA

<Prendo visione dei documenti a me sequestrati e contenuti nella busta D. Effettivamente, come risulta dal documento n.23, io ero iscritto alla massoneria. Entrai, dapprima, nella loggia XX Settembre di Savona, della quale era maestro venerabile Giuseppe Bolzoni (che chiamava “micio” l’allora presidente del tribunale Guido Gatti, come risulta dalla relazione del giudice Rossini in Corte d’appello a Genova ndr). Entrai in loggia su invito di Bolzoni che conoscevo perché frequentava la Federazione del Psi di Savona. In loggia c’era anche Massimo De Dominicis. Non ero tra i più assidui in loggia e cosi decisi di trasferirmi alla loggia intitolata a Giuseppe Mazzini, sempre dell’obbedienza di Palazzo Giustiniani ad Albenga. Dopo l’arresto sono stato sospeso. Prendo visione delle due tessere di iscrizione alla massoneria contrassegnate con il numero 49. Prendo atto che le tessere sono datate primo dicembre 1976 e 12 giugno 1978, riguardano la mia adesione, dapprima come apprendista e poi come grado secondo, all’obbedienza di Piazza del Gesù. Trattasi della loggia Le Acacie di Albenga, della quale facevano parte, tra gli altri, il commercialista Malpezzi di Alassio e Gianfranco Sasso di Albenga, cioè la stessa persona cointeressato all’operazione Cuneo Polli. Ricordo ancora i nomi di Angelo Emilio Mosso sindaco del Comune di Villanova d’Albenga, e di Giancarlo Ieri, segretario comunale di Albenga.

Preciso che lasciai  l’obbedienza di Piazza del Gesù, su richiesta di Giuseppe Bolzoni. Nella loggia Le Acacie è probabile ci fosse anche Augusto Guglieri, impiegato di Carlo Pallavicino e delegato di spiaggia di Andora>.

Questa è la storia descritta con la parte più significativa degli atti processuali. Mauro Testa resta pur sempre, anche una vittima della giustizia, che non ha condiviso, nel giudizio finale, l’accusa principale per la quale era finito in carcere. La detenzione, al di là dell’esito finale, è un’esperienza durissima, a volte devastante. Non sappiamo se Testa l’ha superata e come.

Il suo ritorno a capofitto nella politica, anche in vicende delicatissime come la costruzione delle torri nella sede del vecchio ospedale, con annessi e connessi, gettano molte ombre da dissipare, e per le quali è in corso pure un processo, con richiesta danni, da parte di Arte e del presidente di allora, Franco Bellenda, contro Antonio Ricci (Striscia la Notizia e albenganese d’origine).

Vicende che pare non rappresentino quella svolta morale ed etica di cui ha tanto bisogno l’Italia (vedi relazione della Corte dei Conti sulla corruzione). Anche nel Savonese e l’Imperiese resta folta la schiera dei non vedenti. Sarà solo per caso.

Luciano Corrado