"NE AMMAZZANO più i tumori causati dal lavoro che non gli
infortuni sul lavoro. Eppure le malattie professionali
sono tenute in un cono d'ombra, non fanno notizia, non sono
degne di grandi dichiarazioni e solenni impegni". Giampiero
Meinero, oltre che presidente dell'Inps di Savona, è
consulente per le malattie contratte in fabbrica, un impegno
coltivato negli anni in cui era segretario provinciale dei
lavoratori chimici della Cgil e segretario del patronato
Inca.
«Siamo in un mondo malato di schizofrenia ? » dice -. Ci si
indigna giustamente per chi cade da un'impalcatura, ma non
si alza una voce di protesta quando a morire è un lavoratore
che si è preso un tumore per l'amianto, le aniline o i
vapori delle saldature. In Val Bormida sono più numerosi i
decessi per malattia professionale che non le vittime degli
incidenti sul lavoro».
Solo tra gli ex dipendenti Acna sono oltre 70 i casi di
tumore - dal mesotelioma (il tipico cancro da amianto) ai
tumori polmonari e alla vescica - denunciati e riconosciuti
come malattia professionale tra il 1990 e il 2007. «In quasi
la metà dei casi - spiega Meinero »?- l'esito della malattia
è stato mortale. Ed è una catena di cui non si vede ancora
la fine. Questi tumori possono restare latenti per decine di
anni. E' una tragedia continuata dopo la chiusura dell'Acna,
mentre si stanno registrando nuovi casi in altri
stabilimenti e officine della Val Bormida».
Il fatto che la malattia professionale "non faccia notizia"
dipende dalla difficoltà di attribuire subito e con certezza
l'insorgere della malattia all'ambiente di lavoro. «E' vero
- riconosce Meinero -, non è semplice. In Piemonte la
diagnosi è sempre accompagnata da un'informazione che da noi
non viene richiesta al paziente, ovvero dove ha lavorato. E'
chiaro che a Cuneo, se vedono che un malato è stato esposto
ad amianto o coloranti, possono fare delle ipotesi che a
Savona nemmeno si pongono. E poi c'è tutta la partita della
prevenzione e della diagnosi precoce».
Chi sa di aver lavorato in ambienti a rischio deve avere la
possibilità di accedere a degli esami particolari che,
attraverso l'analisi del Dna, consentirebbero di prevedere
l'insorgere di un tumore. «Ma si tratta di esami molto
costosi, per cui si tende a non farne nulla specie quando il
paziente è anziano - sottolinea l'ex segretario Inca Cgil -.
In fondo è un atteggiamento che fa il paio con quei medici
di fabbrica che, negli anni Ottanta, quando un lavoratore
faceva la pipì rossa, gli raccomandavano di mangiare meno
salame e gli prescrivevano nitrato d'argento per pulire la
vescica».
s.d.s.
13/02/2008
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